partito democratico

“Il giorno più lungo di Franceschini”, di Alessandra Longo

Il vecchio partigiano Boldrini aveva adottato, per il suo giornale clandestino, firmato con Benigno Zaccagnini, una frase che recitava così: “Se è notte si farà giorno”. Dario Franceschini ripensa, ancora una volta, alle parole del comandante Bulow, nelle sue ore più difficili. Forse, dopo il voto, è più giorno che notte, visti i risultati, visto che Berlusconi “non ha sfondato”. “Sono soddisfatto, molto soddisfatto – dice il segretario del Pd – Lo abbiamo fermato noi. Se dopo un anno di governo il Pdl perde 3 punti, vuol dire che è iniziata la parabola discendente”. Sono quasi le due del mattino quando si sfoga, dopo ore passate nel bunker del partito: “Di fronte alla micidiale ondata di destra in Europa, alla fine il Pd sarà il primo partito progressista, per deputati eletti, come voti in assoluto”. L’asticella oscilla tra il 27 e il 28 per cento “ma dovete aggiungere i radicali e a quel punto saremmo al 30…”.

Sospiro di sollievo, clima da comunità ritrovata. Prima delle proiezioni, addirittura ad urne aperte, Franceschini aveva convocato i suoi alla Camera, uffici del gruppo, sala Berlinguer: “Voglio ringraziarvi tutti per quello che avete fatto e dirvi anche che mi aspetto, a prescindere dai risultati, che non si interrompa il lavoro di squadra. Non voglio nemmeno prendere in considerazione che si torni a litigare, con i turni di ballottaggio all’orizzonte. Quella è una stagione chiusa dalla quale non si torna indietro”.
Poi un sussulto per le notizie da Parigi, con la destra che trionfa, i socialisti che crollano. “Certo, se il vento è quello…”, commentava il segretario. Ma no, in Italia le cose sono diverse. Il Pd cala ma guadagna la soglia di “sicurezza”. Sentenza per il leader, per il partito, per il Paese. Quei 105 giorni di campagna elettorale diventano fotogrammi da album dei ricordi. La certezza di “avere fatto tutto il possibile per salvare il progetto” rende sereno il leader, pur barricato nel suo ufficio. Dario “il cattocomunista”, come l’ha definito, con lieve disgusto, il suo avversario, ne parla con gli amici: “Ho giocato la partita fino in fondo”. Una sfida in condizioni difficili, l’eredità di Veltroni, le correnti interne, un Berlusconi straripante, che l’ha spinto su terreni che non sono quelli cui è abituato (“Ho toccato con mano che cosa vuol dire la sproporzione di mezzi, di potere, la capacità manipolativa, la spregiudicatezza”).

Lui, Franceschini, costretto a occuparsi di moralità della politica, di affari privati diventati, non per sua scelta, clamorosamente di interesse pubblico. Le paillettes contro la vita reale: “Nei miei viaggi ho incontrato gente senza lavoro, pensionati alla fame, commercianti scansati dalle banche”.

A voler compensare l’overdose di parole e veleni, l’attesa è dedicata alla famiglia, alla moglie Silvia, insegnante di scienze, che “non ha mai fatto politica”, alla figlia Caterina, 19 anni, accompagnata al seggio dribblando i fotografi, a Maria Elena, 13 anni, la più piccola, aiutata ieri mattina a fare “un piccolo impianto elettrico per la lezione di tecnica”, quasi fosse una domenica qualsiasi. Addirittura, all’ora di pranzo, i Franceschini si sono concessi una gita al mare, a Fregene. Pranzo in quattro più il cane.

Con la testa fissa alle prime proiezioni. Ma senza l’ansia del proprio destino, giurava fino a tarda sera: “Non ho accettato di fare il segretario per costruire il mio futuro”. Il problema – è andato ripetendo Franceschini in ogni piazza, ad ogni comizio – è “lasciare il Paese in mano ad una persona sola”, per giunta uno come Berlusconi “che considera i magistrati grumi eversivi e il Parlamento una perdita di tempo”. Lui “ce l’ha messa tutta” per convincere un elettorato frustrato: “Non dovete mollare proprio ora”.

L’astensionismo punitivo: era il suo incubo. “Perché io, nel Pd, ci credo veramente, non ci sono altri approdi. Noi dobbiamo avere la pazienza di costruire un sistema di valori alternativi facendo esattamente l’operazione contraria a quella di Berlusconi il quale ha introdotto negli anni la sua gerarchia di disvalori e poi è andato all’incasso”. Quello di oggi è un round, è “il segnale”: “Abbiamo fermato Berlusconi”. Ma Franceschini sa che “la marcia sarà lunga”. Se è notte, si farà giorno, diceva il partigiano Boldrini.
La Repubblica 08.06.09