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“Le donne dimenticate di Kabul”, di Chiara Saraceno

Si è persa memoria dei motivi ufficiali per cui gli Stati Uniti e i loro alleati, tra cui l´Italia, sono intervenuti militarmente in Afghanistan. Il principale motivo ufficiale era vendicare l´attentato alle due torri di New York, catturandone il mandante, Bin Laden, che si riteneva si trovasse, appunto, in Afghanistan protetto dal regime dei talebani. Quel Bin Laden e quei talebani i cui misfatti a danno della popolazione afgana e in particolare delle donne afgane erano stati tollerati fino a quel momento in funzione prima antisovietica e poi antirussa. Proprio la liberazione della popolazione civile da una dittatura insieme militare e religiosa feroce, e in particolare la liberazione delle donne afgane dallo stato di segregazione e subordinazione in cui erano state ridotte anche nelle città e nei ceti ove in precedenza avevano goduto di qualche libertà ha costituito il motivo retorico “positivo” dell´intervento. Ricordo Barbara Bush che si rivolse alla nazione, al posto del marito, chiedendo che si intervenisse per liberare le donne afgane. E i giornali del mondo occidentale erano pieni di foto di donne con il burqua, sul cui destino di oppresse fin nei movimenti fisici e nei movimenti ci si commuoveva.
Naturalmente i motivi di quell´intervento erano più complessi (e forse meno dicibili). E naturalmente c´era molta ingenuità (o malafede) nel pensare che bastasse eliminare i talebani per introdurre un minimo di democrazia in un paese diviso dalle etnie oltre che provato da ricorrenti attacchi esterni. E ancora più ingenuità nel pensare che l´oppressione delle donne dipendesse solo dai talebani. Questi in realtà si erano limitati (si fa per dire) a imporre a tutte un comportamento diffuso in diverse tribù, specie nelle campagne, assecondando così anche i desideri di molti uomini che vedevano di malocchio e con timore la circolazione delle donne negli spazi pubblici, nelle università e nelle professioni. Infatti i burqua non sparirono, né subito, né dopo, anche se alle ragazze venne concesso di nuovo di andare a scuola, pur tra molte difficoltà e più nelle città che nelle campagne.
Nel frattempo, non solo Bin Laden non è stato catturato, ma i talebani non sono stati sconfitti. Anzi si sono rafforzati, anche in conseguenza della corruzione del governo sostenuto da governi e armi occidentali. Quello stesso governo che ha venduto anche la fragile libertà giuridica delle donne in cambio del sostegno sciita. Nonostante le proteste – formali e senza conseguenze – internazionali, la legge che consente ai mariti sciiti di punire le mogli che non si assoggettano ai loro voleri è entrata in vigore. Non vi è nessuna seria azione di contrasto alla chiusura delle scuole frequentate dalle ragazze e alle minacce rivolte a chi le frequenta. La fissazione sul burqua e la confusione tra questo e ogni altro tipo di velo islamico che ossessiona gli occidentali (quando ci si incomincerà a interrogare sull´obbligo per le donne che si recano in udienza dal Papa di portare il velo?) sembra distogliere dall´attenzione per le condizioni concrete di vita in cui si trovano le donne afgane dopo l´intervento “liberatorio” occidentale. Anzi, la loro “liberazione” è sparita tra gli obiettivi per cui questo intervento continuerà.
Ed ora, come denunciano le associazioni non governative, il governo afgano non si è attrezzato per consentire alle donne di votare alle, restrittive, condizioni poste dagli uomini: in seggi a parte, controllati solo da donne. Per di più, l´obbligo di indossare il burqua e il divieto di farsi fotografare il viso espone le donne ad una assenza di identità pubblica che può far molto comodo ai loro mariti e fratelli, che possono se vogliono votare al loro posto.
In queste condizioni, a chi potranno affidare le proprie speranze, in chi potranno riporre la propria fiducia le donne afgane? I liberatori le hanno vendute e vecchi e nuovi vincitori sono pronti a spartirsi le spoglie della loro libertà, a partire da quella minima, ma fondamentale, del controllo del proprio corpo.
Non è la prima volta nella storia che la libertà delle donne viene venduta in cambio di potere. E non sarà neppure l´ultima. Ma, almeno per decenza, i campioni dell´occidente dovrebbero smettere di proclamare la propria superiorità in questo come in altri aspetti. Mentre anche nei loro, nei nostri, paesi, la libertà femminile è sempre fragile, quando si tratta di altre donne, di altri paesi, sono pronti ad accettare qualsiasi compromesso dai governi di volta in volta “amici”.

da Repubblica