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“Pubblica amministrazione bocciata in trasparenza”, a cura di Francesca Milano e Gianni Trovati

«Potrei parlare per ore senza dire nulla». Arnaldo Forlani se ne vantava come di una qualità vincente per un leader della prima repubblica, ma la sua lezione torna utile anche oggi. L’ultimo esempio arriva dall’attuazione (si fa per dire) delle nuove norme sulla trasparenza, che imporrebbero a tutte le pubbliche amministrazioni di pubblicare su internet stipendi e curricula dei dirigenti insieme ai tassi di assenza del personale.

Dalle parti della politica, quasi tutti hanno scelto di seguire il motto del segretario democristiano, inondando i siti ministeriali di dichiarazioni sulla «casa di vetro» della pubblica amministrazione. Di dati, però, nemmeno l’ombra.

Eppure la norma non lascia spazio a interpretazioni soggettive. In vigore dal 4 luglio (è l’articolo 21 della legge 69/2009), obbliga tutte le pubbliche amministrazioni centrali e locali a mettere sul sito buste paga, curricula, e-mail e recapiti telefonici dei dirigenti, mentre per i dipendenti sono richiesti i tassi di assenza mensili, divisi per ufficio. La prima risposta degli uffici pubblici è stata il silenzio (come mostrato sul Sole 24 Ore del 13 luglio), e ha spinto il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta a scrivere una circolare-lampo per spingere i recalcitranti (se n’è dato conto sul Sole del 18 luglio): tutti i dati devono essere online entro luglio, ha chiarito il ministro, e per evitare applicazioni furbe ha precisato che gli stipendi indicati devono essere quelli totali, con la specifica delle voci che li compongono, i tassi di assenza vanno aggiornati ogni mese e il tutto deve essere bene in evidenza, nell’home page del sito istituzionale.

Macché. Il secondo affondo ha impressionato qualche amministratore locale (si veda l’articolo a fianco), ma nei palazzi della politica non ha smosso quasi nessuno.

Chi vuol vedere un’attuazione abbastanza fedele delle regole sulla trasparenza, oltre al sito di Palazzo Vidoni (e ci mancherebbe altro) ha una sola destinazione alternativa: il ministero dell’Economia. Gli uomini di Tremonti hanno preso sul serio i nuovi obblighi, il dossier trasparenza è presente in home page e all’interno offre le informazioni su stipendi, recapiti e assenze. Il puzzle, certo, non è completo, perché mancano ancora i dirigenti più alti e dei premi di risultato si fa un accenno fugace in nota (in realtà andrebbero indicati gli importi del 2008), ma rispetto a quello che (non) si vede negli altri ministeri il risultato è egregio.

Il ministero per la semplificazione normativa, per esempio, spiega che «trasparenza, accessibilità e qualità della regolazione» sono le stelle polari del lavoro di Roberto Calderoli, mentre il ministero della Giustizia va sul solenne e declama a caratteri grandi in home page: «Percorsi chiari e precisi: un tuo diritto». Sarà, ma dell’operazione trasparenza non c’è traccia.

In tanti, invece, riempiono i siti di tabelle e documenti, che però all’atto pratico travisano lo spirito della norma e mancano l’obiettivo della trasparenza. Il caso più classico, che torna dal Viminale alle Infrastrutture, dalle Politiche agricole ai Beni culturali, è quello delle “tabelle anonime”. I prospetti tracciano l’identikit delle buste paga delle varie categorie dirigenziali, ma non ne indicano i legittimi proprietari (in qualche caso l’elenco è in altre tabelle, spesso invece manca del tutto). Applicare sì, ma non troppo, anche se tutta questa cautela mostra un’altra delle abitudini che Brunetta vorrebbe cancellare dagli uffici pubblici. Il ministero delle Infrastrutture, per esempio, informa che tutti i dirigenti di fascia D (sono 17) guadagnano 140.415 euro, di cui 8.317,93 sono il premio di risultato. In ogni fascia, tutti i dirigenti hanno un identico premio di risultato, e lo stesso accade alle Politiche agricole e in tanti altri ministeri. La valutazione individuale può attendere.

Le tabelle anonime non sono l’unica forma di reticenza. Il ministero della Gioventù parla solo dello staff del ministro, e indica la retribuzione accessoria di capo di gabinetto, vice e capo ufficio legislativo, spiegando che per la parte «fondamentale» queste persone conservano il trattamento economico di provenienza; quale sia, però, lo sanno solo i diretti interessati.

Il Sole 24Ore, 24 agosto 2009