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“Ricerca, le ragioni del ritardo italiano”, di Silvio Garattini

Le organizzazioni no-profit, fondazioni o onlus che siano, esercitano nel nostro Paese una serie di preziose attività in campo sociale e culturale che su base volontaristica sostituiscono molto spesso le difficoltà dello Stato a soddisfare tutte le complesse necessità di una moderna società. In particolare non sono poche le organizzazioni che sostengono la ricerca scientifica soprattutto in campo biomedico in modo diretto con proprie strutture, laboratori e personale, oppure in modo indiretto attraverso manifestazioni che permettono di raccogliere fondi per borse di studio o di finanziare specifici progetti di ricerca.

È noto che in Italia la ricerca scientifica non è oggetto di molto interesse, né ora né in passato. I governi hanno sempre confuso la scienza con la tecnologia e comunque hanno sempre considerato entrambe un fiore all’occhiello che si mette in occasione di qualche festa ma non si considera una componente fondamentale per la crescita della società. Eppure, come si ripete da tempo, senza successo, senza ricerca è difficile sviluppare innovazione e mettere a punto prodotti ad alto valore aggiunto, gli unici che possiamo pensare di esportare verso i mercati internazionali.

È vero che lo Stato sostiene, anche se in modo insufficiente, l’Università ed enti di ricerca pubblici ma ciò non basta perché oggi molta ricerca richiede impegno a tempo pieno, su progetti di ampio respiro che richiedono multidisciplinarità, condizioni poco realizzabili solo nelle strutture pubbliche. Non vi è dubbio che anche la ricerca svolta con fondi pubblici ha bisogno di essere integrata dalla buona volontà e dalla generosità dei privati. Tuttavia se si vuole disporre di questa generosità occorre incentivarla attraverso facilitazioni fiscali.

Oggi le Fondazioni possono usufruire di alcuni vantaggi. I donatori possono dedurre dal reddito fino a un massimo di 70.000 Euro all’anno; i contributi versati dalle imprese sono integralmente deducibili. Tuttavia le Fondazioni che hanno una partita Iva e che hanno gestito la propria attività in modo oculato, spendendo meno di quanto sono riuscite a raccogliere, si ritrovano poi a pagare le imposte sugli eventuali avanzi di gestione, come se fossero profitti di impresa.

Rispetto ad altri Paesi questi incentivi sono chiaramente insufficienti. A gran voce il “mondo” della ricerca ha sempre chiesto di poter essere inserito nello schema dell’8 per mille sul pagamento delle tasse (Irpef) la quota che può essere donata oggi solo alla Chiesa cattolica, ad altre religioni ed a non ben precisate attività sociali dello Stato.

Poiché per ragioni facilmente intuibili questa proposta ha subito veti, il ministro Tremonti nel 2004 aveva stabilito la possibilità per i cittadini di destinare il 5 per mille delle proprie imposte ad una organizzazione di ricerca specifica, favorendo in questo modo l’impegno dei cittadini a selezionare gli enti che ritenevano più adatti alle proprie preferenze. L’avvento delle elezioni ha fatto allargare il provvedimento a tutte le organizzazioni, incluse quelle sportive e perfino ai comuni, impedendo di fatto che il provvedimento divenisse significativo per la ricerca. Va detto inoltre che i pagamenti arrivano con molto ritardo e con tutta una serie di complicazioni burocratiche, basti pensare che non è stato tuttora distribuito il 5 per mille relativo alle tasse del 2006.

Un altro provvedimento significativo è la possibilità per gli enti di ricerca di dedurre il costo dei ricercatori dall’imponibile dell’Irap, la tassa che serve ad integrare il fondo per il Servizio sanitario nazionale. Per il personale non strettamente scientifico, invece, è possibile dedurre dall’imponibile dell’Irap solo l’ammontare di contributi e 4.600 euro all’anno.

Per quanto concerne le donazioni ricevute, fino all’anno scorso era possibile tassare anche ai fini Irap le somme raccolte in ragione di un quinto all’anno; con provvedimento ministeriale e con valore retroattivo gli enti no-profit devono tassare interamente nell’anno le donazioni ricevute a partire dal 2008 oltre a recuperare quanto poteva essere non tassato negli anni passati, con notevole aggravio economico per tutte le organizzazioni di ricerca.

È possibile che non ci si renda conto che questo aggravio accentua le difficoltà in un periodo di crisi in cui ovviamente vengono a mancare molte risorse a sostegno della ricerca, quelle provenienti dalla beneficenza e quelle provenienti dall’industria? Se si aggiunge a questo aumento di tassazione la lentezza con cui lo Stata paga i suoi debiti e l’abolizione da parte del ministero della Ricerca dei modesti contributi che venivano dati agli enti no-profit di ricerca, sembra proprio che si voglia ulteriormente indebolire la ricerca scientifica italiana. Francamente è difficile capire a chi giovi questa politica!

Il Messaggero, 26 giugno 2009