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“Gli affari tedeschi dei boss”, di Francesco La Licata

Quasi mille gli affiliati in esilio: è la Germania la nuova patria della ’ndrangheta calabrese.
’Ndrangheta regina delle mafie, più della celebratissima Cosa nostra. Sembra proprio la «Santa» calabrese l’organizzazione criminale più ricca e potente del momento. Traffica in droga, armi e rifiuti tossici e riesce, con relativa facilità, a riciclare e investire gli ingenti ricavati delle numerose attività illecite. Il territorio scelto per riprodurre il «brodo di coltura» calabrese è la Germania, dove le «famiglie» (le cosiddette ’ndrine) si sono insediate sin dagli Anni Ottanta, riproponendo l’identico modello sperimentato nelle varie zone della Calabria.

Accantonato il business dei sequestri di persona – ritenuto «dispendioso» per gli affiliati esposti a troppi pericoli e poco remunerativo rispetto al rischio della gestione di un ostaggio – i boss calabresi si sono buttati su attività redditizie che consentono, proprio per la facilità di acquisizione del denaro liquido, l’ingresso nelle attività lecite. E così, secondo il Procuratore di Stoccarda, Helmut Krombecher, soltanto i mafiosi residenti in Svevia «hanno lavato e investito oltre 900 milioni di euro in immobili e in aziende».

L’allarme proviene da un’analisi (400 pagine) del Bundeskriminalamt, la polizia federale anticrimine, che ha anche rispolverato un vecchio rapporto del servizio segreto tedesco sui rapporti fra mafia calabrese e mafia siciliana. E’ implicito che l’iniziativa delle autorità della Germania abbia subito un forte impulso in seguito alla strage di Duisburg (una faida con sei morti) di due anni fa. Da allora ha avuto inizio una stretta collaborazione con la polizia italiana e con la Procura nazionale antimafia. Un primo risultato è questo dossier, ripreso adesso dai giornali tedeschi e da «Calabriaora» ma risalente all’inizio di quest’anno.

Scrivono i poliziotti dell’Ufficio federale che nel territorio tedesco operano 229 clan ’ndranghetisti e che gli affiliati sono 967, tutti regolarmente «attenzionati» e schedati. Così si è scoperto che 206 di questi, un terzo della forza totale, sono originari di San Luca. Si tratta di una vera e propria rete di supporto finalizzata alla protezione di latitanti e fuggiaschi: cioè gente che vuole sfuggire alla legge, ma anche uomini in fuga dai loro nemici. Da San Luca, centro della «Casa Madre», fino a disperdersi lungo il Nordreno, Assia, Vestfalia, Baviera e Baden Württemberg. Ogni tanto si verificano punti di crisi: quando i motivi delle faide ancestrali si ripropongono anche in territorio straniero.

L’attività principale delle ’ndrine emigrate sembra il traffico della cocaina, anche per i buoni rapporti che i boss calabresi sono riusciti ad instaurare con i cartelli colombiani. In evidenza anche il racket, praticato tranquillamente nelle grandi città tedesche ed imposto ai «paisà» che sbarcano in Germania senza nessuna rete di protezione. La «Santa» risolve i problemi e chiede in cambio pizzo, fedeltà e obbedienza. L’ultima frontiera dei traffici, ben collegata con complici italiani, è l’attività di trasporto e smaltimento dei rifiuti tossici: un’attività che fa capolino di tanto in tanto ma che non ha mai ricevuto l’attenzione che meriterebbe. L’enorme ricavato di tanta illegalità viene riciclato e reinvestito. Alberghi, turismo, piccole e medie aziende e soprattutto pizzerie e ristoranti come quello (Da Bruno) dov’è avvenuta la strage di Duisburg.

Persino i seriosi investigatori teutonici, nel descrivere il reinvestimento dei capitali sporchi nelle pizzerie, si sono abbandonati all’immaginifico ed hanno titolato: «Ecco la guida Michelin del crimine organizzato in Germania». Centinaia di locali, pub e discoteche. La statistica conclude che «61 ristoranti sono di proprietà del clan Pelle-Romeo e nove delle “famiglie” Nirta-Strangio».
Tanta modernità non impedisce la riproposizione dei riti antichi. Il «Tribunale» che ha sede nella Sibaritide calabrese si è riunito anche a Norimberga ed ha sentenziato pene di morte. Così ha raccontato ai federali il pentito Giorgio Basile, una volta killer di fiducia del boss Santo Carelli. Per sentenza di quella «Corte» sono stati uccisi in Germania Vincenzo Campana, detto «Qua qua», Arcangelo Conocchia e Giovanni Viteritti, «’u pacciu». L’aspetto che preoccupa di più le autorità tedesche riguarda, però, il tentativo di infiltrazione nell’economia legale e nella Borsa. Non pochi segnali inquietanti vengono da Francoforte, dove si teme l’ingresso di denaro dubbio persino nel «gigante energetico» della Gazprom, quotato in Borsa.

Una seconda parte del rapporto dei federali riprende un vecchio rapporto del servizio segreto che avanza una «pista tedesca» per le stragi di Cosa nostra, in Italia, del ’92 e ’93. Secondo il dossier la mafia siciliana avrebbe ottenuto dai calabresi ingenti quantità di esplosivo pagato con cocaina. Il dossier contiene anche le rivelazioni di alcuni pentiti calabresi che, dopo la strage di Falcone del maggio ’92, avrebbero dato l’allarme per una «seconda strage più grave dell’altra». Le indagini allora non andarono da nessuna parte e oggi non sembrano poter offrire nuovi appigli ai magistrati che portano avanti le inchieste siciliane.
La Stampa 15.08.09

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