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“Quanto costa fare cassa?”, di Massimo Giannini

Come l’eroe di Stevenson, Giulio Tremonti vive due esistenze parallele. Di giorno il Dottor Jekill annuncia “mai più condoni” e scrive le 12 tavole della legge morale che deve dominare la finanza planetaria. Di notte Mister Hyde prepara uno scudo che consente agli evasori di rimpatriare capitali con un gigantesco salvacondotto tributario, penale e amministrativo.

Qual è il vero volto del ministro dell’Economia? E qual è la valutazione etico-politica che questo governo dà dell’infedeltà fiscale dei suoi governati? Alla vigilia del varo delle norme sul rientro dei capitali esportati e detenuti all’estero la confusione regna sovrana e ogni dubbio è legittimo. C’è una sola, incontrovertibile certezza. Le bozze in circolazione. Ultima tra tutte quella anticipata ieri da Repubblica, sono uno scandaloso insulto allo Stato di diritto, alla civiltà giuridica e all’equità sociale.

Le smentite di Via XX Settembre e Palazzo Chigi, per un verso confortano, per l’altro inquietano. Non basta negare l’esistenza di un testo “apocrifo”, senza dire una sola parola chiara su cosa prevede l’originale. È noto da mesi che lo scudo fiscale al quale sta lavorando il governo contempla una forma, più o meno esplicita, di condono tombale. Per una ragione molto semplice: senza la cosiddetta “esclusione di punibilità” per gli illeciti tributari (come l’omessa dichiarazione o la dichiarazione fraudolenta) e per i reati penali (come il falso in bilancio o la bancarotta fraudolenta) l’operazione di rientro dei capitali esportati illegalmente rischia di rivelarsi un flop. Il bilancio pubblico piange: nei primi quattro mesi dell’anno le entrate tributarie sono crollate del 3,8%, pari a 4,3 miliardi di euro in meno rispetto al primo quadrimestre del 2008. Servono soldi, per contenere un deficit sempre più fuori controllo. I primi due scudi fiscali varati dal governo della Cdl nel triennio 2001-2003 sono un caso di scuola. Già allora non fu prevista alcuna forma di regolarizzazione fiscale. L’aliquota applicata ai capitali da far riemergere fu un obolo poco più che simbolico: il 2,5%. Risultato: rientrarono 43,2 miliardi di capitali, 29,8 furono regolarizzati ma rimasero all’estero e nelle casse dell’Erario finirono poco più di 2 miliardi.

Ora, da quanto e trapelato in questi mesi, il governo ha obiettivi più ambiziosi. Si punta a un gettito potenziale di 5 miliardi, attraverso un marginale aumento delle aliquote (tra il 5 e il 7,5%). Ma per ottenere il bottino non basta l’inasprimento della fiche di rientro. Questo governo (che ha già smantellato norme anti-evasione come la tenuta dell’elenco clienti-fornitori e la tracciabilità dei pagamenti) deve garantire agli evasori anche un nuovo “premio di rischio”. Se fai rientrare i capitali non solo non ti punisco perché li hai nascosti, ma ti premio mettendoti al riparo dai pericoli di futuri accertamenti con una sanatoria pregressa estesa non solo alle persone fisiche, ma anche a quelle giuridiche. Questo è lo schema, al di là delle smentite di rito. E qui sta l’ennesima “legge porcata”, per usare il linguaggio ruvido ma efficace di Antonio Di Pietro. In questi anni altri paesi, dal Belgio all’Irlanda, hanno varato i loro scudi fiscali. Ma in Germania il governo tedesco ha fissato un’aliquota del 25%. E in Gran Bretagna il governo inglese ha obbligato i contribuenti che riportavano in patria i capitali a rendere nota al fisco la propria identità, esponendosi all’alea dei controlli. Il governo italiano non ha lo stesso coraggio. Fa l’esatto opposto. Con la faccia feroce finge di minacciare gli evasori, con la faccia tosta gli perdona tutti i peccati. Questo, per usare una vecchia formula cara al ministro dalla doppia identità, si chiama “Stato criminogeno”.

La Repubblica, 13 luglio 2009