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“Crisi: la povertà nascosta”, di Paolo Andruccioli

Alessia ha 43 anni. È una operaia, vive a Torino. A trent’anni aveva acceso un mutuo per comprarsi la casa con il marito, operaio metalmeccanico. Il mutuo era alto, ma con due stipendi la vita era ancora possibile. Poi però il mutuo ha cominciato a galoppare e Alessia per stargli dietro si è dovuta rivolgere ad una finanziaria che le ha imposto un interesse al 15%. La vita si è complicata oltre ogni previsione, anche perché nel frattempo era arrivata la cassa integrazione. Alessia non ha avuto scelte. Un bel giorno ha convocato tutta la famiglia e ha chiesto un prestito di 38 mila euro per uscire dall’incubo.

Paolo ha 45 anni. È un operaio di una piccola fabbrica del milanese. Ha avuto qualche problema di salute e ora è in cassa integrazione. Anche lui, per stare al passo con le spese si è dovuto rivolgere a una finanziaria che gli ha proposto la soluzione della cessione del quinto dello stipendio. Sembrava la scoperta dell’acqua calda, poi però tra commissioni e tasso al limite dell’usura, gli interessi complessivi sono schizzati al 19%. Senza dirlo a nessuno dei suoi amici e usando una falsa identità per la vergogna, Paolo – fresco di divorzio – passa ogni tanto alla mensa della Caritas. Si vergogna, ma non sa che ci sono altri uomini divorziati che vivono provvisoriamente nella loro auto. E vanno a mangiare nelle mense Caritas. Sono storie qualsiasi. Come queste, se ne nascondono centinaia nell’Italia dei reality show. Alla faccia delle vendite di Suv (che comunque sono in flessione) e delle dichiarazioni del ministro Brunetta, che in uno dei suoi più riusciti guizzi di genio ha parlato di un’improbabile diminuzione della povertà in Italia.

In realtà la condizione dei lavoratori è in continuo peggioramento: cassa integrazione, licenziamenti, rapporti di lavoro precari, pensionati che prestano soldi a figli e nipoti, lo spettro dell’indebitamento che aleggia. E il peggio, secondo tutti gli osservatori, deve ancora venire: il temporale è previsto per autunno, quando scadranno la maggior parte degli accordi sulla cassa integrazione. Mentre sono incerti i risultati effettivi delle nuove norme del ministro Tremonti sulle imprese che non licenziano, quello che le statistiche ufficiali registrano come credito al consumo rischia così di esporre anche il mondo del lavoro dipendente all’usura.

Non è un caso che la Fiom abbia deciso di aprire uno sportello davanti a Mirafiori insieme ai volontari di un’associazione antiusura. Le prenotazioni per le consulenze finanziarie agli operai e agli impiegati Fiat sono in continua crescita da aprile. E visto che non ci fidiamo molto di Brunetta, siamo andati a vedere come stanno le cose. Cominciamo da Milano, una volta la città da bere, il nostro viaggio nella crisi. Nell’omelia della notte di Natale, il cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, ha lanciato un “Fondo famiglia-lavoro” per venire incontro alle persone che hanno perso il posto. Come avvio di questo fondo ha messo a disposizione un milione di euro attingendo – come ha spiegato in un Duomo stracolmo “dall’otto per mille destinato per opere di carità, da offerte pervenute in questi giorni per la carità dell’arcivescovo, da scelte di sobrietà della diocesi e mie personali”.

Luciano Gualzetti, vicepresidente della Caritas milanese, ci spiega che in questi mesi si sono attivate 1100 parrocchie che hanno fatto da tramite attraverso i centri di ascolto per vagliare le domande di aiuto finanziario. Quello di Tettamanzi è uno strumento a fondo perduto, non è un prestito, e si basa sull’attivazione di una rete di rapporti familiari e sociali che permettano alle persone che beneficiano di queste risorse di riorganizzare al meglio la propria vita segnata magari dalla cassa integrazione e dai licenziamenti: tre rate da mille euro per tre mesi. “Da aprile – racconta Gualzetti – abbiamo ricevuto 1500 domande; ne sono state analizzate 660 e a 500 famiglie abbiamo già risposto positivamente. Non vogliamo un intervento a pioggia. Ed è per questo che ci vuole tempo per vagliare situazione per situazione”. Non si tratta di un’iniziativa di solidarietà cattolica come tante altre.

L’iniziativa del cardinal Tettamanzi e della Caritas ambrosiana ha un target molto preciso: il mondo del lavoro. La condizione di base per ottenere l’aiuto è infatti legata alla perdita del lavoro, che deve essere certificata da gennaio 2009 in poi. “La maggior parte di quelli che si sono rivolti a noi – spiega ancora Gualzetti – fa parte della classe operaia: edili, metalmeccanici, ma anche piccoli artigiani che non sanno più a che santo votarsi. Abbiamo anche scoperto che ognuno di loro ha già un carico debitorio sulle spalle. E ci sono dei casi che davvero gridano vendetta: siamo venuti a sapere di finanziarie che tra costi e interessi fanno pagare il 28 per cento”.

Il Fondo Tettamanzi – che ha preceduto di qualche mese il Fondo lanciato dalla Cei (i vescovi italiani) e dall’Abi (l’associazione di tutte le banche italiane) – dunque, vuole essere non solo un’iniziativa di solidarietà ma un contributo alla lotta all’usura. Ed è anche la prova di due fatti evidenti: il progressivo impoverimento della classe operaia italiana (non si tratta più dei classici working poor) e l’assoluta insufficienza delle misure messe in campo dal governo. I fondi di solidarietà attivati dalla Chiesa sono anche la prova del fallimento della social card di Tremonti, che non è efficace neppureper le fasce più estreme della povertà.

“Per noi, purtroppo non è una novità – spiega Onorio Rosati, segretario della Camera del lavoro di Milano –. Da tempo parliamo di progressivo impoverimento che coinvolge i lavoratori dipendenti, gli operai, ma anche una parte della classe media. Con la crisi questo fenomeno ha subito un’indubbia accelerazione perché le banche hanno ristretto i rubinetti del credito, mentre la richiesta di credito al consumo per fare la spesa ha appesantito la situazione di indebitamento. Molte banche – con la crisi – hanno deciso di eliminare il credito al consumo e questo non fa che favorire le finanziarie”. Secondo Rosati la situazione – “senza fare allarmismi esagerati” – peggiora di giorno in giorno. “Gli stipendi e i salari erano già troppo bassi – aggiunge il segretario della Cgil di Milano – ma ora per moltissimi lavoratori si sono dimezzati. In cassa integrazione percepiscono infatti 800-900 euro al mese.

E poi ci sono tantissimi lavoratori che non possono beneficiare neppure della cassa integrazione e degli altri ammortizzatori sociali. Moltissimi giovani hanno perso il lavoro di recente e non hanno alcun paracadute. Abbiamo saputo di molti giovani che hanno perso il lavoro e, avendo magari un figlio, sono tornati a vivere con i genitori”. La crisi morde, le imprese si apprestano a licenziare e vedremo che cosa produrrà (se qualcosa produrrà) il decreto Tremonti. Nel frattempo si sposta verso il basso l’asticella degli over, di quei lavoratori che, avendo una certa età anagrafica, rischiano di rimanere per sempre fuori dal mercato del lavoro.“Qui a Milano – spiega ancora Rosati –quando si parlava di over fino a qualche tempo fa ci si riferiva ai lavoratori tra i 50 e i 55 anni. Ora parliamo di persone tra i 40 e i 45”. Un discorso, quello degli over, che approfondiremo nella prossima puntata. Intanto Rosati ci ricorda un altro dato emblematico: nel 2008 le persone iscritte alle liste di mobilità erano state 2000. Nei primi sei mesi del 2009 sono già 4000.

Rassegna.it, 7 luglio 2009