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“L’Ocse boccia la scuola italiana: ma è una bufala” di Girolamo De Michele

Il fatto: martedì 17 giugno sono stati presentati i risultati di due ricerche, TALIS 2008 e Economics Survey of Italy. Con un curioso intermezzo: ai presenti è stata prima distribuita, e poi ritirata una cartelletta contenente le sintesi e degli abbozzi di traduzione delle ricerche. Un comunicato del Ministero, e un articolo sul Corriere della Sera con ampi virgolettati (un pelino più distaccato quello su La Stampa), ci informano che con queste ricerche l’OCSE ha bocciato la scuola italiana, valutando positivamente l’operato del Ministro. Altri giornali, su carta e on line, grandi piccoli, piccolissimi riprendono – addirittura con taglia-e-incolla spudorati – la notizia.
Che però è falsa.
In sintesi: il Ministro spaccia per nuovi dati che sono vecchi, confonde il primo rapporto col secondo, e il secondo con uno ancora da stilare. E fornisce dati non veritieri. Che però i giornalisti italiani, in barba alla deontologia professionale e al controllo rigorosa delle fonti, prendono per veri: se lo dice il Ministro…
Bene: la verifica l’abbiamo fatta noi. Quello che segue è l’esito della nostra verifica dei poteri. Con, in Appendice tutti i link per chi volesse verificare come stanno le cose.

Di cosa si tratta?
Di due distinte ricerche. E di una terza che ancora non esiste.
L’OCSE, intanto: un organismo di ricerca e sviluppo. Che non è un istituto di ricerca e analisi didattica o pedagogica. Se l’OCSE deve scegliere tra due parametri, quello cognitivo e quello economico, non ha dubbi: all’OCSE non interessa la maggiore istruzione possibile, ma la più fruttuosa (su standard economici) al minor costo. E i dati OCSE sono spesso coerenti con precisi orientamenti politici, grazie a un sapiente uso dei parametri. Ad esempio, l’OCSE, in base ai propri parametri, valuta negativamente il sistema previdenziale italiano, il cui saldo è invece positivo, cioè in attivo.
Teniamolo presente.
L’OCSE produce un certo numero di rapporti, analizzando dati rilevati in proprio su un numero piuttosto alto di paesi. Non solo dell’Unione Europea: l’insieme dei paesi dell’area OCSE è, su certi temi, piuttosto disomogeneo, mettendo insieme buona parte dell’Europa, Brasile, Stati Uniti, alcuni paesi asiatici. Il risultato è che i dati OCSE non coincidono con i dati dell’Unione Europea.
Teniamo presente anche questo.
Sul sistema dell’istruzione, l’OCSE ha un proprio rapporto, Education at Glance. Ma EaG 2009 non è ancora stato elaborato.
Cosa è stato presentato il 17 giugno? Un rapporto economico che contiene un capitolo sull’educazione, basato su vecchie cifre, e un nuovo rapporto, TALIS 2008.
Cos’è TALIS 2008? Un rapporto che indaga i metodi, le aspettative, le percezioni di sé degli insegnanti: non del sistema scolastico, degli insegnanti. In modo più esplicito: «Talis non misura l’efficacia degli insegnanti o delle diverse pratiche d’insegnamento. L’inchiesta mette invece in rilievo le differenze tra i profili delle pratiche d’insegnamento, le attitudini e le convinzione nei diversi paesi partecipanti» [«TALIS will not measure the effectiveness of teachers or of different teaching practices. Rather, it will contrast profiles of teaching practices, attitudes and beliefs among the participating countries», Summary, p. 3]. TALIS 2008 non fornisce i dati che il Ministro presenta come nuovi, e che dovrebbero supportare le affermazioni dell’OCSE nel cap. 4 di Economics Survey of Italy. Questi nuovi dati potrebbero essere contenuti nel prossimo EaG 2009, ma al momento non esistono: il Ministro lo lascia credere (e i giornalisti italiani ci credono) con un accorto giro di carte sul tavolino.
E così due rapporti (reali) + uno (virtuale) diventano “Il rapporto OCSE”.
Tre rapporti, tre carte: venghino, signori, venghino, guardino le tre carte, dov’è il rapporto sulla scuola, sotto la uno, sotto la due, sotto la tre?

Chiarito questo, vediamo, punto per punto, cosa sostiene il Ministro muovendo le carte con consumato mestiere.

1. Il “Rapporto OCSE” attesta le cattive performance della scuola italiana: «per esempio, gli studenti italiani di 15 anni sono indietro di 2/3 di anno scolastico nelle scienze rispetto alla media europea».

Cattive performance della scuola italiana? Parliamone.
In primo luogo, teniamo presente che le pagelle OCSE «sono notificate con accertamenti tramite test (quiz): come le olimpiadi della memoria di Conti e Scotti nei loro giochi serali» (Franco Frabboni, Sognando una scuola normale, Palermo, Sellerio, 2009, p. 114).
Ciò premesso, entriamo nel merito. L’OCSE non tiene conto delle numerose indagini internazionali sull’apprendimento, ma utilizza un proprio sistema di valutazione, il PISA. La cui attenzione «non si focalizza tanto sulla padronanza di determinati contenuti curricolari, ma piuttosto sulla misura in cui gli studenti sono in grado di utilizzare competenze acquisite durante gli anni di scuola per affrontare e risolvere problemi e compiti che si incontrano nella vita quotidiana e per continuare ad apprendere» [da Cos’è il PISA?]: il PISA valuta non tanto il sistema scolastico, quanto l’humus culturale e sociale della società in cui si vive. Si noti che i dati PISA riguardano gli studenti quindicenni, indipendentemente dall’ordine di studi seguito; ma in molti paesi OCSE a 15 anni si è a 2 anni dalla fine del ciclo di studi, non a 3, come in Italia: l’esempio citato dal Ministro sulle scienze è particolarmente infelice. E si noti che il punteggio negativo ottenuto dall’Italia è un dato statistico: se esaminiamo le singole regioni, notiamo che la maggioranza delle regioni italiane sono al di sopra degli indici OCSE (sulle competenze scientifiche, ad esempio, 7 su 12). A conferma che i risultati negativi dipendono non dal sistema scolastico in sé, ma dai diversi contesti ambientali, come lo stesso rapporto Economics Survey of Italy riconosce in apertura del cap. 4: «large differences in pupils’ performance between regions, which may reflect socio-economic conditions rather than regional differences in school efficiency».
Ma soprattutto, l’OCSE e il Ministro non tengono conto di ben altre rilevazioni sugli apprendimenti, che danno risultati buoni, e talvolta lusinghieri: come il PIRLS 2006 (Progress in International Reading Literacy Study), che colloca la scuola elementare in posizione di eccellenza nel mondo; come il TIMSS 2008 (Trends in International Mathematics and Science Study), che sulle specifiche competenze scientifiche e matematiche conferma i risultati del PIRLS nella scuola primaria. Ad esempio, nelle competenze scientifiche gli studenti italiani sono secondi, in Europa, alla sola Ungheria.
OCSE e Ministro utilizzano un singolo dato, lo decontestualizzano e lo generalizzano su tutta la scuola, senza distinzione di ordine di studi e realtà locale. E la stampa italiana ripete in coro: l’OCSE boccia la scuola italiana.

2. Il “Rapporto OCSE” «ci dà ragione»

Così dice il Ministro. Che in questo modo fa passare per un’idea dell’OCSE la propria anticostituzionale idea di sottrarre fondi alla scuola pubblica per finanziare la scuola privata. Ignorando forse che l’OCSE stesso definisce la peggiore d’Europa e una delle peggiori del mondo, con buona pace del Ministro. Che è stato messo lì per eseguire il programma di tagli ideato dall’OCSE e vidimato dal Ministro Tremonti.
Immaginate un allenatore di calcio, poniamo del Milan, messo lì al posto del precedente per mandare in campo la formazione scritta dal Presidente; il quale ha provveduto a vendere un giocatore, poniamo Kakà, la cui presenza toglieva spazio al di lui pupillo Ronaldinho. Immaginate questo Presidente dichiarare ad agosto, senza alcun riscontro concreto, che «il Milan con Ronaldinho in campo è senz’altro più forte rispetto al passato». E adesso immaginate l’allenatore dichiarare: sono felice, perché il Presidente mi dà ragione. E immaginate una stampa servile riportare questa affermazione con titoli a tutta pagina.
Credete sia possibile? Se pensate di sì, siete in Italia.

3. Il “Rapporto OCSE” «parte dalla constatazione che l’assenza di chiare informazioni sulla valutazione degli studenti e dell’intero sistema, dai docenti all’amministrazione centrale, è stata la causa principale delle cattive performance»

Peccato che questo virgolettato non corrisponda all’apertura del cap. 4 di Economics Survey of Italy. Il rapporto sostiene infatti una cosa diversa: che i dati potrebbero essere incoerenti rispetto alla maggior parte delle nazioni dell’area OCSE a causa di una differente o non uniforme rilevazione [«Either the national examinations assess very different aspects of achievement from PISA, or the national assessment system is not applied uniformly»]. Dopo di che il rapporto OCSE sostiene che un sistema di rilevazione obbligatorio, e non facoltativo, agganciato a meccanismi premiali o punitivi potrebbe avere effetti positivi sul sistema dell’istruzione italiano, mentre attualmente «there are no consequences for either teachers or schools attached to the degree of success in meeting the objectives». In punta di logica, è persino banale notare che non si può dedurre da un’ipotesi (“è probabile che un sistema di incentivi e punizioni…”) un fatto, né un antecedente da una conseguenza.
Ma non è il caso di fare accademia: i fatti hanno il vizio di avere la testa dura. Il sistema di valutazione è facoltativo anche in quei livelli e ordini scolastici che eccellono per competenze non solo in Europa, ma nel mondo: cosa che non potrebbe darsi, se il falso sillogismo ministeriale fosse fondato.

4. Il “Rapporto OCSE” dimostra che «il costo più elevato dell’istruzione italiana è ampiamente dovuto al rapporto insegnante per studente, che è del 50% più alto (9,6 insegnanti ogni 100 studenti in Italia, rispetto a 6,5 insegnanti nell’area OCSE)»

Domanda: perché il costo dell’istruzione dev’essere misurato sul rapporto insegnanti-studenti, e non su quanto si spende effettivamente?
Risposta: perché in questo modo apparirebbe chiaro che l’Italia è uno dei paesi che meno spende per l’istruzione. Ma prima, vediamo come stanno le cose sulla presunta eccedenza di insegnanti nella scuola italiana.

Intanto: 6.5 nell’area OCSE, ma 7.5 circa nell’Unione Europea (nei 19 paesi che ne facevano parte nel 2007). E di nuovo: perché il paragone dev’essere fatto con un’area disomogenea come l’OCSE, e non la più congrua e coerente (anche in termini di progettazione e obiettivi) area UE? Mah…
Vediamo adesso qual è davvero il rapporto insegnanti-studenti. Non si capisce da dove il Ministro estrae questo 9.6 che permette di denunciare un tondo «50% più alto».
Gli studenti italiani nel 2008-2009 [fonte: il rapporto del Ministero La scuola statale: sintesi dei dati 2009]) sono 7.768.071, i docenti di ruolo 725.173. Ma in Italia si considerano docenti anche gli insegnanti di sostegno (87.190), perché sono pagati dal Ministero dell’Istruzione, mentre in Europa no, perché pagati dai ministeri della sanità. E dunque correttezza vuole che, se non vengono conteggiati nei dati OCSE, non devono esserlo neanche nei dati italiani. Non inventiamo niente: ogni serio studio, dal ministeriale Quaderno bianco sull’istruzione 2007 al Rapporto sulla scuola in Italia 2009 della Fondazione Giovanni Agnelli (Bari, Laterza, 2009), compie questa sottrazione. E lo stesso deve valer per gli insegnanti di religione (25.931), una peculiarità tutta italiana (che fino al 2005 non erano conteggiati perché non pagati dal Ministero dell’Istruzione). I docenti di ruolo comparabili con i loro omologhi di altri sistemi scolastici scendono così a 612.032, con un rapporto insegnante-studente pari a 7.8: quasi in linea con il 7.5 della media europea.
Se non ché, in molti paesi dell’UE e dell’OCSE esiste un sistema d’istruzione post-secondario non universitario, che in Italia non c’è: il sistema italiano distribuisce i suoi insegnanti su 3 livelli scolastici, i paesi dell’area OCSE su 4. Per riprendere il paragone calcistico, è come comparare una squadra che gioca col 4-4-2 con una che gioca col 4-3-1-2, e sostenere che la prima ha troppo giocatori, perché ne impiega 10, contro gli 8 dell’altra: bizzarro davvero, un Ministro che si straccia le vesti sulle cattive competenze matematiche degli studenti, e poi dà prova di scarsa competenza nella lettura dei dati.

E adesso vediamo quanti sono effettivamente i soldi spesi per la scuola. Emanuele Barbieri, già dirigente del Ministero dell’Istruzione, in Tagli e pretesti, un’utile sintesi del rapporto ministeriale La scuola in cifre 2007, comparando dati del Ministero, dell’ISTAT, del Bilancio dello Stato e dell’OCSE, conclude che «dal 1990 al 2007 la quota di risorse destinate al MPI o al MIUR per l’istruzione è passata dal 3,9% al 2,8% del PIL (-1,1% pari 16,9 miliardi di euro). Negli ultimi 10 anni la riduzione è stata pari allo 0,2% (3,07 miliardi di euro)» (per il dettaglio rimandiamo ai grafici 1 e 2 del rapporto). E la stessa OCSE, in Education at Glance 2008 (Tabella B3.3, p. 254) rileva che lo share di spesa pubblica per l’istruzione dell’Italia (69.6% nel 2005: nel 1995 era 82.9%) è inferiore tanto alla media OCSE (73.8%), quanto a quella dell’UE (81.2%).

5. Il “Rapporto OCSE” dimostra che «le principali cause di disturbo alle lezioni sarebbero le intimidazioni o le aggressioni verbali verso altri studenti (30%), seguono le aggressioni fisiche tra studenti (12,7%), le aggressioni agli insegnanti (10,4%), ma anche i furti (9,1%) e per ultimo il problema della diffusione di droghe e alcol (4,5%)»

Ebbene sì: non poteva mancare un implicito richiamo al virus del bullismo che starebbe devastando la scuola italiana, con buona pace delle ricerche che dimostrano il contrario.
Peccato che, di nuovo il rapporto TALIS 2008 non dica questo. Intanto, i dati si riferiscono alla «percentuale di docenti della scuola secondaria inferiore che lavorano in scuole i cui dirigenti riferiscono che le principali cause di disturbo sarebbero determinati comportamenti degli studenti» [«Percentage of teachers of lower secondary education whose school principal considered the following student behaviours to hinder instruction “a lot” or “to some extent” in their school»]: questi dati rilevano quindi la percezione dei dirigenti, non fatti appurati.
Ma soprattutto, si omette il dato medio dell’area OCSE, il cui confronto consente di dire se il clima scolastico (percepito dai dirigenti scolastici) nella scuola italiana è migliore o peggiore. Bene, ecco i dati [Tabella 2.8, pag. 46 di TALIS 2008]:

furti: Italia 9.1%, media OCSE 15.3%;
intimidazioni o le aggressioni verbali verso altri studenti: Italia 30%, media OCSE 34.3%;
aggressioni agli insegnanti: Italia 10.4%, media OCSE 16.8%;
aggressioni fisiche tra studenti: Italia 12.7%, media OCSE 15.9%;
diffusione di droghe e alcol: Italia 4.5%, media OCSE 10.7%.

E se invece della percezione dei dirigenti scolastici prendiamo in esame la percezione dei genitori? Per non sbagliare, usiamo ancora una fonte OCSE, tanto gradita al Ministro: Education at Glance 2008 [tabelle A6.2b. e A6.2C. pp. 130-131].

Percentuale dei genitori italiani che si dichiarano soddisfatti o molto soddisfatti della disciplina scolastica [«satisfied with the disciplinary atmosphere in the school»]?
80.9%: inferiore in Europa al solo Lussemburgo, e nell’area OCSE solo a Nuova Zelanda e Turchia.
Percentuale dei genitori italiani che ritengono che la scuola svolga un buon lavoro educativo [«The school does a good job in educating students»]?
92.1%: al vertice dell’intera area OCSE alla pari con la Nuova Zelanda.

Come vede chiunque si prenda la briga di verificare i dati forniti, i fattori di disturbo e gli episodi riconducibili al fenomeno del bullismo sono sensibilmente più bassi della media.

E allora, di cosa stiamo parlando?
Di un Ministro che non è all’altezza del proprio programma, ma il cui programma è all’altezza del proprio cognome?
Di giornalisti la cui faccia è all’altezza del Ministro, ma non del proprio specchio?

tratto da  http://www.carmillaonline.com/archives/2009/07/003102.html#003102

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