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“Università: i bandi per ricercatori aggirano le regole che premiano il merito”, di G. Tr.

Le regole per ridurre il rischio di combine nella nomina dei ricercatori universitari sono in vigore da fine luglio. Ma sembra che solo in pochi se ne siano accorti. Infatti, degli atènei che hanno bandito i nuovi posti, oltre la metà resta fuori dai binari tracciati dalla riforma Gelmini per far vincere la meritocrazia. Alcuni concorsi prevedono ancora il superamento di prove scritte e orali, nonostante le nuove regole impongano di giudicare i candidati solo in base al curriculum e alle pubblicazioni. Altre università, che hanno deciso di seguire le nuove regole, ne hanno poi stravolto il senso. Per esempio, indicando un tetto massimo al numero di pubblicazioni da sottoporre a valutazione, riducendo così le chance proprio per i più brillanti.
Le nuove regole per tagliare le gambe ai concorsi truccati ci sono da fine luglio; i soldi c’erano anche prima, da quando nel 2007 il ministero ha messo la mano al portafoglio e ha avviato un programma di incentivi (140 milioni in tre anni) per cofinanziare più di 4mila posti da ricercatore e cambiare le priorità a un sistema di concorsi più attento alle promozioni degli interni che al reclutamento di nuove leve. Tutto sembra pronto per voltare pagina e aprire le porte delle università ai giovani pi bravi, misurati solo dal peso della loro attività scientifica come imposto dalla cura-Gelmini. Sembra.

Il meccanismo infatti si è inceppato fin dal suo debutto. Nonostante l’assegno statale, le università bandiscono posti da ricercatore con il contagocce, e quando lo fanno si disinteressano delle nuove regole anti-combine varate per decreto a novembre e applicate con il regolamento sulla valutazione dei titoli diffuso dal ministero a fine luglio. Fino a oggi i posti banditi nell’era-Gelmini (che inizia l’11 novembre 2008 con l’entrata in vigore del decreto 180) sono 170 in 27 università, ma il 52% degli atenei esce dai binari tracciati dalla riforma per far vincere la meritocrazia.

Come mostra il monitoraggio condotto dall’associazione dei precari della ricerca italiani (Apri) per il Sole 24 Ore, in una trentina di casi i concorsi continuano a prevedere prove scritte e orali o un colloquio soggetto a valutazione, anche se la nuova legge impone di giudicare solo titoli e pubblicazioni per evitare decisioni, arbitrarie e poco controllabii, altri dimenticano la querelle sui sorteggi dei commissari che ha partorito mesi di dibattito (e problemi applicativi ancora parzialmente irrisolti) e continuano tranquillamente a prevedere le vecchie modalità di scelta dei giudici .

Ma l’aspetto più singolare è un altro. Per dare più armi ai più bravi, le nuove regole chiedone di giudicare solo curriculum e pubblicazioni, ma il 38% dei bandi fissano ai lavori da presentare un tetto massimo. Massimo, non minimo. Chi ambisce a un posto a Camerino, Cassino o a Palermo non può portare più di cinque pubblicazioni, anche se magari può vantarne venti, a Varese il limite può scendere a quattro e a Sassari, come anche al prestigioso Politecnico di Milano, in qualche caso bisogna accontentarsi di tre. Ovvio, se tutti corrono con il freno tirato, che le chance dei meno brillanti aumentano, e la meritocrazia torna a essere un concetto buono solo per i convegni.

Il paradosso è reso possibile dal fatto che il decreto Gelmini si aggiunge ma non cancella la vecchia legge Berlinguer (la 210/1998), che prevedeva unavalutazione per titoli ed esami permettendo alle facoltà di decidere un numero massimo di pubblicazioni da presentare. Lo scopo (discutibile) era quello di non inondare di carta i tavoli dei commissari, che avrebbero poi scelto i candidati vincenti in base alle prove orali e scritte. Nel nuovo sistema, dove la produzione scientifica è l’unico metro di giudizio, questa prassi diventa un po’ più ostica da giustificare.

Il problema è balzato agli occhi dello stesso governo, che visto il copmportamento delle facoltà ha scritto una proposta per cancellare il relitto della vecchia legge Berlinguer. L’emendamento, però , è stato presentato al disegno di legge delega sui lavori usuranti, che viaggia in Parlamento da più di un anno e attende ancora l’approvazione di entrambe le Camere. Il treno scelto, insomma, non è il Freccia Rossa, e le conseguenze di questi ritmi tranquilli potrebbero rilevarsi pesanti.

Allo stesso testo è legato infatti un altro provvedimento chiave, quello che sblocca i fondi 2009 (80 milioni di euro) per i posti da ricercatore cofinanziati dallo stato. Se il semaforo verde non si accende entro l’autunno, in tempo per consentire al ministero di assegnare le risorse agli atenei, i fondi vengono persi (nel senso che tornano al ministero dell’Economia) e con loro rischiano divenire travolti fino a oltre 3mila nuovi posti da ricercatore. La posta in gioco dipenderà dalle scelte ministeriali, perché più alta sarà la quota dirottata per proseguire il finanziamento dei posti banditi negli anni precedenti più si ridurrà la dote di nuovi posti.

Tutto dipende dal fatto che gli incentivi statali per i posti da ricercatore sono stati varati per tre anni nel 2007 (20 milioni il primo anno, 40 il secondo e 80 il terzo), ma il loro utilizzo è collegato a una serie di tagliole che li riporta nelle casse dello Stato in caso di ritardi.

Se lo scarso entusiasmo mostrato finora dagli atenei nel bandire i concorsi cofinanziati continuerà anche nei prossimi mesi, la tagliola potrebbe colpire anche molti dei 1.050 posti targati 2008: per rispettare i tempi, le assunzioni devono essere ultimate entro la fine del 2011, e dal decreto rettoriale con il bando alla presa in servizio definitiva passa spesso più di un anno.

Ancora oggi, del resto, mancano all’appello commissioni per concorsi banditi a inizio 2008, e solo in autunno potrà partire il meccanismo dei sorteggi introdotto a novembre dal decreto Gelmini. «Alcuni osservatori – sottolineano dalll’Apri – spiegano la lentezza dei bandi con una comunanza di interessi fra ministero e atenei: la lunga attesa fa risparmiare soldi al governo, e permette alle facoltà di aspettare la nuova riforma dei concorsi, già annunciata, che con l’abilitazione nazionale permetterà loro di scegliersi il vincitore preferito senza essere costretti a dare spazio a “disturbatori” esterni». Per ora si tratta di sospetti, che si possono spazzare via in un attimo: cambiando passo nel reclutamento.
Il Sole 24 ore 24.08.09