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Intervista a Piero Fassino: “C’è troppa nostalgia intorno a Bersani. E Marino è un laicista”, di Tommaso Labate

«Sconcerto» e «sorpresa». Sono gli stati d’animo con cui Piero Fassino ha accolto il discorso di Massimo D’Alema alla Festa del Pd. «Sì, quelle parole sono state sconcertanti. Massimo ha usato un tono aggressivo, che non favorisce il clima di confonto che lui stesso rivendica per sé», dice l’ex segretario dei Ds, coordinatore della mozione Franceschini. Che a quest’intervista con il Riformista affida la sua lettura della prima fase del congresso Pd, insistendo su un punto: «Il messaggio che arriva dal fronte Bersani è quello della nostalgia di ciò che eravamo».

D’Alema ha detto: «Un gruppo dirigente che fa la guerra alle maggiori personalità del suo partito è un gruppo dirigente modesto, non innovatore».
Nessuno, e men che meno Franceschini, vuol fare la guerra a D’Alema o cancellare questa o quella esperienza dal Pd. Io, che sono il coordinatore della mozione di Dario, sono stato segretario dei Ds per sette anni e non rinnego alcunché. Tra l’altro, all’epoca della mia segreteria, scelsi di gestire il partito in maniera unitaria. E non a caso, in quell’epoca, la dialettica tra Veltroni e D’Alema era molto meno accentuata.

Non negherà, Fassino, che il video con cui Franceschini ha annunciato la sua candidatura…
Io sono sincero. Penso che Dario non avesse intenzione di attaccare D’Alema. Può darsi che abbia usato un’espressione infelice, certo. Ma tutti noi, Massimo compreso, abbiamo un’esperienza politica sufficientemente lunga per capire che non si possono impiccare le persone a una frase. Altrimenti, anche solo per le cose sentite negli ultimi giorni, potremmo fare un’enciclopedia di espressioni infelici.

«Non lascio il partito a quelli che c’erano prima», Franceschini dixit.
Neanche a me quella frase è piaciuta. Ma Dario sa benissimo che senza i sacrifici di Ds e Dl questo partito non sarebbe mai nato. Lo ripeto per l’ultima volta: Franceschini non ha intenzione di cancellare qualcosa o qualcuno dal Pd. E aggiungo una cosa: se il nostro dibattito interno non smette di sembrare una rissa velenosa e rancorosa, al congresso non potremmo discutere dei nodi veri che siamo chiamati a sciogliere.

Esempio?
Siamo in mezzo a una crisi che sta esponendo gli italiani a nuove insidie. In più c’è un governo che dimostra di non essere all’altezza del compito, con un premier che vede crollare ogni giorno di più la sua credibilità. Il congresso del Pd deve rimettere al centro il Paese, le sue aspettative. Abbiamo visto ridurre il nostro consenso, perso roccaforti come Sassuolo e Prato: adesso è arrivata l’ora di smettere di essere un «partito di minoranze» e rispondere alle esigenze degli italiani. Come ci poniamo rispetto a un debito pubblico del 120% che impedisce di avere le risorse per dare l’assegno ai precari e fare gli asili nido per tutti? Come evitiamo che le fobie alimentate dalla Lega continuino a fare presa sui cittadini? Il Pd deve farsi carico delle paure degli italiani. Tentare di rispondere alle aspettative del Paese: la vocazione maggioritaria è questa, non una questione di legge elettorale.

Bersani insiste sulla costruzione del «partito». E voi?
L’idea che Bersani voglia costruire il partito e Franceschini voglia un indistinto movimento politico è una caricatura. Io voglio un partito, che abbia una solida base di iscritti, che sia radicato nella società e formi una classe dirigente sulla base del merito. Noi siamo favorevoli alle primarie ma, sia chiaro, non abbiamo in mente né un partito liquido né uno gassoso.

Cade una differenza tra «voi» e «loro»?
Dario e Pier Luigi sono figli di una lunga esperienza comune, per cui vedrà che le mozioni saranno più simili di quanto non si pensi. Ma una differenza c’è. Una ragazza mi ha scritto su Facebook che il Pd è un progetto bellissimo ma difficile da realizzare. E ha concluso così: «Torniamo a fare quello che facevamo prima. Per questo, voterò Bersani». Ecco: non voglio attribuirlo a Bersani, ma è vero che il messaggio che arriva dalla sua parte è imperniato sulla nostalgia di quel che eravamo. Al contrario, Franceschini trasmette l’idea che dobbiamo scommettere sul Pd.

Però è sostenuto da lei, Marini, Rutelli, Veltroni…
Dice che siamo eterogenei? Ma il Pd è nato per unire culture diverse, è questa la sua ragion d’essere. E poi, non dimentichiamo che Dario ha tenuto la barra dritta sulla laicità; ha risolto il problema della collocazione europea con la costituzione di un gruppo parlamentare insieme ai Socialisti; ha affidato l’organizzazione del partito a Migliavacca, non certo a un nemico dell’idea del «partito». Putroppo vedo che queste cose sono state rimosse troppo in fretta. Aggiungo una cosa: se dopo D’Alema anche io fossi passato a sostenere Bersani, tutti noi saremmo tornati indietro. Ds da un lato, Dl dall’altro.

Ci sarà il ticket Franceschini-Serracchiani?
Al momento questa ipotesi non c’è e non credo ci sarà. Aggiungo una cosa su Debora: certamente si è espressa in modo sbrigativo e forse anche irriverente, ma guardiamo la sostanza: le sue parole rappresentano la voglia di partecipazione delle nuove leve. Attaccarla è come guardarne il dito, trascurando la luna che la Serracchiani indica.

Cosa pensa della candidatura di Marino?
È una persona stimabile ma non credo che abbia il background per guidare un partito. E poi mi pare che la sua impostazione, più che «laica», sia «laicista». In pochi ricordano che Marino, all’inizio del dibattito al Senato, voleva rendere obbligatorio il testamento biologico. Soltanto successivamente, Ignazio cambiò idea. E penso che forme di integralismo laicista non facciano bene al Pd e alla sua credibilità.

Il Riformista, 7 luglio 2009

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