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“Il welfare e la sfida dei precari”, di Salvo Barrano

In occasione del decennale dell’assassinio di Massimo D’Antona è stato importante che il Partito Democratico abbia preferito ascoltare, più che parlare. Lasciando la parola direttamente ai «lavoratori in carne ed ossa», come amava dire D’Antona. In una conferenza stampa tenutasi nella sede nazionale di S.Andrea delle Fratte, si sono ritrovati insieme chimici, lavoratori dei call center, assistenti di volo, vulcanologi, medici, insegnanti, ricercatori. Hanno raccontato storie diverse, cariche di passione e di emozione, ma anche di sfruttamento e di abuso vero e proprio. Alcuni fattori ricorrono in quasi tutte le testimonianze: l’aver studiato molto, un’età inferiore a quarant’anni e una condizione estremamente precaria.
La precarietà e l’assenza di diritti vissute quindi come discriminazione generazionale, come ingiusta tappa obbligata per l’ingresso in un mercato del lavoro «respingente». E che troppo spesso diventa una ragnatela in cui si rimane impigliati, privi dei più elementari diritti che dovrebbero spettare ad ogni cittadino lavoratore. Alcuni in attesa del miraggio, a volte alimentato strumentalmente, di un posto fisso. Proprio dallo stesso microfono Olga D’Antona, moglie del giuslavorista, che nel pomeriggio è intervenuta ad una tavola rotonda promossa da Giovani Democratici, «20 Maggio» e «Lavoro&Welfare» ha parlato del rischio, già prefigurato dal professore, che si possa generare un «conflitto generazionale» e ha insistito sull’importanza che il marito attribuiva alla figura del lavoratore nella sua dimensione di persona e non di semplice parte contrattuale.
Al di là delle formule elaborate a tavolino, dei provvedimenti di legge, dei numeri e delle statistiche, il fattore centrale del lavoro resta infatti la persona. E in un mondo sempre più competitivo e flessibile non è più accettabile l’assenza di un welfare efficiente ed equo che sappia prendersi cura dei lavoratori in quanto persone. Per una flessibilità sostenibile occorre un’immediata riforma degli ammortizzatori sociali, attualmente del tutto inadeguati e discriminatori, checché ne dicano Brunetta e Sacconi.
L’indennità di malattia, di maternità, di disoccupazione, la sicurezza sul posto di lavoro, l’accesso al credito e alla formazione devono essere riconosciuti ai lavoratori come diritti dell’individuo, a prescindere dalla forma contrattuale, spesso subita, in cui si è inquadrati. Sarebbe un passo avanti se politici, economisti e giuslavoristi, dopo tanto retorica neo-liberista, mettessero nuovamente il lavoratore al centro della politica economica, inaugurando un nuovo umanesimo del welfare.
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L’Unità, 22 maggio 2009

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