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“Storia locale e dialetto. Contesa sulle materie della scuola «federale»”, di Lorenzo Salvia

Una parola in dia­letto, multa di 100 lire. Una parolaccia, multa da 2 mila. Una bestemmia, fino a 5 mila. Così la scuola Cesare Baro­nio, a Vicenza, costringeva gli studenti a parlare pulito. Era il 1999, sono passati solo die­ci anni. Eppure sembra un’al­tra epoca. Oggi il dialetto non è più una bestemmia: si stu­dia, si parla e alle multe non pensa più nessuno. Certo non ci pensa la Lega Nord che lo vorrebbe trasformare in un insegnamento obbliga­torio nella nuova scuola «fe­derale », come la matematica o la storia. La proposta, però, diventa un caso politico, e apre un’altra crepa nei rappor­ti fra Lega e gli ex di Alleanza nazionale. È il Secolo d’Italia, il giornale di casa, a dare voce ai dubbi che si addensano sul­la sponda destra del Pdl: «L’apprendimento coattivo del dialetto — scriveva vener­dì il Secolo in prima pagina — postula sul piano cultura­le, antropologico e istituzio­nale la dissoluzione dell’uni­tà d’Italia».

Colpa della campagna elet­torale, forse. Perché in questi giorni di comizi ognuno tira acqua al suo mulino e sia il dialetto che l’unità nazionale sono due bandierine da tene­re bene in vista. Ma resta il fatto: è un giornale alleato ad accusare la Lega di «approc­cio mistificatorio» di «falsifi­cazione mitografica di un pas­sato mai esistito», di voler «barbarizzare la tradizione ita­liana ». Fuoco amico da far in­vidia alla litigiosa maggioran­za del governo Prodi. Aveva cominciato giorni fa il mini­stro per le Politiche agricole, il leghista Luca Zaia, a parlare di dialetto obbligatorio a scuola. Poi era arrivato il commento freddino («progetto difficile da realizzare») di Mariastella Gelmini, anche se già adesso il ministero della Pubblica istruzione finanzia 194 progetti per le lingue locali. Poco dopo era stato il senatore leghista Federico Bricolo a rilanciare, con una proposta di legge sparata a tutta pagina dalla Padania, fino al­l’ultimo contrattacco del Seco­lo.

Eppure, mentre Lega ed An se le danno di santa ragione via giornale di casa, alla Ca­mera zitto zitto il dialetto fa i suoi primi passi. Mercoledì scorso è cominciato in com­missione cultura il dibattito sulla proposta di legge della leghista Paola Goisis che pre­vede proprio l’insegnamento a scuola delle «lingue locali». Anzi, in quel testo c’è molto di più. Perché si stabilisce che il ministero della Pubbli­ca istruzione debba dare più peso nei programmi alle «spe­cificità culturali, geografiche e storiche delle comunità lo­cali ». Un esempio? Nella rela­zione che accompagna il te­sto l’onorevole Goisis, che è anche insegnante, scrive che il «Risorgimento deve essere ristudiato su basi regionali». E cioè: «Lo studio della realtà sabauda per gli studenti del Piemonte può assumere un’importanza non inferiore a quella che riveste lo studio della realtà borbone per gli studenti delle regioni meri­dionali o del califfato arabo e dei ducati normanni per gli studenti della Sicilia». Il Risor­gimento e il califfato arabo.

Corriere della Sera 31.05.09