memoria

“I ragazzi di Beslan”, di Leonardo Coen

Mille ostaggi in una scuola dell’Ossezia del Nord. Tre giorni di assedio. Oltre 300 morti. Dopo 5 anni ecco i racconti dei superstiti. Cinque anni fa, la mattina dell’1 settembre, un commando terrorista prese in ostaggio più di mille tra alunni, insegnanti e parenti: era il primo giorno di scuola a Beslan. Per 52 ore la cittadina osseta tenne il mondo con il fiato sospeso. Poi il blitz delle forze speciali russe: 334 morti, 186 erano bambini I sopravvissuti hanno ancora addosso i segni della tragedia. Ecco le loro storie
Vika oggi ha 19 anni: “Non ho più paura di niente, il peggio io l’ho già conosciuto”. Ieri la cerimonia in ricordo delle vittime. La rabbia dei familiari Assente Medvedev.
Dell’istituto resta lo scheletro. Intorno tante bottiglie d’acqua: i bimbi non potevano bere.
Vika Ktsoeva oggi ha 19 anni: è una bella ragazza dai capelli scuri, e dalle ciglia lunghe. È pure una gran ballerina: le piacciono le danze nazionali ossetine. Frequenta il secondo anno dell’università statale di Ammistrazione, a Mosca: ha scelto il corso di management in amministrazione statale e municipale. Cinque anni fa, il primo settembre del 2004 – era il “Giorno delle Conoscenze”, come viene chiamato in Russia il primo giorno di scuola – era col fratello Artur nel cortile della Scuola Numero Uno di Beslan, in Ossezia del Nord, quando alle 9,30 del mattino un commando di 32 persone armate fino ai denti e in tuta mimetica, con il volto coperto dai passamontagna, assalì l’istituto e, sparando in aria, costrinse studenti, insegnanti, genitori e parenti a entrare nella palestra.

Circa 1200 persone rimasero in ostaggio per 52 ore dei terroristi ceceni e ingusci agli ordini di Shamil Basaiev, prima che le forze speciali russe Alfa e Vympel intervenissero con un blitz devastante. Un’azione molto controversa che secondo parenti delle vittime e testimoni avrebbe provocato la morte di quasi un quarto degli ostaggi.

Vika è una dei sopravvissuti di quei terribili tre giorni che tennero col fiato sospeso il mondo intero: una scheggia l’ha colpita alla testa, dice che ora non ha «più paura di niente, perché il peggio, la cosa più terribile, mi è già capitata». Ma la paura, quella che ti sforzi di scacciare dall’angolo più remoto della memoria, ti resta sempre in agguato. E ti colpisce a tradimento. Certe volte, all’improvviso, le cede la gamba e lei si ritrova per terra. La scheggia le è rimasta conficcata nel cranio per tre anni: solo nel 2007 gliel’hanno asportata: «Ma ho spesso mal di testa, e mi stanco molto velocemente». Rischiò di morire: «Mi ha salvato Artur, il mio fratellino di 9 anni, tamponandomi la ferita con la mano». Vika perse i sensi, sembrava morta. I soldati che erano entrati a soccorrere gli ostaggi rimasti vivi volevano lasciarla lì dov’era, con le altre vittime – morirono 334 bambini, maestri e ostaggi, 8 poliziotti e civili, 2 soccorritori, 11 teste di cuoio e 31 sequestratori. Fu Artur a gridare: «Io non vado via se non portate fuori anche Vika!».

Il ricordo non la perseguita più. Ma non l’abbandona mai. Vika ha seguito in tv la cerimonia del quinto anniversario: «Sono rimasta a Beslan sino al 25 agosto, poi sono stata costretta a tornare a Mosca per gli impegni universitari». E forse è stato un bene: 2500 persone si sono riunite ieri mattina, alla stessa ora dell’irruzione terroristica, davanti a quel che resta della Scuola Numero Uno. Lo scheletro della palestra, crivellato di colpi, le mura annerite dal fuoco delle esplosioni, le foto degli scolari uccisi appesi alle pareti, e sotto, ammucchiate come candele, tante bottiglie d’acqua: per ricordare che la sofferenza nella sofferenza degli ostaggi era la sete. I terroristi non davano da bere ai loro prigionieri. Ci si dissetava con l’urina. Tutti tenevano in mano un fiore. Per commemorare i morti. Ma anche perché cinque anni fa scolari e genitori portavano mazzi di fiori ai loro insegnanti, come si usa in Russia per festeggiare la “Giornata delle Conoscenze”.

Non è stata una semplice commemorazione. Anzi, è stata l’occasione per rilanciare la polemica sull’inchiesta condotta dalle autorità russe: «E’ da cinque anni, ormai, che dura questa inchiesta – ha denunciato Susanna Dudieva, la leader della combattiva associazione “Madri di Beslan” – immaginatevi solo che la scadenza è stata procrastinata per ben 31 volte. Con quale motivazione? Siamo sicuri che è stato dato l’ordine di tirare per le lunghe l’inchiesta: non possono né chiuderla né di concluderla». Le madri di Beslan, dopo aver inutilmente invitato Medvedev alla cerimonia, si sono accontentate di invitare Svetlana Medvedeva, la moglie del presidente Dmitri, a «condividere il loro dolore». Una loro lettera, comunque, è stata inviata al Cremlino. Beslan è una strage che pesa sul cuore del mondo, i bambini di allora che sono diventati adolescenti riportano ancora i segni della tragedia, la loro salute psichica peggiora col passare del tempo, e però mancano i soldi per curarli. Ci si lamenta, inoltre, di essere all’oscuro del corso delle indagini. E c’è una stilettata contro Putin: «La precedente leadership del paese non è riuscita a risolvere i problemi, che erano sorti dopo l’atto terroristico».

E poi, non c’è soltanto la politica, le rivendicazioni, la rabbia ad agitare la gente di Beslan. Da qualche tempo, gli incubi hanno ceduto il passo all’inquietudine e a strane suggestioni che stanno sconvolgendo questa cittadina dell’Ossezia: «Abbiamo cominciato a sognare i nostri bambini e ciò si è ripetuto sempre più spesso, notte dopo notte, via via che si avvicinava il primo settembre. E in questi sogni i nostri bambini ci chiedono: mamma, papà, vivete ancora a Beslan?». La gente si è già data una spiegazione: «Prima i genitori trascorrevano molto tempo al nuovo cimitero costruito appositamente per le vittime della strage. Addirittura passavano la notte davanti alle tombe, e aspettavano lì l’inizio del nuovo anno. Ora, nascono nuovi figli, si passa meno tempo al cimitero, si cerca di ricominciare la vita in un altro modo. Ecco perché i figli stanno cercando le mamme: gli mancano».

A Beslan, sono state costruite due nuove scuole. Una è diventata la Numero 8, l’altra viene chiamata da tutti la Numero Uno, sebbene nei documenti ufficiali risulti invece come la Numero 9, scuola media statale di via Komintern. La prima scuola di Beslan, quella assaltata dai terroristi, era considerata la migliore: ci venivano i bimbi della nomenklatura e anche quelli dei villaggi vicini. Gli insegnanti fanno finta di nulla, per loro la Numero 9 non esiste. E gli studenti scrivono sull’intestazione dei loro quaderni nome, cognome, la classe. Della scuola Numero Uno.
La Repubblica 02.09.09