attualità

“Chiesa-Lega la posta è il territorio”, di Franco Garelli

L’aspro dibattito pubblico seguito alla tragedia in mare degli immigrati eritrei indica che siamo forse a un punto di svolta dei rapporti della Chiesa con la Lega Nord, che su questi temi può coinvolgere anche l’esecutivo di cui essa fa parte o di cui sembra essere la padrona. Da entrambe le parti sono volate parole grosse, che hanno portato il Vaticano e la Cei a dire che nel Mediterraneo si sta consumando una nuova Shoah.

Che l’Occidente finge di non vedere; e con lo stato maggiore leghista che ha reagito a muso duro, accusando i Vescovi di dire «parole senza senso», di «inventarsi nuovi comandamenti», di lanciare messaggi che alimentano i viaggi in mare dei clandestini che poi finiscono in tragedie. Dalla Padania è persino giunta la minaccia di rivedere il Concordato, anche se Bossi a questo punto ha smorzato la polemica, ricordando che «la Chiesa fa il suo mestiere, noi il nostro». Ma al di là dei toni più o meno forti, è del tutto evidente che quella che si sta concludendo è una delle settimane di maggior passione e scontro tra la Lega Nord e la Chiesa, per la distanza che ormai separa – in tema di politiche migratorie e sociali – i due mondi.

Oggetto della contesa, dunque, non è la politica globale del governo in carica, che su vari aspetti valorizza la presenza della Chiesa nel paese; ma uno dei suoi punti qualificanti, rappresentato da quell’insistenza sui temi dell’ordine e della sicurezza che – a detta dei vescovi – produce la chiusura del Paese verso gli immigrati e alimenta l’indifferenza verso quanti cercano di emigrare per sfuggire alla fame, alla guerra, a condizioni disumane. La Chiesa non intende disgiungere legalità e solidarietà, ma richiama il governo e la nazione a non vivere solo di ordine pubblico e di respingimenti; così come vorrebbe che le forze politiche che si richiamano all’identità cattolica accettassero le indicazioni della sua dottrina sociale Il nuovo braccio di ferro tra Lega e Chiesa indica almeno tre cose.

Anzitutto che l’unica voce critica sui temi sociali e dell’immigrazione che preoccupa la Lega Nord è quella della Chiesa cattolica, nonostante che nel Paese vi siano molte altre forze sociali, politiche e religiose che da tempo protestano contro le scelte del governo e dei leghisti in questo campo. Proprio perché la considera come la spina nel fianco più ostica per attuare il suo no ad un’Italia multietnica, il Carroccio riconosce alla Chiesa una capacità di mobilitazione pubblica sui temi sociali ben superiore a quella su cui possono contare gli stessi partiti dell’opposizione. A più riprese la Lega si è contrapposta agli appelli del card. Tettamanzi, che auspicava la nascita a Milano di nuove moschee e un rapporto più sereno con l’islam; mentre ha sempre reagito con fastidio alle forti proteste della Cei per l’introduzione del reato di immigrazione clandestina nel pacchetto sicurezza varato dal governo.

In secondo luogo emerge che la Lega Nord ritiene di avere una posizione così forte nel Paese e nell’arena politica da usare con i vescovi toni pesanti, persino ricattatori. Per parare la critica di essere l’anima di una politica migratoria senz’anima, Bossi sfida paradossalmente il Vaticano ad aprire le sue porte ai clandestini, ricordando che proprio la città del Papa è quella che ha le mura più spesse e gli accessi più riservati; in ciò dimenticando tutti i gruppi religiosi e le parrocchie che operano sul territorio per far fronte alle varie emergenze sociali, tra cui quelle dei nuovi flussi migratori.

Infine occorre notare che al centro della contesa tra i vescovi e la Lega Nord vi è la competizione tra due diverse visioni della realtà che passano anche attraverso la questione migratoria. I vescovi italiani, soprattutto quelli del Nord Italia, sono ben consapevoli di quanto la Lega sia radicata sul territorio e della sua capacità di interpretare il sentire di quelle popolazioni. Vent’anni fa i vescovi e i preti della Lombardia e del Veneto, hanno del tutto sottostimato la capacità di penetrazione delle idee leghiste su territori che erano politicamente bianchi, ritenendo che la Dc e i gruppi ecclesiali fossero in grado di interpretare il sentire comune. Oggi Lega e Chiesa invece si contendono il territorio, le domande della gente, la capacità di rappresentare il mondo locale. I preti e i vescovi di alcune aree del Nord sanno che se nelle omelie insistono troppo sui temi della solidarietà verso gli immigrati la gente comincia a rumoreggiare in chiesa; ma sono anche consapevoli che se non tengono alto il loro messaggio sociale e religioso disperdono il senso stesso della proposta cristiana.

La tregua tra Lega Nord e Chiesa sembra dunque sul punto di rompersi. La prima, pur caratterizzandosi perlopiù per un’anima laica, ha da tempo adottato la religione cattolica come una sacra volta per difendere i valori della tradizione contro la presenza multietnica, dell’islam in particolare. Dal canto suo, la Chiesa anche grazie all’ossequio leghista al cattolicesimo ha visto maggiormente riconosciuto il suo ruolo nel paese, certificato dai provvedimenti a suo favore varati dalla maggioranza di governo. Si tratta di un equilibrio destinato a infrangersi se i leghisti chiedono alla Chiesa di occuparsi soltanto delle questioni di sacrestia (lasciando a loro libertà di azione sui temi emergenti) e se la Chiesa non intende rinunciare a giocare in senso forte la sua anima più solidale.
La Stampa 28.08.09