attualità

“Marcinelle e l’Italia delle ronde”, di Toni Fontana

L’8 agosto 1956, 274 lavoratori scesero ad una profondità tra i 765 e i 1035 metri nella miniera di carbone di Marcinelle in Belgio. Un carrello tranciò i cavi dell’alta tensione; si scatenò un incendio. Morirono 262 minatori. 136 erano italiani. Tra le vittime 67 abruzzesi, 12 marchigiani, 7 friulani, 5 emiliani, 5 veneti. Provenivano da 13 regioni italiane. La strage di Marcinelle fu un eccidio provocato dall’assenza di misure di sicurezza, controlli e regole. Il «sacrificio del Lavoro italiano nel mondo» (nel 2001 l’allora ministro Mirko Tremaglia ottenne la proclamazione per l’8 agosto della “Giornata nazionale” con questo nome) comprende i nomi di 867 minatori italiani morti tra il 1946 e il 1963 nelle miniere del Belgio. Migliaia di emigranti sono morti di silicosi nei decenni successivi.
Anche allora c’erano i «flussi». Nel 1946 il governo di Roma concordò con quello di Bruxelles l’invio di 2000 minatori alla settimana in cambio di forniture di carbone a basso costo. I minatori compivano viaggi di 52 ore, venivano sottoposti ad una visita medica a Milano; quelli «sani» salivano sui vagoni che finivano il viaggio nelle stazioni merci del Belgio. Venivano alloggiati nelle baracche liberate pochi mesi prima dai prigionieri di guerra. Molti locali esponevano la scritta: «Ingresso vietato ai cani e agli italiani».
Oggi il presidente della Camera Gianfranco Fini visiterà il luogo della strage. Saranno presenti i parlamentari italiani eletti all’estero e le rappresentanze dei comuni colpiti dalla strage. Il ministro degli Esteri Frattini ha disposto che in tutte le ambasciate ed i consolati venga osservato un minuto di silenzio per commemorare l’eccidio. Basterà un minuto di raccoglimento nel chiuso delle sedi diplomatiche per ricordare la più grande tragedia del lavoro nell’Italia del dopoguerra?
Oggi l’Italia pare aver dimenticato e rimosso questo capitolo della sua storia. Nella discussione, spesso accademica, sui 150 anni dell’unità d’Italia non trovano posto «incidenti» come quello di Marcinelle che hanno unito veramente il Paese, ma mille metri sotto terra, tra i fumi e le fiamme. Mentre Fini parlerà oggi dell’immigrazione italiana, Maroni annuncerà l’inizio dell’era delle ronde. Nel Veneto, la regione che più di altre ha dato all’immigrazione, molti sindaci leghisti alzano muri contro gli stranieri. A Cittadella (Padova) il sindaco Bitonci, considerando che «il centro storico è zona monumentale di pregio storico» ha vietato «tutte le merci che nulla hanno a che vedere con la cultura e la tradizione della nostra terra, come certi prodotti etnici o certi alimenti, come il kebab, che mal si inseriscono nel contesto storico, tradizionale e territoriale nel quale viviamo».
L’unità 08.08.09

2 Commenti

    I commenti sono chiusi.