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«La sinistra si rinnovi, in Europa è morta la socialdemocrazia»

Così come nell’89 parlammo di morte del comunismo, oggi, alla luce dei risultati elettorali, possiamo parlare di “morte” del modello socialdemocratico». A sostenerlo è uno dei più autorevoli e affermati sociologi europei: il professor Alain Touraine, Directeur d’études all’École des Hautes études en sciences sociales di Parigi.

Professor Touraine, come leggere queste elezioni europee?
«In primo luogo possiamo dire che mai come in questo caso, è lecito parlare di elezioni davvero “europee”, perché hanno evidenziato due tendenze generali: l’affermazione delle destre e il crollo irreversibile del modello socialdemocratico».

L’Europa guarda a destra.
«Purtroppo è così. Si tratta di un fenomeno pressoché generalizzato, con l’eccezione della Svezia, rafforzato da spinte di estrema destra, come in Austria e in Italia con il successo della Lega di Bossi, la cui base sociale è simile a quella dei partiti fascisti. Vi è un pericolo nuovo in Europa, con una destra tradizionale incalzata dall’estrema destra. In Francia, la situazione è un po’ diversa, nel senso che il successo considerevole di Nicolas Sarkozy – che non può essere ricondotto solo ai buoni risultati ottenuti nel semestre di presidenza dell’Ue – ha permesso di porre un argine alla risalita dell’estrema destra. Per restare ancora alla Francia, un fenomeno sorprendente è anche il crollo del centro di Francois Bayrou».

E sul fronte opposto?
«Il dato più importante è che a distanza di vent’anni dal crollo del comunismo, assistiamo al crollo della socialdemocrazia. Si tratta di una caduta spettacolare, irreversibile, che rimette in discussione un modello. Per restare alla Francia: Martine Aubry (segretaria generale del Psf,ndr.) è stata praticamente assente per tutta la campagna elettorale. Se Ségolène Royal avesse guidato il partito, probabilmente avrebbe ottenuto un risultato migliore. La Francia è paradigmatica di una crisi di leadership che investe tutte le forze della sinistra in Europa, il cui tracollo va anche legato alla rottura con i ceti popolari. In Germania, un altro Paese chiave per l’Europa, l’indebolimento della Spd non è stato riequilibrato da una vittoria della Linke che aveva cercato il sostegno delle grandi organizzazioni sindacali».

Cosa c’è di altro ancora nel tracollo delle forze socialiste e socialdemocratiche europee?
«C’è l’esaurimento del modello socialdemocratico; c’è l’incapacità di formare leadership autorevoli, in sintonia con i tempi; c’è l’indeterminatezza nella definizione degli obiettivi da raggiungere. Credo di non esagerare se utilizzo il termine di “morte” della socialdemocrazia, così come nel 1989 si è potuto parlare, a ragione, di morte del comunismo».

A destra. Perché?
«La storia c’insegna che nei momenti di forte crisi, il voto si orienta verso gli estremi, e in queste elezioni soprattutto verso destra».

Che situazione si prospetta?
«Una situazione tesa, densa di pericoli. Perché è difficile pensare che si possa uscire da una crisi economica e sociale destinata a proseguire almeno fino al 2011, senza troppi danni. Purtroppo la sinistra non ha saputo offrire risposte adeguate finendo così per far parte di un mondo in via di estinzione».

In Francia si è assistito al successo dei Verdi di Daniel Cohn Bendit.
«In un contesto in cui non le forze tradizionali mostrano di essere prigioniere di una visione angusta e sorpassata, Cohn Bendit – ex icona del ’68 che ha saputo però riproporsi sulla scena politica con una immagine rinnovata – ha saputo proporre un grande tema concreto e al tempo stesso fortemente simbolico: l’ecologia. E questo in risposta a ciò che io chiamo l’arcaismo dei socialisti. Il successo dei Verdi, non solo in Francia, può essere considerato la risposta politica alla crisi profonda che colpisce le forze socialiste e socialdemocratiche europee. Una sinistra nuova non può guardare al passato se vuole tornare a vincere. Quel passato è morto. Ed è importante che su quelle “ceneri” possano sorgere formazioni politiche in grado di offrire risposte innovative ad un bisogno di cambiamento che non è venuto meno».

Come leggere l’altro dato “europeo” di questa tornata elettorale: il minimo storico di partecipazione?
«Anche questo dato è da considerare caratteristico dei periodi di crisi, nei quali i cittadini manifestano scetticismo se non ostilità verso le istituzioni. Un atteggiamento peraltro molto fondato se si considera il ruolo inesistente delle istituzioni europee di fronte alla grave crisi economica che attraversiamo. Basta pensare al ruolo passivo di Barroso (presidente della Commissione europea, ndr.) mentre negli Stati Uniti, Barack Obama si è impegnato in prima persona per rimettere in moto l’economia del Paese».

In ultimo, l’Italia. Al centro dei riflettori europei per gli scandali che hanno coinvolto il premier Berlusconi.
«In realtà, gli scandali sembravano essere una peculiarità dei partiti socialisti. Basti pensare allo squasso politico in Gran Bretagna che ha investito il Labour. E anche in Francia avvengono cose abbastanza inquietanti in termini di immoralità pubblica. Per venire all’Italia, il Paese non sta affatto bene. C’è un premier che si comporta in un modo vergognoso, cercando di imporre le proprie “verità” attraverso il controllo dei grandi mezzi di comunicazione. In qualsiasi altro Paese europeo democratico, un simile comportamento avrebbe fatto perdere consensi o determinato la fine di una carriera politica. In Italia non è così. L’Italia appare come un Paese relativamente isolato e ripiegato su se stesso. Il risultato non è brillante e denota una incapacità di rinnovamento. Il dato elettorale più eclatante è il successo della Lega che userà questa vittoria per condizionare ulteriormente l’azione del governo in termini di chiusura su questioni cruciali come la sicurezza e l’immigrazione».

L’Unità, 9 giugno 2009

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