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“Franceschini: la democrazia si difende votando PD”, di Ninni Andriolo

Si vota perché l’Italia non finisca sotto «padrone» e per difendere «la qualità della nostra democrazia». Dopo le bordate di Berlusconi-”Napoleone” contro giudici e Parlamento, Dario Franceschini alza il livello dell’allarme. L’obiettivo è parlare agli incerti, farli riflettere, chiamarli a raccolta. Il 7 giugno è vicino, un elettore su quattro non ha deciso il proprio voto e il rischio astensioni non si riduce. Non è l’appello al «voto utile» del 2008 quello che lancia Franceschini in questi giorni, ma il concetto è che solo un grande partito come il Pd può arginare un premier che vuole stravincere. E che ieri ha fatto la solita retromarcia: «Mai detto che il parlamento è inutile».
«Alle politiche il differenziale Pd-Pdl era di 4 punti – ricorda – Se si triplicasse, non si fa fatica ad immaginare cosa farebbe Berlusconi…». Non è il momento «di consegnare il Paese al premier, quindi, per un po’ di delusione motivata». L’invito è a «non scendere dall’autobus» del Pd “per salire”, magari su quello di Di Pietro. Perché «un voto spostato da noi è a somma zero rispetto al problema dei rapporti con il Pdl». Quanto a Sinistra e Libertà, tuttavia, Franceschini spera «che i nostri percorsi si rincontrino presto».
attacchi

Gli attacchi al Parlamento – spiegano dal quartier generale democratico – rendono esplicito l’obiettivo di Berlusconi: fare il pieno di voti per modificare a proprio vantaggio l’assetto istituzionale. E il rischio di mancare l’obiettivo rende chiaro lo stesso “polverone” sulla sentenza Mills. Il Pd «non ha l’obiettivo di sconfiggere Berlusconi per via giudiziaria – spiega Franceschini – e non ha senso chiedere le dimissioni in Parlamento dove una mozione di sfiducia si trasformerebbe in un voto di fiducia».
Per il leader la partita non è già chiusa a netto vantaggio del Pdl. Ci saranno «sorprese» al Nord dove «il Pd ha più voti della Lega». E per parlare agli indecisi il segretario Pd gira l’Italia. Autobus e treni, poco aereo. Ieri mattina via metro dalla stazione Tiburtina a Ponte Mammolo, periferia Est della Capitale. Polo bianca, giacca abbandonata nell’armadio. «La politica deve ascoltare e non può girare la testa dall’altra parte – sottolinea – vorrei che tra la gente ci fosse anche il premier per capire che la crisi non è un problema psicologico. E da’ giustamente fastidio che mentre per le riforme utili a tutti servono anni, quelle che interessano a Berlusconi si fanno in pochi giorni.

Leader del Pd, ma per quanto tempo? “Il mio lavoro finisce in ottobre”, taglia corto da Repubblica tv. Poi, però, aggiunge che “se avessi aiutato a dimostrare che il progetto del Pd è ancora in campo e forte, se a giugno avessi dato una mano affinché il Paese non si svegli sotto un padrone assoluto, sentirei di aver fatto quello che dovevo fare». “E se il partito le chiedesse di restare?”, chiedono. “Non succederà. Ci sarà un congresso vero, ci saranno altre candidature”. La partita, in realtà, è aperta e Franceschini, nel Pd, non è affatto considerato da tutti un segretario a termine. La stessa “riabilitazione” del Pci e di Berlinguer, d’altra parte, parla ad un mondo di sinistra ben presente tre i democratici. Ieri, alla fine dell’intervista tv, Franceschini, ex della Dc e dei popolari, è incorso in un lapsus. “Il mio compito è quello di aiutare la democrazia cristiana…cioè italiana…”. Un attimo d’imbarazzo, poi la battuta: «Giovedì ho passato la giornata a parlare del Pci, permettetemi di riequilibrare…».
«Non è il momento di consegnare il paese a Berlusconi». Dario Franceschini gira l’Italia e dice: la partita elettorale non è chiusa «ci saranno sorprese». Intando Berlusconi fa retromarcia: mai detto Camere inutili.
L’Unità 25.05.09

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