università | ricerca

“Bravo, indiano, prof alla Bocconi. Il «cervello» fermato alla frontiera”, di Gabriela Jacomella

Vikas Kumar ha 32 an­ni compiuti da poco, una laurea in Economia e un master a Dehli, un PhD (l’equivalente di un nostro dotto­rato) a St. Louis. E ha, o meglio ave­va, un contratto in Bocconi. Un posto che in moltissimi sognano e a cui Vikas ha rinunciato, dopo 4 anni di più che onorato servizio nelle aule dell’università milanese. Tra l’entu­siasmo degli esordi e la disillusione dell’addio, i mesi di attesa per un per­messo di soggiorno che non arriva mai.

A raccontare la storia di Vikas è Lo­renzo Peccati, prorettore per le risor­se umane della Bocconi. «Kumar è ar­rivato da noi quasi 5 anni fa, con un ruolo di assistant professor (ricerca­tore a tempo determinato). L’aveva­mo scelto sul Job Market, un appunta­mento annuale dove i migliori «cer­velli » vengono selezionati a livello in­ternazionale; gli abbiamo offerto un contratto di 6 anni, tra i benefit c’era la possibilità di un anno sabbatico, mantenendo stipendio e fondi di ri­cerca, da trascorrere in qualunque ateneo del mondo».

È l’estate 2008: Kumar, che ha già rinnovato una volta il permesso di soggiorno (da 2 anni, allora il massi­mo per un contratto di quel tipo), de­cide di sfruttare l’occasione. «E sicco­me è bravo, viene accettato a Stan­ford. Sarebbe dovuto rientrare alla fi­ne di quest’estate».

Ma il visto, nel frattempo, è scadu­to.

Da molti mesi. Nel corso dei quali la Bocconi non è stata con le mani in mano: «Grazie al decreto legge uscito a gennaio 2008, docenti e ricercatori stranieri ora possono ottenere un per­messo che copra tutta la durata del contratto. Ma l’ente che li assume de­ve iscriversi a un albo istituzionale, per poi avviare la procedura. Ebbene, l’albo è comparso sul sito del Ministe­ro dopo 9 mesi.

E fino ad oggi non sono risultati di­sponibili i moduli necessari». Morale (mesta) della favola: «Vikas chiedeva notizie, e noi non potevamo far altro che rispondergli: ci stiamo lavoran­do… Penso che a un certo punto ab­bia fatto due più due. Poco tempo fa è arrivata una lettera molto gentile, con cui rende noto di avere accettato l’offerta dell’università di Sydney».

Una storia tra le tante, almeno stan­do all’indagine che la Fondazione Ro­dolfo DeBenedetti ha dedicato agli studenti stranieri di dottorato in Ita­lia. Ce ne sono tremila, e il 77% viene da Paesi extraeuropei. Arrivano ri­chiamati dalla «buona reputazione della ricerca» in Italia (43%), dalla di­sponibilità di una borsa di studio (il 54% dei non-Ue). E lottano, ogni gior­no, con la nostra burocrazia: per il permesso di soggiorno, uno studen­te su 5 aspetta più di un anno. E per avere un appuntamento in questura il 77% deve attendere oltre un mese. Con relative difficoltà nel viaggiare — che siano conferenze all’estero o vacanze in famiglia — per uno su 4. E costi non indifferenti: tra i 50 e i 200 euro, così dichiara il 68% degli in­tervistati. «Sono in Italia dal 2006 e ho già fatto due rinnovi», conferma Mark Dincecco, ricercatore all’Imt di Lucca, coetaneo di Vikas e california­no. «Per chi ha il passaporto america­no la situazione è meno grave, ma la sensazione di insicurezza c’è lo stes­so. A ottobre 2007, per il primo rinno­vo, ho aspettato quasi 10 mesi: il nuo­vo permesso è arrivato a luglio, e in settembre era già scaduto. In questu­ra la risposta era, invariabilmente, ‘a Roma è tutto bloccato’. Chissà che si­gnifica…

». A settembre, l’indagine della Fon­dazione sarà presentata in Bocconi, «a un convegno cui interverrà anche il ministro Gelmini — anticipa l’eco­nomista Tito Boeri —, con una sessio­ne su brain drain e brain gain ». Fuga e attrazione di cervelli. «Perché non solo ne arrivano pochi, ma quei pochi facciamo anche fatica a trattenerli. E ogni studente è un investimento importante: un dottorando costa, in media, 200-250 mila euro all’anno». Peccati conferma: «Bisogna pagare i docenti che vanno al Job Market, poi si invitano qui a spese nostre i candidati, e per chi viene preso c’è, di base, uno stipendio superiore a quello di ingresso di un associato». Anche per questo la Bocconi, insieme ad Assolombarda, ha deciso di sedersi a un tavolo con Comune, Questura, Prefettura, per lavorare a uno snellimento delle procedure. «La legge c’è: vogliamo solo poterla usare».

Sul sito della Bocconi, alla pagina personale di Vikas, è indicata la sua «area di interesse scientifico»: strate­gie di internazionalizzazione. Non oc­corre andare a cercarlo in Australia per capire che, tra tutte le tattiche possibili, quella seguita finora dal­­l’Italia è decisamente sbagliata.

Il Corriere della Sera, 24 luglio 2009