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“Trent’anni da prof, Gelmini ora li mette fuori scuola”, di Marco Bucciantini

«Mamma, non ridi più», le ha scritto Manuela. È la lettera d’auguri e di rimpianti per i 50 anni di Antonella, maestra, madre di due figli (il maschio si chiama Gabriele), precaria da 19 anni, 170 punti da spendere dove? «Da settembre non lavorerò più». Accanto alla signora Giuliano, venuta in pullman da Napoli, ci sono padri e madri ed eterni ragazzi che non possono crescere, perché il precariato impedisce loro la pienezza dell’età adulta. Ma il precariato, per questa gente, è perfino una speranza da quando il ministro Gelmini ha fatto un mucchio, 8 miliardi insieme a 132.841 fra insegnanti e personale non docente, e ha chiuso tutto nello stesso sacco. Via. Tagli, esuberi. «Per lei noi non esistiamo».

Qui, davanti a Montecitorio, esistono. Sono in carne e ossa e sudati perché dalle undici i palazzi non schermano più dal sole spietato e umido. Antonella ha scarpe comode per resistere un giorno intero, in piedi, e poi in serata, all’assemblea dei 20 coordinamenti di insegnanti precari, gli organizzatori di questo raduno, stretti sotto la loro bandiera color fucsia. Cominciò con le brevi supplenze nel 1990. Il tempo vola, ma non passa: «Supplenze più solide, incarichi annuali, l’eterna attesa e questo peregrinare da una scuola all’altra. Se la mesata è intera, fanno mille e 120 euro. Pochi, in casa mancheranno». Ha vinto quattro concorsi, per questo ha un quel punteggio alto, ma non le serve: «Ho fatto domanda per il nord, sono disposta a emigrare». Per legge nelle province “straniere” i precari finiscono in coda. «A Parma sarei prima, con un bel vantaggio. Mi hanno messo in fondo: difendono i loro precari, in questa guerra fra poveri. Ho fatto ricorso».

Precari dai tempi di Jimmy Carter
«Io di concorsi ne ho vinti cinque», e questa è Florinda Puzone, carnagione chiara e provata dall’afa, sandali, molta voglia di dire che non è giusto, precaria da 28 anni, ma come fa uno Stato ad avere un conto aperto di tre decenni con i suoi cittadini? «Cattive politiche, ma le paghiamo tutte noi. Perché poi – per rimediare – avevano deciso di assumere in 3 anni 150 mila insegnanti. Quella legge è finita nel cestino». Florinda è precaria da quando Jimmy Carter era presidente degli Usa, Bob Marley era ancora vivo (e cantò a San Siro) e l’Inter di Bersellini vinceva il Campionato: 29 anni fa. «Pochi giorni di lavoro al mese, dal 1986 le supplenze diventarono più continue e decido: mi sposo, nasce mio figlio, vinco i concorsi, il precariato diventa una certezza di vita. Devi penare, aspettare l’uscita dei calendari, ma sai che da qualche parte potrai lavorare. Adesso è finita». La maestra Puzone ha 52 anni, la pensione è un miraggio, i bambini le danno del tu: «Resta con noi, non te ne andare, mi dicono alla fine dell’anno. Vorrei, non posso. Ogni anno, nuova classe: la continuità dell’insegnamento è fondamentale, specie e a piazza Mercato (sempre Napoli) dov’è è prezioso assecondare un rapporto di fiducia con gli scolari». Quest’anno ha guadagnato 5 mila euro perché ha insegnato a bocconi, un morso qui, uno là. Da dicembre a marzo era disoccupata.

CARNE, OSSA E MEGAFONI
Questa manifestazione di metà luglio è coraggiosa, nei suoi piccoli numeri (circa 300 persone) e nelle sue molte adesioni: tutti i sindacati e i partiti del centro sinistra. Si affaccia Franceschini (e non è semplice, si prende qualche fischio). Dice: «Sto con voi». L’Idv è qui con le bandiere e poi arriva Di Pietro che non si fa sfuggire il megafono. Francesco Cori è appassionato, giovane, 35 anni, anche lui usa il megafono, «insegno a un Liceo, la mia è una cattedra libera, eppure non me l’affidano. Per lo Stato meglio essere un precario, così possono tagliarmi». Vincenzo Terracina insegna Elettronica negli istituti tecnici, è quarto in graduatoria da una vita. In Italia le graduatorie scorrono lente come acqua stagna: bloccarono le assunzioni, 17 anni fa, per dare la precedenza ad altri disperati. E Vincenzo è rimasto a galleggiare e invece di vedere la riva adesso affoga: «Vent’anni di supplenze, concorsi, aggiornamento, passione. E ora?». Qualcuno porta la Gazzetta Ufficiale, fresca di stampa: da oggi il decreto Gelmini è legge.

L’Unità, 16 luglio 2009