attualità

Corte dei Conti, appello al Quirinale “Le nuove norme sono incostituzionali”, di Liana Milella

Corte dei Conti, appello al Quirinale “Le nuove norme sono incostituzionali”. L’ultima speranza è Napolitano. Alla Corte dei conti, i magistrati non osano farne il nome, ma sono convinti che lui potrebbe fermare norme «palesemente incostituzionali» come quelle infilate, con il lodo Bernardo, nel dl anti-crisi. Nuove regole che freneranno la loro azione e creeranno «un’ingiustificata zona franca» in cui si potrà usare in eccesso o rubare soldi dello Stato. Tutto contro gli articoli 97, 100 e 103 della Carta che assicura «buon andamento e imparzialità dell’amministrazione» e affida alla Corte la funzione di “angelo” controllore.

Ormai è questione di giorni. Oggi il decreto, con il restyling della Corte messo in mano al piediellino Maurizio Bernardo, sarà votato alla Camera per passare al Senato, dove non ci saranno cambiamenti. Sconfitto anche a Montecitorio l’ultimo tentativo di Pd e Idv di costringere il governo almeno a una revisione ex post: tutte e due gli ordini del giorno sono stati respinti. Dice la democratica Donatella Ferranti: «Il governo si è chiuso a riccio, nonostante avesse manifestato per un momento una timida, seppure tardiva, ammissione di colpa, ma poi ha fatto il passo indietro». Sconfitto il dipietrista Massimo Donadi che vede il centrodestra «pronto a spuntare le armi della Corte per sottrarre gli amministratori pubblici al controllo dello Stato».

Nelle mani di Ferranti e Donadi, e di altri capigruppo tra Camera e Senato, arriva l’ultimo documento dell’Associazione dei magistrati contabili, firmato dal presidente Angelo Buscema, dal vice Tommaso Miele, dal segretario Eugenio Francesco Schlitzer. Si sono riuniti di prima mattina e lo hanno scritto di furia. Il testo non lascia dubbi: il governo ha messo la fiducia su norme che «vanno contro la Costituzione». Di cui non si comprende la ratio e di cui sfugge l’urgenza. Proprio qui s’annida la prima incostituzionalità: perché in un decreto economico finiscono norme sulla Corte, che non hanno «alcuna compatibilità» con il tema generale e non rivestono «carattere di necessità e urgenza»? A meno che l’urgenza non stia, come ipotizza la Ferranti, nella necessità di «un parafulmine per il premier contro l’eventuale contestazione di un danno all’immagine dello Stato», a seguito di feste e festini.

Sulle regole dei decreti violate i desiderata vanno verso Napolitano che, giusto il 15 luglio, ha bacchettato il governo per la legge sulla sicurezza e lo ha rampognato per «provvedimenti eterogenei, frutto di concitazione e congestione». Di certo, come il dl anticrisi. Ma non basta. Il lodo Bernardo viola la Carta quando impone di aprire un’inchiesta «a fronte di una specifica e precisa notizia di danno», per cui, come dice la Ferranti – ex pm ed ex segretario generale del Csm – «si bloccheranno molte indagini». Scrivono i magistrati: «Si viola il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione».

Le anomalie continuano. Viola la Carta, che garantisce alle toghe autonomia e indipendenza, prevedere che, «nei fatti», le Sezioni regionali della Corte, il motore delle indagini, siano «espropriate» a favore delle Sezioni riunite. Su mandato del presidente potranno «adottare pronunce di orientamento generale su questioni risolte in modo difforme dalle sezioni regionali». Chiosa l’associazione: «Ciò renderebbe superflua ogni successiva pronuncia delle Sezioni regionali svuotandole di funzioni significative». Se si aggiunge che, con la legge Brunetta, il presidente decide chi deve far parte delle Sezioni riunite il gioco è fatto, l’autonomia va a farsi benedire. Per dirla con Donadi: «Centralizzazione e gerarchizzazione mettono la Corte dei conti sotto il controllo dell’esecutivo».
La Repubblica 28.07.09