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“«Le primarie? A vincere sarà il Pd»”, di Marcello Pollastri

Segretario Dario Franceschini, questa sera si apre la festa del Pd a Piacenza, tra le poche città che vedrà la presenza di tutti e tre i candidati.
Qualcuno sostiene che il partito abbia steso il tappeto rosso per il suo antagonista numero un, Pierluigi Bersani, piacentino. Si sentirà di giocare in trasferta arrivando qui?

«Quando di tratta di iniziative del Pd mi sento sempre a casa, trovo sempre l’affetto e il calore dei militanti. E poi Pierlugi è piacentino, ma io sono di Ferrara, se di trasferta si tratta è piuttosto breve».

Sono in molti a sostenere che, quelle iniziate a Genova saranno le feste della “ripartenza” per il Partito Democratico. Concorda?
«Le Feste sono sempre un momento di “ripartenza”. Rappresentano l’occasione per ritrovarsi, discutere, stare insieme. E’ chiaro che quest’anno si svolgono in una fase cruciale, alla vigilia del congresso e delle primarie. Mi lasci ringraziare le migliaia di volontari che a Genova, a Piacenza e in tutt’Italia rendono possibile questo appuntamento».

I ministri del Pdl se la sono presa molto per la storia del “festino” e l’hanno disertata. Ma perché a Genova non è stato invitato il premier Berlusconi?
«Quella era solo una battuta di Lino Paganelli, il nostro responsabile feste.
Sollevare un polverone è stato pretestuoso. Ogni partito invita legittimamente chi vuole alle proprie feste, io non sono stato invitato a quelle Pdl ma non mi lamento».

Da sette mesi, era il 21 febbraio scorso, ha preso in mano le redini di un partito che pareva depresso. In molti ammirarono il suo coraggio. Fu davvero un fallimento quello di Veltroni e che bilancio traccia di questa fase da “traghettatore”?
«Le dimissioni di Walter furono un atto di generosità e responsabilità non dovuto, non mi fa velo l’amicizia nel dire che come partito gli dobbiamo molto. E la sua decisione di chiudere la stagione della frammentazione politica e delle coalizioni contro, ha cambiato la politica italiana. Credo che dovremmo tutti essere meno masochisti, e rivendicare con orgoglio il lavoro fatto. In venti mesi abbiamo dovuto sciogliere i partiti precedenti, darci regole e statuti, radicare i circoli. Abbiamo fatto le primarie, gestito due campagne elettorali. Costruito uno dei più grandi partiti del campo progressista in Europa, il primo in termini di voti. Abbiamo fatto nascere oltre 6000 circoli, si sono mescolate le provenienze, come questo congresso sta dimostrando.
Sicuramente ci sono stati tanti errori e scelte sbagliate, e me ne assumo la responsabilità, ma qualche anno fa nessuno scommetteva che sarebbe nato davvero il Pd e invece siamo qui. E prima delle Europee le cassandre davano il Pd al lumicino e lacerato da scissioni, invece siamo qui».

Nella sua mozione compaiono cinque parole chiave: fiducia, regole, uguaglianza, merito e qualità. Perché questa scelta?
«L’idea è quella di usare poche parole chiare, che devono stare nel nuovo vocabolario del Pd in una società che cambia. Le parole di un riformismo moderno, che usa le radici ma guarda al futuro. Parole comprensibili che facciano capire a tutti non solo la nostra proposta per il problema del giorno dopo ma quale è il modello di società che abbiamo in mente, qual è la diversità dei nostri valori di riferimento».

Cosa risponde a quella fetta di italiani che sostiene che abbia fatto di più il governo Berlusconi in un anno che l’ultimo governo Prodi?
«Romano Prodi è stato un ottimo presidente del Consiglio, ha fatto miracoli con una maggioranza frammentata.
Berlusconi è sulla scena politica da quindici anni. Per più della metà di questo periodo è stato al governo. Che cosa ha fatto per questo Paese? Quale grande riforma può vantare? Cosa resta, risultati alla mano, del berlusconismo? E ora la crisi più dura degli ultimi decenni mette a nudo la fragilità della sua politica, fatta di promesse e illusioni. Doveva abbassare le tasse e la pressione fiscale è aumentata. Doveva innovare la scuola e l’ha affossata con una politica di tagli drammatici. Doveva fare di Malpensa il monumento dello sviluppo del Nord ed oggi quello è un luogo fantasma, simbolo del declino.
Aveva promesso persino di abolire il bollo auto, ma è ancora li. Devo continuare? L’elenco sarebbe davvero lungo. Gli unici provvedimenti per cui si è distinto sono quelli voluti dalla Lega, che stanno facendo regredire il livello di civiltà di questo Paese».

Ma davvero il dialogo tra i poli è così difficile in Italia, quanto meno sulle riforme istituzionali? Si parla di riduzione del numero dei parlamentari, di tagli ai privilegi, ma dopo un po’ di clamore sembra che cada sempre tutto nel dimenticatoio.
Non crede che la gente abbia ragione a disaffezionarsi alla politica?

«I cittadini chiedono decisioni immediate, è una esigenza sacrosanta che Berlusconi strumentalizza governando con decreti e fiducie. Non c’è dubbio che servono riforme istituzionali per modernizzare lo Stato, per rendere più efficace l’azione di governo e il ruolo del parlamento. A cominciare dalla riduzione dei tempi della decisione politica riformando il bicameralismo con una sola camera legislativa, un senato federale ed un conseguente dimezzamento dei parlamentari eletti. Noi su questi punti siamo pronti responsabilmente a fare la nostra parte e a confrontarci con il Governo».

E’ un Paese serio quello dove le prime pagine dei giornali sono ormai monopolizzate dal gossip? Al gossip e i pettegolezzi non mi interessano.
Noi ci occupiamo di fare opposizione al Governo».

C’è una parte del Pd che pensa che il vero nemico non sia il Pdl, ma la Lega Nord. E’ una visione corretta?
«Siamo alternativi al Pdl e alla Lega Nord. Non vi è dubbio che il leghismo eserciti una sorta di egemonia».

Marino ha scritto alla vigilanza Rai una lettera in cui lamenta non sia rispettata la par condicio in merito agli spazi televisivi riservati ai pretendenti alla segreteria.
Altro che dibattito sereno e fraterno, qui la sfida sembra senza esclusione di colpi.

«Un po’ di dialettica è un elemento positivo, un segno di vitalità. Il nostro è un partito vero, dove si discute e ci si confronta, non ci sono padroni. Certo, bisogna ricordarsi che gli avversari stanno dall’altra parte».

Autosufficienza o non autosufficienza, Di Pietro o non Di Pietro.
Se venisse riconfermato alla guida del Pd, quale sarà il primo passo da compiere sul fronte alleanze?

«E’ chiaro che costruiremo delle alleanze per vincere prima le regionali e poi le politiche. Per quanto riguarda le regioni le decisioni verranno prese a livello locale, noi siamo un partito veramente federalista, non imponiamo modelli dall’alto. Una cosa è certa, non torneremo al passato. Non riproporremo coalizioni frammentate, litigiose, con l’unico collante dell’avversario, indipendentemente dal fatto di riuscire, dopo aver vinto le elezioni a governare. Si parte dalla coesione programmatica, anche nel dialogo con Di Pietro».

I sondaggi sembrano essere molto discordanti, vedi Ipr e Ipsos. A chi bisogna credere?
«Non ho mai avuto l’ossessione dei sondaggi, in giro per l’Italia trovo entusiasmo e fiducia».

E’ convinto che già le regionali del 2010 possano segnare la riscossa?»
Sono convinto di si. Abbiamo persone capaci, idee e programmi che aggregano.
E soprattutto non facciamo come Berlusconi che ordina da Roma chi e in cambio di cosa candidare nelle realtà locali».

Segretario, lei è anche uno scrittore che, da ferrarese, ama e conosce bene il Grande Fiume. Molti piacentini si ricordano quando venne alla Map a presentare il suo libro sul Po. Che effetto le fa sapere che oggi Piacenza non solo non ha più il ponte che la collega con la Lombardia ma anche che la piena del fiume si è fagocitata la Map?
«Ho un bellissimo ricordo di quella giornata, sono molto dispiaciuto per l’affondamento della Map, so che aveva resistito ad altre piene. Per il ponte invece sono molto arrabbiato, come ha detto il sindaco si tratta di un disastro annunciato».

Ci regali “due righe”: come finirà, a suo avviso, il romanzo delle primarie?
«Vince il Pd».

La Cronaca di Piacenza, 28 agosto 2009