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Dossier l’Unità su Abruzzo: “Pugno di ferro, cosi si vive nel «Principato delle macerie»” di Claudia Fusani e Massimo Solani

In questi mesi è stato sperimentato un sistema di propaganda; il commissario con poteri assoluti. Un modo di governare che tanti piace al premier, ma che sta limitando la libertà dei terremotati.
L’atto fondativo è stato una scossa sismica devastante. Nessuno quella tragica notte del 6 aprile era stato in grado di immaginare che nel centro Italia stava per nascere un nuovo Stato. Il terzo, dopo San Marino e il Vaticano, tra quelli che si trovano all’interno dei confini nazionali: il Principato delle macerie.
Mentre decine di migliaia di persone continuano a vivere disagi enormi, in Abruzzo il governo sperimenta un modello di organizzazione sociale e, assieme, un apparato di propaganda e di gestione del consenso. In nome dell’emergenza è stato limitato il potere decisionale delle comunità locali. In nome della propaganda è stato creato un sistema di controlli che rende difficile il lavoro dei giornalisti e molto complicata la diffusione delle notizie su quanto accade all’interno delle 180 tendopoli.
Oggi, dopo oltre due mesi di paziente attesa, duemila cittadini del Principato delle macerie raggiungeranno la capitale d’Italia per far sentire la loro voce. Lo faranno – con un sit in davanti alla sede del governo – proprio nel giorno in cui la Camera dei deputati avvia la discussione sul decreto-terremoto. Un provvedimento che la maggioranza non intende modificare, tanto che è possibile l’ennesimo voto di fiducia.
Silvio Berlusconi ha fatto sul terremoto un forte investimento di immagine. La sua presenza quotidiana nei luoghi della catastrofe ha accresciuto la sua popolarità. La decisione di trasferire il G8 dalla Maddalena all’Aquila l’ha rafforzata sul piano internazionale prima che le sue vicende giudiziarie (il processo Mills) e coniugali (il caso Noemi) la riportassero al tradizionale basso livello.
Di certo il premier e il suo governo si giocano tra le macerie d’Abruzzo molta della loro credibilità. E il capo della Protezione civile Guido Bertolaso – che del Principato delle Macerie è il capo supremo, ne è perfettamente consapevole. Così ieri – dopo che i sudditi avevano occupato per protesta la pista dell’aeroporto di Preturo (quella dove, dopo le opportune modifiche, atterreranno i grandi del G8) si è affrettato a dare una intervista al «La 7» per assicurare che tra le mecerie d’Abruzzo tutto va per il meglio. E palazzo Chigi ha diffuso un comunicato nel quale, tra l’altro, si assicura che anche le seconde case saranno pagate. Chissà. Il fatto è che questo concetto non è presente nel decreto che oggi il Parlamento comincia a esaminare.
Così come non compaiono le iperboliche promesse fatte dal premier in questi due mesi.
L’Unità del 16 giugno 2009
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“La legge Bertolaso. I lavori del G8 rendono eterna l’emergenza”, di Claudia Fusani

Il sisma all’Aquila ha trasformato città e provincia in un
piccolo stato con regole diverse. Tutto è in mano al commissario. Per ogni cosa è necessario andare in DI.CO.MAC

Lo capisci anche dai cartelli stradali. Sono rossi, bordati argento, riportano acronimi, «DI.CO.MAC.», «COC», «COM 1», «COM 2» e via fino al sette. Mettono un po’ di soggezione, fanno “sparire” gli altri un po’ storti e rugginosi con i nomi dei paeselli Paganica, Onna, Poggio Piacente, Assergi.
Il primo cartello rosso dall’aria vagamente militare lo incontri lungo la A24 all’altezza del bivio per Sulmona-Pescara. Il «Principato delle macerie» comincia qui, comprende un’area di circa 650 km/q, 49 comuni, più o meno 110 mila abitanti, 160 tendopoli, ma ha un unico centro. Anzi, pardon, una fortezza, la caserma della guardia di finanza di Coppito. Un solo cuore pulsante, la DI.CO.MAC, tutto maiuscolo, sta per Direzione comando controllo, ed è una sigla militare. Un solo comandante supremo e assoluto: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, n°1 della Protezione civile, Commissario unico di governo per l’emergenza terremoto Guido Bertolaso. SuperGuidoBoss per gli amici. «Il Faraone», lo chiamano con affetto reverenziale gli aquilani. C’è da capirli: la loro vita dipende tutta da lui. Uno spazio in più di libertà nella tendopoli, la casetta di legno, la verifica in casa e l’allaccio del gas, persino la possibilità di andare a trovare un amico in un’altra tendopoli: tutto, nel Principato delle macerie, dipende da SuperGuidoBoss.
Ora, la tragedia dell’Aquila, i suoi 300 morti, la distesa di bare, la dignità del dolore e la fierezza di chi ha perso tutto, sono qualcosa che nessuno potrà mai dimenticare. Una lezione per tutti. Così come, subito dopo, non si potrà mai finire di dire grazie ai circa diecimila volontari arrivati già nella notte del 6 aprile ai piedi del Gran Sasso. Ma, come si dice, senza perdere la memoria bisogna guardare avanti. E capisci che l’emergenza sisma è diventata qualcosa d’altro. E di diverso: una sorta di piccolo stato con leggi e ordinamenti propri, con la Protezione Civile che si è sostituita agli amministratori locali, dove tutto è accentrato nelle mani di pochi secondo una struttura rigorosamente militare e verticistica. Il fatto è che oggi all’Aquila qualsiasi cosa tu voglia fare, anche se non sei terremotato, devi per forza avere a che fare con la DI.CO.MAC, già ribattezzata, generali permettendo, DI.CO.MAT, “direzione comando matti”. Per due mesi è stato ospitato nella palazzetto dello sport della caserma, generali entrando a destra e a sinistra, generali sopra il ballatoio e sotto. Al centro i tavoli delle varie direzioni della Protezione civile, servizio dighe, strade, sismologi, i banchi del Comune e della Provincia, dell’Anci e dei Vigili del Fuoco. Ovunque schermi giganti, cartine, mappe, i grafici con l’andamento della terra: per due mesi nel palazzetto hanno lavorato 500 persone, 200 solo della Protezione Civile che sono costate ogni giorno 70 euro di diaria più albergo e ristorante. Netta, quasi totale, prevalenza di divise: militari o golfino blu e polo listata col tricolore della Protezione civile. La centrale della Spectre nei film di James Bond. Un Spectre buona, ma sempre un po’angosciante come tutte le aree militarizzate: senza il budge non entri, se entri ti cacciano, se cerchi parlare con qualcuno ti buttano fuori. Cittadini sfollati hanno girato a lungo in cerca di un’informazione. Comune e Provincia, con sede crollata, occupano tavoli sparsi,ospiti in casa propria: qualcosa che agli aquilani sta piacendo sempre meno. Soprattutto ora che nell’economia della caserma la DI.CO.MAC è stata retrocessa come importanza e spazi nella mensa allievi ufficiali. Ora l’emergenza è il G8. Tanto Bertolaso è responsabile anche del summit.
«Ordine e disciplina» diceva qualcuno. Talvolta serve. Non sempre: DI.CO.MAC ha deciso le venti aree dove costruire le cinque mila casette antisismiche e la cittadinanza si è lamentata; ha deciso, con i tecnici, gli indici di abitabilità della case; ha stabilito, tramite i fedeli capi-campo, regole e divieti nelle circa 160 tendopoli-caserme-lager; decide la destinazione delle donazioni private, per ora 42 milioni di euro, più strutture come casette di legno e teatri tenda. Perchè non decidono i sindaci? Grazie al potere di ordinanza Bertolaso decide quanto può essere speso e in cosa: dagli appalti ai 27 abruzzesi assunti come co.co.pro. Centralizzare vuol dire anche rallentare. E togliere responsabilità. DI.CO.MAC è ovunque. Bertolaso e fedelissimi pure. Come certe super-mamme. Lo fanno a fin di bene. Ma il risultato, spesso, è pessimo.
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“Dai volantini ai caffè La strategia del «vietato»”, di Massimo Solani

Se si va a visitare un parente in un altro campo il pass non bata per ottenere un pasto. Le proteste non sono ammesse e per ogni regola da rispettare c’è qualcosa che non è permessa. I residenti: «Siamo in gabbia».

Il Principato delle Macerie non è fondato sul lavoro, ma sui divieti. Ce ne sono di ogni tipo nelle centottanta strutture d’accoglienza gestite dalla Protezione Civile nel territorio colpito dal devastante sisma del 6 aprile. Passano i giorni e per le migliaia di persone ancora senza una casa i divieti aumentano. Non c’entra il buon senso, non c’entra nemmeno la difficoltà di organizzare e gestire la vita quotidiana nei campi. Spesso c’è un di più che sfugge alla logica e irrita i nervi già tesi di chi vive sospeso fra un prima e un dopo.
ULTIME NOVITÀ
Gli ultimi divieti sono stati comunicati proprio nei giorni scorsi dalla Protezione Civile: nei campi non si può fare attività di volantinaggio, dicono. E da domenica non si può nemmeno mangiare esibendo alla distribuzione dei pasti il pass da visitatore. Addio riunioni familiari alla domenica nella tenda di questo o quel parente. Chi vive in un campo, hanno deciso i responsabili della Protezione Civile, non può mangiare in un altro. E pazienza se ha deciso di fare visita ad amici e familiari. È vietato. «Per entrare nel campo – racconta Fabiana, che con i genitori vive a Piazza d’Armi – bisogna consegnare all’ingresso un documento e comunicare il nome e il numero di tenda della persona a cui si sta facendo visita. Si può restare sino alle 20:00, ma da domenica non si ha più diritto a ricevere un pasto. Per far visita ai parenti – conclude amareggiata – si rischia di restare a stomaco vuoto». Chiedere al sindaco Massimo Cialente è inutile. Nella Principato delle Macerie le autorità locali contano poco o nulla. «Non ne sapevo niente – spiegava ieri il primo cittadino – di queste cose dovete chiedere alla Protezione Civile. Certo, mi informassero qualche volta…». Del resto ogni giorno se ne scopre una e la gente anziché sorprendersi si incazza. E proprio per non innervosire le persone, stando almeno a quanto spiegato dai responsabili, nei campi sono vietati caffè, cioccolata e alcoolici. «La verità – prosegue Fabiana – è che ormai siamo tutti al limite. Se qua esplode uno si innesca una reazione a catena che non se la immaginano nemmeno». E la situazione certo non aiuta. Prendiamo l’acqua: dalle fontanelle di Piazza d’Armi è vietato prelevarla per lavare gli indumenti o le tende. E allora come si fa? «La prendiamo lo stesso – ci dice un’anziana – e se provano a dirmi qualcosa faccio un casino».
DISSENSO NO GRAZIE
Eppure nel Principato delle Macerie la disobbedienza civile la praticano in pochi. Tutti hanno paura, molti temono ritorsioni anche per il solo fatto di raccontare qualcosa alla stampa. Che del resto nei campi entra sempre di meno visto che la trafila per ottenere il permesso per entrare è sempre più complicata e le uniche telecamere ammesse, ormai, sono soltanto quelle chiamate ad immortalare le visite del presidente del Consiglio Berlusconi. La contestazione, nel Principato delle Macerie, non è ammessa. L’informazione nemmeno. L’attivismo di chi prova a darsi da fare meno che mai. Ne sanno qualcosa i ragazzi del comitato “3e32”. «Da sabato ci è vietato fare volantinaggio nei campi – spiega Marco Sebastiani – Ma è solo l’ultima iniziativa. In occasione di una visita di Berlusconi abbiamo esposto uno striscione fuori dalla caserma di Coppito e in pochi secondo alcuni Finanzieri sono intervenuti, hanno sequestrato lo striscione e ci hanno identificato. Ormai siamo costretti a fare le assemblee per strada perché i responsabili delle strutture non ci fanno entrare. Il 2 giugno eravamo a Piazza d’Armi per un evento sportivo e la protezione Civile ci ha impedito di entrare dicendo che il comitato è “potenzialmente pericoloso”. Intorno alla metà di maggio eravamo riusciti ad entrare soltanto in cinque, documenti all amano, e ci hanno fatto seguire dagli uomini dell’Associazione Nazionale Carabinieri. Sabato – prosegue Marco – tre ragazzi del comitato, fuori dal campo di Piazza d’Armi, con un microfono stavano pubblicizzando la manifestazione di Roma quando sono arrivati alcuni carabinieri che prima li hanno identificati, poi li hanno seguiti fino alla macchina per controllare i documenti della vettura». «Ci sentiamo come in gabbia», ci dice sottovoce una donna al campo di Bazzano. Dove alcune settimane fa un anziano ha scelto di protestare affiggendo un cartello sulla tenda della segreteria. «Sono il carcerato della tenda n.X – c’era scritto – oggi non ho potuto mangiare perché non avevo con me il tesserino di riconoscimento».
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“Giornalisti a Chieti, alla larga dal summit”, di Claudia Fusani

La Protezione Civile ha deciso di ospitare i giornalisti accreditati tra Chieti e Pescara, a circa 100 km di distanza. «Troppe richieste» è la motivazione. Ma il premier, un mese fa, disse: «Sala stampa nel cuore del summit».

«E per la prima volta anche i giornalisti, anche se non mi stanno simpatici, saranno ospitati nel cuore del summit». Così parlò Berlusconi il 19 maggio scorso in una conferenza stampa nella caserma di Coppito. La illuminata concessione è durata lo spazio di tre settimane. E’ di ieri infatti la notizia che i giornalisti saranno invece ospitati a circa cento chilometri dal summit. Possono scegliere: Villaggio Mediterraneo a Chieti, oppure alberghi e altre strutture sempre tra Chieti e Pescara. Si tratta di località distanti più di un’ora di macchina. Significa che la stampa accreditata, ci sono già oltre 4000 richieste, parteciperà al summit in video conferenza. Sono previste alcune eccezioni: agenzie di stampa, televisioni e qualche prescelto dal Dipartimento della Protezione civile, all’incirca un migliaio, potrà infatti seguire i lavori del vertice dalla caserma di Coppito, cuore e fortezza dell’incontro. Eventuali auto-organizzati sono pregati astenersi.
Non distrubare il manovratore. Alla larga i ficcanasi. Fosse solo per le assemblee plenarie e gli incontri bilaterali tra i 20 paesi ospiti, uno potrebbe forse anche accontentarsi di fare domande in video conferenza. Ma questo G8 sarà, soprattutto, una vetrina e un’occasione per chiedere aiuto ai grandi della terra. Il premier ha preparato la lista di nozze, 44 monumenti da ricostruire con relativo progetto e budget, da offrire a Obama piuttosto che Putin o Gheddafi. Dai leader europei c’è da aspettarsi poco vista la crisi. Le delegazioni in tour tra le macerie, naso all’insù e caschetto giallo in testa, Obama che alza il dito e dice, più o meno: «A questo ci penso io». Sarà questo il G8 da raccontare. E da far vedere. Insieme con le voci dei trentamila ancora nelle tendopoli in attesa di una casetta. Ma sarebbe un impiccio. Una testimonianza indesiderata. E allora, 100 km di distanza possono bastare.
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«Noi “dissidenti”, ci portano via il cibo e le tende», di Marco Bucciantini

Eccoli qua, nelle tende accanto alla casa, per salvare l’intimità: per la protezione civile sono dissidenti da riportare alla ragione. Verranno loro tolte le tende, e vietati loro i pasti delle mense. E gli aquiliani si fanno la casa.

Paganica, sei km dall’epicentro del sisma, 70 giorni dopo. Nonna Giovanna ha le mani tozze di chi ha speso la vita in Abruzzo, nei mestieri degli abruzzesi. Ma sono svelte e intonate mentre fanno il merletto con l’uncinetto, tic-tac, precise come un pendolo. «Servirà per una tovaglia, per un lenzuolo, vedremo». Mauro Masciovecchio ha le mani robuste e callose, e impolverate: con quelle si sta facendo la casa, nel giardino che aggrazia la sua villetta sul versante del Gran Sasso, in fila ad altre simili. Sono esposte a sud, il sole le abbraccia e le violenta da mattina a sera. Giovanna vive dai Palmerini, famiglia ampia e cordiale: la loro casa è una fotografia del 6 aprile 2009. Ai vari piani ci sono ancora i mobili rovesciati, i muri aperti dalla forza del terremoto. «Non possiamo viverci». Sono edifici classificati fra E ed F: inagibili, e ancora da verificare. Molte di queste famiglie – così anche i Palmerini – si sono sistemate nei giardini attorno alla vecchia casa, «per restare intorno alle nostre cose, per comodità, per conservare un po’ d’intimità».
Gli autorganizzati
Le tende a queste persone organizzatesi in proprio doveva comunque fornirle la protezione civile. «Dopo i primi dieci giorni passati a dormire in macchina, ce le siamo procurate da soli», proprio quelle blu “ufficiali”. Sono i cosiddetti campi autonomi, la famiglia Palmerini lo ha chiamato Prato fiorito. Ci sono le due nonne, poi Ernesto e la moglie Lidia, il figlio Ivan, la figlia Deborah con il marito Michele. Due nipoti, Dania e Vanessa, e due gatte esili, Chanel, nera chiazzata ruggine, e Lullaby, che va sul grigio scuro. I nomi di questi spazi esorcizzano il terremoto, spesso in dialetto, Campo mo’ tretteco: traballo, Campo tenemo resiste: resistiamo. Campo per miracolo, perché i quattro in quella tenda sono vivi per miracolo. La protezione civile vuole indietro le tende. Una direttiva ordina il progressivo ritiro: «Devono andare tutti nei campi ufficiali». Perché?
E perché non si può far sapere fra gli sfollati della manifestazione odierna a Roma, vietando i volantinaggi? Perché per riunirsi servono una serie di permessi che nemmeno la legge Cossiga sull’ordine pubblico, e ad ogni assemblea partecipa almeno un membro della protezione civile?
«Ci vogliono controllare: mi sono fatta quest’idea», interpreta così la situazione Deborah Palmerini, ingegnere con il contratto di solidarietà. Questa spiegazione è nei fatti. Una chiara volontà di tenere tutti in grembo, di non consentire dissidenza nemmeno “fisica”: nei campi ufficiali (a Paganica ce ne sono 5) non vengono più distribuiti i pasti ai non “residenti”. Che quando vanno a fare la spesa spesso incontrano i veri sciacalli, che non sono quelli che rubano nelle abitazioni abbandonate, «ma quelli che ti vendono un chilo di pomodori a 4 euro, e una bombola del gas a 50 euro». Nel provvedimento di proibizione all’uso delle mense si accusano gli approfittatori. Capirai: gente che si mette in fila per mangiarsi un pasto assieme agli sfollati. Più autenticamente, è un’altra misura per invogliare i secessionisti a vivere nei campi gestiti dagli uomini di Bertolaso. E ci sono altre ragioni, più materiali. Che spiegano anche l’ardore di queste persone umiliate da Madre Natura: i soldi non ci sono. Le promesse di Berlusconi – accaserò tutti entro settembre – sono contraddette dalla realtà. Gli emendamenti che “finanziavano” la copertura della zona franca urbana, la compensazione dei mancati introiti fiscali per gli enti locali, gli espropri per i terreni da utilizzare per le nuove case… sono stati bocciati in commissione Ambiente.
A chi ha provato a risollevarsi dal sisma in autonomia spetterebbe un contributo di 100 euro mensili (uno sfollato in albergo ne costa 1.500). Il terremotato fai-da-te è un risparmio per lo Stato. Ma solo virtuale, perché quei soldi non ci sono, i Palmerini non li hanno mai visti: «Forse liquideranno qualcosa a novembre…». Vittarli nei campi sarebbe un modo per stracciare il debito.
Le inadempienze generano sfiducia. E questa è gente che conosce il tempo, scandito dal cielo, e distingue una promessa da una battuta: «A settembre farà freddo, e a settembre mancano 80 giorni». Così Mauro si è fatto la base di cemento armato su 40 metri quadri di giardino, ha comprato il legno, lo coibenterà, «spenderò 10 mila euro, soldi miei». L’altro motivo per cui molti aquilani s’affrettano a farsi la casa è che «gli agglomerati previsti dal governo saranno dislocati qua e là, noi di Paganica abiteremo in tre zone lontane quindici chilometri da dove siamo cresciuti». Saranno venti porzioni in cui piazzeranno la popolazione di 67 frazioni del capoluogo: c’era una volta un paese.
Quel giorno bastardo morirono in cinque, perché molti paganichesi dopo la scossa delle 23 ripararono nelle macchine. Altrimenti sarebbe finita come a Onna, in scala maggiore, perché qui vivono in 4 mila. Da piazza della Concezione si vede uno scorcio di paese ferito, un museo a cielo aperto, i tetti sfondati, le pareti spalancate. Ma è il posto loro, vero Deborah? «Abbiamo questa tenda, e la nostra casa accanto: vogliono farci sentire abusivi nel nostro giardino». Nonna Giovanna si è portata avanti con il merletto, Mauro sta toccando le tavole, soddisfatto. Sotto la macchina una gatta nera si riposa: da come agita le zampe per aria, Chanel sogna.

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