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“Una sconfitta per tutti”, di Luigi La Spina

Le dimissioni del direttore di Avvenire, Dino Boffo, segnano, almeno in apparenza, una grande vittoria per il presidente del Consiglio e una dura sconfitta per la Chiesa italiana. Berlusconi, indignato per non essere stato difeso da una gerarchia cattolica alla quale, in questi anni, è convinto di aver concesso molto, ha voluto dare un avvertimento. Ha voluto dimostrare all’opinione pubblica e, in particolare, alla stampa non amica che neanche la potenza di uno Stato come il Vaticano e l’autorità morale e spirituale del cattolicesimo nel nostro Paese riescono a resistere a un attacco contro un direttore di un giornale che si era permesso qualche, peraltro prudente, critica su certi suoi comportamenti privati.

Se il messaggio fondamentale che arriva agli italiani, in queste ore, è sintetizzabile così, la realtà di questo scontro tra il presidente del Consiglio e la Chiesa è certamente più complessa e gli effetti di questa vicenda meno prevedibili. Boffo ha deciso di presentare irrevocabilmente le sue dimissioni quando è stato fin troppo chiaro che la difesa d’ufficio della Segreteria di Stato lo lasciava, di fatto, in un sostanziale isolamento. Al di là del merito nella questione giudiziaria che lo riguardava, la sua debolezza era determinata dall’essere l’ultimo fedelissimo di Ruini ancora in una posizione di spicco nel potere della Chiesa italiana.

Il paradosso della sorte di Boffo è determinato dal fatto che la linea editoriale dell’Avvenire, dettata in questi anni dall’ex presidente della Conferenza episcopale italiana e attuata da lui con una fedeltà assoluta, è stata di sostanziale appoggio al centro-destra. Né si può dire che la Segreteria di Stato abbia una posizione diversa da quella che Ruini aveva impostato e qualche volta imposto ai vescovi del nostro Paese. Anche il cardinal Bertone, sia pure in modi caratterialmente diversi, ritiene, in effetti, Berlusconi l’interlocutore più utile per ottenere dal Parlamento leggi che tengano conto il più possibile delle richieste del mondo cattolico. In una concezione contrattualistica, di Realpolitik se vogliamo chiamarla così, che rischia una difficile coesistenza con l’irrinunciabile dovere ecclesiale di predicare la difesa della morale pubblica e privata.

Il caso Boffo, quindi, per il Vaticano, rappresenta non solo una sconfitta d’immagine, tra l’impossibilità e la non volontà di difendere il direttore del quotidiano dei vescovi italiani, sia pure non da tutti amato. Ma costringe a prendere atto di come sia sempre più difficile gestire quel compromesso tra negoziazione politica con Berlusconi e autorevolezza, credibilità ed efficacia nella guida spirituale degli italiani.

Lo sconcerto tra i fedeli cattolici per quest’ultima vicenda, infatti, determinerà una difficilissima prova per il nuovo direttore di Avvenire. Chi prenderà il posto di Boffo potrà dimostrarsi ancor meno critico di lui nei confronti dei discutibili comportamenti privati del presidente del Consiglio? Dimostrerebbe troppo platealmente la soggezione che il Vaticano e tutta la gerarchia italiana sono costretti a subire, pur di ottenere provvedimenti parlamentari graditi.

Anche se è largamente prevedibile, ora, una tregua tra Chiesa e presidenza del Consiglio, è indubbio che quanto avvenuto lascerà un’impronta forte e duratura nel mondo del cattolicesimo italiano, già scosso da molti dubbi sulla praticabilità di quella che si potrebbe definire «la linea Ruini senza Ruini». Ma anche per Berlusconi la vittoria di oggi potrebbe complicare e non semplificare la sua azione governativa. Troppo sproporzionato appare l’attacco di un presidente del Consiglio, dotato peraltro di una straordinaria forza mediatica attraverso il suo potere nelle tv e nei giornali, contro un direttore di un quotidiano cattolico non pregiudizialmente ostile, per non suscitare allarme nell’opinione pubblica e nella classe politica.

L’impressione è quella di un Berlusconi così esasperato per le accuse ricevute a proposito della sua vita privata, da dare ascolto più alle sue reazioni emozionali e agli incitamenti vendicativi dei suoi consiglieri ultrà che a una ragionevole linea di controllata difesa. Le dimostrazioni di forza, quando si abbattono su vittime che al confronto appaiono troppo deboli, non sono sintomi di sicurezza, ma tradiscono, al contrario, un segno di difficoltà.

La Stampa, 4 settembre 2009

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Sull’argomento segnaliamo anche questo articolo da Repubblica

La solidarietà tardiva della segreteria di Stato al direttore
dell’Avvenire Boffo e un progetto politico con Casini e Montezemolo
Nella frattura fra Bertone e Bagnasco spunta il piano per il “Nuovo Centro”, di MASSIMO GIANNINI

“E adesso niente sarà più come prima…”. Non è un anatema. Piuttosto è una presa d’atto, dura ma netta, quella che si raccoglie Oltre Tevere in queste ore difficili e amare. Se è vero che Dino Boffo è “l’ultima vittima di Berlusconi”, come scrive persino il New York Times, è chiaro che questa vicenda apre una doppia, profonda ferita. Sul corpo della Chiesa, già attraversato da divisioni latenti. E nel rapporto tra Santa Sede e governo, già destabilizzato da incomprensioni crescenti.

Per la Chiesa, il doloroso sacrificio di Boffo nasconde la frattura che si è aperta tra Segreteria di Stato e Conferenza Episcopale. Per rendersene conto basta ricostruire le tappe che hanno portato alla drammatica uscita di scena del direttore di Avvenire. Venerdì scorso si consuma il primo atto, con l’operazione di killeraggio del Giornale e il conseguente annullamento della Cena della Perdonanza tra Bertone e Berlusconi. Un colpo a freddo, che nelle alte gerarchie nessuno si aspettava, ma che innesca reazioni differenti. Nel fine settimana Boffo comincia a meditare sull’ipotesi delle dimissioni. L’idea prende materialmente corpo lunedì mattina, quando sul Corriere della Sera esce un’intervista al direttore dell’Osservatore Romano. Una sortita altrettanto inaspettata, quella di Gian Maria Vian, che giudica “imprudente ed esagerato” un certo modo di fare giornalismo dell’Avvenire e conclude con un sibillino “noi non ci occupiamo di polemiche politiche contingenti”.

Per l’intera mattinata Boffo aspetta una correzione di tiro della Segreteria di Stato. Ma non arriva nulla. Oltre Tevere si racconta di una telefonata di Bagnasco: “Scusate, ma quell’intervista è cosa vostra?”, avrebbe chiesto a Bertone. “Non lo è – sarebbe stata la risposta – e ci siamo anche lamentati con Vian, che ha impropriamente parlato in prima persona plurale”. Ma questo è tutto. Dalla Segreteria di Stato non esce nulla di pubblico. Così, lunedì pomeriggio Boffo va personalmente da Bagnasco, e gli consegna la sua lettera di dimissioni. Mentre il direttore parla con il cardinale, arriva la telefonata di Ratzinger, che chiede: “Il dottor Boffo come sta? Mi raccomando, deve andare avanti…”. Il presidente della Cei riferisce a Boffo, che di fronte al Papa non può certo tirarsi indietro.

Martedì mattina lo scenario in parte cambia. Repubblica dà la notizia: solidarietà del Pontefice a Boffo. Solo a quel punto, molte ore dopo, il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Lombardi annuncia che Bertone ha effettivamente telefonato al direttore di Avvenire, per offrirgli il suo sostegno. Ma sono passati ben cinque giorni dal siluro di Feltri, prima che la Segreteria di Stato muovesse un passo ufficiale. Intanto Boffo è rimasto sulla graticola. E nel frattempo persino monsignor Fisichella, nel silenzio della Curia, contesta apertamente il quotidiano per le critiche al governo sull’immigrazione.

Mercoledì Feltri torna all’attacco, e sostiene che la “nota informativa” che getta fango sulla vita privata di Boffo è una velina uscita dal Vaticano. Padre Lombardi smentisce. E aggiunge l’ultima novità: papa Ratzinger ha chiamato il cardinal Bagnasco, per avere notizie “sulla situazione in atto”. Ma dalla Segreteria di Stato ancora silenzio. Così si arriva al colpo di scena di ieri: dopo una settimana di fuoco incrociato, il direttore di Avvenire getta la spugna e se ne va.

Ma perché all’offensiva volgare e violenta del Giornale la Santa Sede ha fatto scudo in modo così discontinuo e frammentato? “Qui – secondo la ricostruzione che si raccoglie negli ambienti della Cei – si apre la frattura con l’episcopato”. Il cardinal Bertone, due anni fa, aveva lanciato la candidatura di Bagnasco alla Conferenza episcopale con una convinzione, che la realtà dei fatti ha presto svilito in pia illusione: trasformare la conferenza dei vescovi in una “cinghia di trasmissione” della Santa Sede, dopo la stagione troppo lunga dell’autoreferenzialità ruiniana. Il tentativo è fallito, ben prima che scoppiasse il caso Avvenire e che scattasse l’imboscata mediatica ordita dal Cavaliere e dai suoi giornali ai danni del direttore.

“Lo stesso Bertone lo ha riconosciuto – raccontano Oltre Tevere – quando qualche settimana fa si è lasciato scappare che la nomina di Bagnasco è stato il suo errore più grave. E certe cose, in questi palazzi, si vengono a sapere molto presto…”. Secondo questa stessa ricostruzione, il caso Boffo precipita proprio in questa faglia, che divide Bertone da Bagnasco. E in questa faglia si inserisce anche l’ultima, clamorosa indiscrezione di queste ore: cioè quello che Oltre Tevere qualcuno definisce “il Piano Esterno”. Contrariamente a quello che si pensa – raccontano – “il Segretario di Stato non vuole una Cei schierata con Berlusconi, che considera ormai già fuori dai giochi. Il vero progetto che sta a cuore alla Santa Sede riguarda la nuova aggregazione di centro, che ora avrebbe Pierferdinando Casini come perno politico, e che in futuro vedrebbe Luca di Montezemolo come punto di riferimento finale”.

A questo “Piano Esterno” si starebbe lavorando da tempo, tra Segreteria di Stato e una piccola, ristretta cerchia di intellettuali esterni, laici e cattolici, che orbitano intorno al Vaticano e allo stesso direttore dell’Osservatore Vian. Vera o falsa che sia, questa ipotesi spiega molto di quello che è accaduto e può ancora accadere. Bertone – sostengono ambienti vicini alla Cei – potrebbe aver gestito il caso Boffo proprio in questa logica: usare l’aggressione al direttore di Avvenire prima per rimettere in riga l’episcopato, e poi per assestare il colpo finale contro il presidente del Consiglio, aprendo le porte del paradiso alla Cosa Bianca di Casini e Montezemolo. Di qui, fino a ieri, la difesa intermittente e quasi forzata a Boffo. Di qui, da domani in poi, la rottura definitiva e irrimediabile con Berlusconi. “Niente sarà più come prima”, appunto. Vale per la Chiesa di Roma, ma vale anche per il Cavaliere di Arcore.

La Repubblica, 4 settembre 2009