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“Lo Stato di diritto e di libertà”, di Nadia Urbinati

Per Max Weber, una delle funzioni essenziali e imprescindibili dello Stato è il “monopolio della violenza legittima”. Per Hobbes, senza questo monopolio, la vita umana è solitaria, povera, cattiva e brutale

Nel corso degli ultimi decenni ha preso corpo un´ideologia anti-unitaria costruita su due identificazioni pregiudiziali: dell´unità dello Stato con lo statalismo e della Nazione con il nazionalismo. Unità dello Stato e unità della Nazione sono diventati il bersaglio polemico di movimenti e partiti che sono riusciti a siglare un´alleanza egemonica tra l´ideologia dell´anti-stato sociale e l´ideologia localistica. Il cemento di questa alleanza è stato trovato nell´idea di “libertà da”: libertà dallo Stato e libertà dalle responsabilità verso l´unità larga in nome di unità strette. Con la prima libertà si é inteso restringere il ruolo dello Stato per dare più potere non semplicemente al mercato, ma ai privati, alle associazioni e alle comunità. Con la seconda libertà si é inteso deprimere il valore del soggetto macro-collettivo (la nazione) per esaltare soggetti micro-collettivi (dalle regioni ai borghi). Esempi recentissimi di questi due processi devolutivi di autorità da entità impersonali e anonime a entità personali e quasi domestiche sono l´istituzione delle ronde e la proposta sulla cultura locale. In entrambi i casi, la rivolta contro il principio unitario è stata presentata come estensione della libertà dell´individuo. Le cose sono però più complicate e ambigue.
La partecipazione della società civile alla gestione della sicurezza può andare nella direzione contraria a quella rivendicata dai difensori delle ronde, proprio perché mette a repentaglio le basi dello Stato togliendogli una delle sue funzioni essenziali e imprescindibili – per usare le parole di Weber, «il monopolio della violenza legittima». Nel Leviatano, Hobbes scrive che senza questo monopolio, la vita umana è solitaria, povera, cattiva, brutale e corta perché non c´è agio per occuparsi di arti, commerci e ricerca; lo stato di natura come guerra di tutti contro tutti è l´incubo per neutralizzare il quale è sorto lo Stato moderno. Le ronde incrinano questo principio classico con il rischio di alimentare discordia tra i cittadini perché devolgono alla società un potere che, per essere accettato da tutti indistintamente, deve essere esercitato con burocratica imparzialità da “persone” giuridiche non da “individui” privati: i poliziotti e i carabinieri sono la faccia dello Stato; ma i volontari che fanno le ronde sono l´espressione diretta della società civile, dei suoi giudizi parziali e partigiani. Il paradosso di questa politica è che rende lo Stato più debole. Veniamo ora al secondo caso, quello relativo all´incrinatura dell´unità della Nazione. La proposta di radicare insegnanti e insegnamenti delle scuole dell´obbligo nella tradizione locale di storie e dialetti intende rivedere al ribasso il ruolo della storia e della lingua nazionale, contestando alla radice che la nazione sia il soggetto politico dello Stato. Della nazione sono state date diverse rappresentazioni. Molto schematicamente, la costruzione di quella che Benedict Anderson ha chiamato “comunità immaginata” é avvenuta con la Rivoluzione francese su due direttrici ideologiche: una giuridico-politica e una etnico-culturale. La prima è quella che la nostra Costituzione designa come la sorgente della sovranità. La seconda è stata l´oggetto di interpretazioni molto controverse. Ma due cose sembrano sfuggire a chi magnifica il locale: prima di tutto che la Nazione come sorgente di sovranità è costitutiva degli stati democratici, anche di quelli federali; infine, che il nazionalismo non è un difetto solo della nazione: l´esaltazione delle piccole patrie per la loro presunta purezza originaria non è al fondo che una versione di nazionalismo, spesso più esclusiva e illiberale proprio perché il suo raggio d´azione è più refrattario al pluralismo. Sembra dunque che anziché negare il principio di unità l´ideologia anti-unitaria lo ricollochi: dal generale al particolare

La Repubblica, 4 agosto 2009