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“Ciampi e la festa per l’ Unità d’ Italia: non faccio da alibi, pronto a lasciare”, di Breda Marzio

«Se non si muoverà nulla, se non ci sarà niente di nuovo da parte del governo, a settembre lascerò il comitato dei garanti per le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’ Unità d’ Italia. Un passo che mi sembra ormai inevitabile, dato che non avverto alcuna voglia di impegnarsi seriamente in quest’ iniziativa. Insomma, più che i soldi per metterla in cantiere, come mi sono sentito ripetere infinite volte nei mesi scorsi, quello che manca davvero è il cuore, l’ animus. Togliendo il mio nome di mezzo potrò almeno dire di non aver fatto da alibi a nessuno».
E’ deluso e amareggiato, Carlo Azeglio Ciampi. Il primo impulso per onorare nel 2011 il giubileo della Nazione è maturato quand’ era ancora al Quirinale e fu poi raccolto, nel 2007, dall’ allora premier Romano Prodi. Il quale insediò l’ organismo che avrebbe dovuto «monitorare» e «verificare» i progetti delle celebrazioni, il comitato dei garanti, appunto, affidando a Ciampi la presidenza. Una scelta obbligata, se si considera che proprio a lui si deve l’ unico serio tentativo di riannodare gli ideali d’ origine della patria e di rinsaldare l’ identità degli italiani. «Quello fu un lavoro di pedagogia civile nel quale ho creduto molto e durato per il mio intero mandato sul Colle, arginando a volte rimozioni, negazioni, revisioni, amnesie, travisamenti inquinanti», dice l’ ex capo dello Stato.
«Qualcuno parlò di una studiata “politica delle feste”, anche se lo sforzo fu per me del tutto naturale e, mi pare di poter dire serenamente, senza retorica. Nell’ intento di far emergere sentimenti relegati in un angolo e del quale la festa per il secolo e mezzo dell’ Unità avrebbe dovuto essere il coronamento. Purtroppo, però… ». Purtroppo, mentre l’ anniversario si avvicina, l’ unica iniziativa presa, e successivamente perfezionata dall’ esecutivo Berlusconi, è uno scoordinato complesso di 11 opere pubbliche sparse nella penisola, cui si sono aggiunti altri 14 interventi (il nuovo palazzo del cinema di Venezia, un parco costiero, un campo di calcio, una caserma convertita a campus universitario, perfino piste ciclabili, ecc.).
La prova che, come ha denunciato sul Corriere Ernesto Galli della Loggia, la nostra «classe politica, tutta, di destra e di sinistra, ha dell’ Italia e della sua storia un’ immagine a brandelli e di fatto inesistente». Infatti, tranne il caso di Torino e del Piemonte che hanno deciso di muoversi per proprio conto, non si è pensato né di allestire «una mostra memorabile», né un «grande museo della storia nazionale», né «una grande biblioteca». Solo un po’ di denari distribuiti «a pioggia», e «senza alcun criterio ideale o pratico», dallo Stato «grande elemosiniere». Lasciando nell’ inerzia i garanti, il cui numero era intanto stato allargato.
Spiega Ciampi, che concorda con la desolazione di della Loggia: «In realtà ci siamo riuniti più volte, la prima addirittura al Quirinale, ma è sempre mancata la controparte. Cioè il governo, cui competono le decisioni. Finché, tre mesi fa, scrissi al ministro della Cultura per sollecitarlo a elaborare un programma, facendogli capire il mio malessere». Risultato? «Bondi venne subito da me per scongiurarmi di rimanere nel comitato. E provvisoriamente accettai». Una visita che non ha avuto un seguito apprezzabile, tranne la scelta del logo, per il presidente. E, fermo restando che ai garanti compete «soltanto valutare le iniziative culturali, non certo le opere pubbliche», il rammarico è che non sia stata presentata alcuna proposta. «Né minimalista né ambiziosa, come furono ambiziose e importanti le opere dei giubilei per i cinquant’ anni e per il centenario dell’ Unità». «La scusa è che, tra crisi economica e terremoto in Abruzzo, non c’ è neppure un centesimo e che bisogna dunque tirare la cinghia». Esattamente lo stesso pretesto utilizzato l’ otto marzo 1977, quando il governo abolì la festa della Repubblica «per esigenze di risparmio» (la crisi a quei tempi si chiamava «congiuntura»).
Per cui si ebbero vent’ anni di stop a ogni celebrazione, compresa la parata militare ai Fori Imperiali. Una cosa impensabile a Parigi, a Londra o a Washington. Quasi che l’ orgoglio della nostra storia contasse meno di un piccola rinuncia. L’ economista Ciampi ammette che il finanziamento possa rappresentare un problema, «ma di sicuro non insormontabile». Per lui basterebbe che alcuni ministeri («ad esempio quelli dell’ Istruzione e della Difesa») scavassero tra le pieghe dei loro bilanci per trovare le risorse necessarie a qualche iniziativa culturale mirata. E che magari attingessero «anche all’ aiuto di soggetti privati che intendano contribuire all’ evento, concedendo loro in modo accorto l’ uso del logo ufficiale». Basterebbero – insiste, cercando di «non essere solo negativo o depresso, quanto semmai realista» – «poche iniziative coerenti, secondo un format da definire, nelle quali gli italiani siano in grado di riconoscere la propria storia di popolo.
Tali da dare luogo a momenti unitari e non convenzionali di ricordo e di festa. Penso a qualche studiata rivisitazione del passato, svolta con una forte presa emotiva come quando monta l’ onda del mare. Qualche appuntamento utile a risvegliare la nostra società dal torpore spirituale e culturale in cui galleggia». Un’ amnesia identitaria alimentata forse anche dalla rincorsa dei diversi particolarismi. Non a caso la Lega Nord (che magari nicchia sull’ Unità d’ Italia, festeggia invece in pompa magna la battaglia del 29 maggio 1176 a Legnano) produce la concorrenziale nascita di una Lega Sud. Con l’ effetto di perpetuare la sindrome di un «noi diviso» tra gli italiani. «Non getti olio sul fuoco, per carità», sospira il presidente. «Gliel’ ho già detto: mi appresto ad andarmene. Non c’ è l’ animus per fare nulla, per i 150 anni di questo pietrificato Paese». In definitiva: il suo timore è che, quanto a identità, stiamo diventando malati di Alzheimer.

Il Corriere della Sera, 24 luglio 2009

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