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“La maturità celebra i miti giovanili”, di Edmondo Berselli

C´era stato un chiaro tentativo di riportare indietro orologio e campanelli scolastici, con l´esame di maturità «modello Gelmini»: un modernariato che l´aveva presa ideologicamente da lontano, prima con il voto in condotta e qualche modesta polemica contro il sessantottismo e addirittura il «sei politico».

E poi più di recente con la nuova cattiveria negli scrutini, un coefficiente più alto di non ammessi e l´annunciato recupero vintage dell´esame all´antica. Ma l´esame è una buffa creatura a sé: rifiuta di essere costretto entro codici ministeriali e anche politici e culturali. Il ministro magari, chissà, voleva una prova sacrale, di quelle che certificano una vecchia serietà novecentesca dei licei, ma non poteva immaginare che invece gli esami non solo non finiscono mai, ma cambiano sempre, anche a tradimenti. Sicché se doveva venire fuori un esame monacale, serioso, claustrale, la prova è fallita e il mesto funerale non si è celebrato: la scuola italiana sarà morta, ma l´esame è vivo, vitale, protervo, pronto ad assumere forme inattese, sorprendenti, eclettiche.
Bisogna anche immaginarli, quelli del centrodestra, che sono sempre combattuti fra un´idea della scuola tipo quella di Berlusconi vecchia maniera, «inglese internet impresa», tutta legata pedissequamente al mercato, e invece una certa idea passatista, fra grembiuli neri e fiocchi azzurri da ripristinare, nonché l´autorità dei professori da recuperare, in una specie di Amarcord babbione. Ma con l´esame di maturità i calcoli vanno quasi sempre fuori squadra, perché gli istinti della maturità risultano ogni volta stravaganti e imprevedibili.
Quest´anno, tanto per dire, l´istituzione esame si è presa alcune libertà mai viste, o mai viste in questa misura. A cominciare dal corredo di tredici fotografie messo a disposizione per la traccia sulla «cultura giovanile», in cui spiccano Elvis Presley e Jim Morrison, ma senza dimenticare cammei d´epoca come la Vespa, il Sessantotto parigino, la Beat generation, inevitabilmente i Beatles e l´inventrice della minigonna Mary Quant (con allegati testuali non particolarmente perspicui e neanche particolarmente suggestivi e aggiornati, per la verità). A cui si aggiungono escursioni più o meno contemporanee come i Nirvana e la rappresentazione non proprio omologante di un rave party.
Tutto quello, verrebbe da dire, che la signora ministra Gelmini dovrebbe considerare versioni più o meno sataniche di una modernità che dura ormai da mezzo secolo e che ha generato soprattutto trasgressioni, il «vietato vietare», tutt´altro che modelli borghesi d´ordine o di merito (anzi, di meritocrazia, come si dice ormai da tempo con una certa voluttà a destra).
Ma non importa. La versatilità dell´esame è molteplice. Questa volta c´è addirittura un tuffo negli anni Settanta del «riflusso», con la citazione esplicita di Innamoramento e amore di Francesco Alberoni (anche se datata proditoriamente 2009, ma andiamo!), il che dovrebbe dirci qualcosa sulla biografia degli esperti ministeriali, sui loro totem e tabù esistenzial-culturali, sulle tappe della loro Bildung, chiamiamola così. Così come commuove il tentativo di attualizzazione, con le tracce su Facebook, i social network, la creatività, l´innovazione, i new media, tutti i mantra della post-cultura di massa, nessuno escluso: ma dovrebbero spiegarcelo, Gelmini e i gelminiani di lotta e di governo, se vogliono il moderno o l´antico, perché poi altrimenti gli studenti, neghittosi e conformisti, potrebbero rifugiarsi nel solito Italo Svevo, l´opzione più scolastica e cinica, il classico dei classici, il «tema di italiano» e di cultura letteraria, cioè la dichiarazione di adesione opportunista ai valori della classe docente (della classe docente di quarant´anni fa).
A quel punto, la traccia sui 150 anni dell´Unità d´Italia ha un sapore meravigliosamente remoto, circondata dall´alone di un reperto prezioso, con sentori risorgimentali che si credevano dimenticati; e l´esercitazione sull´Ottantanove e il crollo del Muro di Berlino splende di uno stupendo colore ideologico, trasferendo fuori dalla Storia ma dentro gli esami il comunismo. Per arrivare felicemente alla conclusione secondo cui riformare gli esami di maturità è improbabile, e abolirli impossibile: alla fine, ministeri e ministri credono di cambiarli, di modernizzarli, di reinventarli: ma a dispetto di tutto, e di ogni velleità politica, sono sempre gli esami che passano l´esame.

La Repubblica, 26 giugno 2009