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“Il boom disoccupazione e il silenzio dei giovani”, di Tito Boeri

In Italia esistono migliaia di “giovani di”. Ogni associazione di categoria ha i suoi giovani di. Ci sono i giovani di Confartigianato, dell´Api e di Confcommercio.
Mancano solo nel sindacato, speriamo non perché ce ne sono pochi di giovani tra le sue fila. Anche i partiti hanno i loro “giovani di”. Ad esempio, sono da pochi giorni nati “I Giovani di Valore” dell´Italia dei Valori, cui non possiamo che formulare i migliori auguri di meritarsi denominazione tanto impegnativa. Nonostante questo pullulare di associazioni definite in quanto di giovani e per i giovani, non ci risulta che alcuno di questi “giovani di” abbia lanciato un campanello d´allarme sulla redistribuzione silenziosa che si sta operando in questo difficile 2009. È certificata dalla Relazione Unificata sull´Economia e la Finanza depositata più di un mese e mezzo fa in Parlamento dal ministro dell´Economia. Prevede che in un anno in cui il prodotto interno lordo scenderà di più del 4%, la spesa pensionistica aumenterà del 4%, portando la quota di risorse del nostro paese destinate alla previdenza al di sopra del 15 per cento. Già prima della crisi spendevamo più di tutti i paesi Ocse per le pensioni. Ora lo faremo ancora di più. Se il prodotto interno dovesse poi calare del 6%, come nei dati tendenziali resi pubblici in questi giorni dall´Istat, la quota salirebbe al 15,5 per cento. E se la recessione dovesse continuare fino al 2011 come paventato al G8 dei ministri economici, ci avvieremmo a superare il 20% nel rapporto fra spesa pensionistica e pil: a quel punto, un euro su ogni 5 prodotti in Italia andrebbe a pagare le pensioni. In altri paesi, come la Germania, la spesa previdenziale si adegua automaticamente all´andamento dell´economia. Quando le cose vanno bene, si possono pagare pensioni più alte. Quando, invece, reddito e occupazione si riducono, dunque diminuisce il monte salari che paga i contributi previdenziali, anche i pensionati sono chiamati a fare un piccolo sacrificio per evitare di fare aumentare le tasse di chi lavora o il debito pubblico (abbiamo ieri saputo che in aprile ha toccato il nuovo record di 1750 miliardi, il 115 per cento del prodotto interno lordo previsto dal Governo per il 2009). Da noi, invece, le pensioni sono l´unica vera “variabile indipendente”. Per evitare che assorbano sempre più risorse dobbiamo crescere almeno dell´1,8 per cento all´anno. Un lontano miraggio per un paese che, anche prima della recessione, cresceva a tassi medi annui dello zero virgola.
I “giovani di” non sembrano neanche preoccuparsi dei continui pressanti inviti rivolti dal nostro ministro del Lavoro alle imprese a non licenziare. Un blocco dei licenziamenti in una congiuntura così difficile significa solo due cose: primo, che a perdere il lavoro saranno i lavoratori con contratti temporanei, mandati a casa alla scadenza del loro contratto senza alcun licenziamento formale; secondo, che non ci saranno assunzioni, perché gli organici verranno ridotti (ieri Eurostat ha stimato che l´occupazione in Italia si sia già ridotta dello 0,3 per cento nel primo trimestre 2009, vuol dire 70.000 posti di lavoro in meno) congelando le assunzioni. Eppure i giovani di Confindustria hanno tributato un lungo applauso al ministro del Lavoro che ha aggiunto al danno la beffa di invitare i giovani ad andare a lavorare! Hanno anche ascoltato in silenzio il loro presidente elogiare i nostri ammortizzatori sociali. “Questo sistema mentre ancora garantisce, da un lato, a spese dello Stato un salario ad una massa crescente di lavoratori in cassa integrazione, rischia, dall´altro, di mettere sulla strada un numero crescente di disoccupati, meno protetti, soprattutto giovani e provenienti da piccole unità produttive”. Lo scriveva su queste colonne, più di 25 anni fa Ezio Tarantelli. Oggi siamo ancora a quel punto nonostante tutti i nostri “giovani di”.
I “giovani di” non sembrano prestare alcuna attenzione al fatto che gli unici risparmi di spesa corrente contemplati nei prossimi anni si concentrino nel comparto della scuola, forse l´unica istituzione che “toglie ai vecchi per dare ai giovani”. Certo, risparmiare nella spesa pubblica è una buona cosa. Se lo si riesce a fare migliorando la qualità dell´istruzione, come si propone la riforma dei licei varata in questi giorni dal Consiglio dei ministri (su cui torneremo con maggiore dettaglio), tanto di cappello. Ma non bisogna dimenticarsi che le nostre scuole non stanno materialmente in piedi. I “giovani di” dovrebbero chiedere che ogni euro risparmiato in queste riforme vada a un fondo nazionale cui gli enti locali possano attingere per interventi a sostegno dell´edilizia scolastica. È da paese del Terzo Mondo rischiare di morire nelle aule di scuola perché ti cade un soffitto in testa. E´ da paese condannato al declino non avere aule specializzate per le materie scientifiche. In altri paesi sono gli studenti che cambiano le aule di lezione, a seconda delle materie. Da noi sono gli insegnanti perché tanto le classi sono tutte uguali. In ogni caso, proporsi di investire di più nell´insegnamento delle materie scientifiche senza avere aule specializzate è come chiedere a un ciclista di scattare con la gomma a terra.
I giovani, quelli senza di, forse torneranno a contare nel nostro paese quando si libereranno di tutti questi “giovani di”. Non sono anticamera della classe dirigente, sono solo stanze di cooptazione per gli amici degli amici. I giovani di Confindustria sono da sempre guidati da figli d´arte. Invece di “giovani di” dovrebbero chiamarsi “i figli di”. E un ministero della gioventù che organizza campi estivi mentre in Consiglio dei ministri si confeziona per i giovani un futuro di più tasse per tutti è uno specchietto per allodole. Oggi però i giovani hanno un´arma in più: si chiama Internet. Fenomeni come il fiume di preferenze accordate a candidati sconosciuti fuori dal web come Debora Serracchiani ci danno una misura delle enormi potenzialità di questo strumento nel cambiare la nostra classe dirigente. La democrazia su Internet è fatta a misura per i giovani. Bene che imparino presto ad usarla.
la Repubblica del 16 giugno 2009