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«Dio, Padania e famiglia la Realpolitik di Bossi», di Mattia Feltri

Così la Lega panteista è diventata interlocutore del Vaticano.

Una prova di eccellenti rapporti che caratterizzano il movimento leghista e la Chiesa cattolica», ha scritto ieri in prima pagina La Padania a proposito dell’incontro di giovedì sera fra il presidente delle Cei, Angelo Bagnasco, e i leader autonomisti, Umberto Bossi e Roberto Calderoli. L’esultanza in fondo è stata contenuta, come se nessuno avesse dubitato del successo. «La nostra politica, anche sull’immigrazione, è perfettamente in linea con i valori cristiani», ha detto il capogruppo alla Camera, Roberto Cota. E il presidente della commissione Esteri di Montecitorio, Stefano Stefani, ha aggiunto: «La Lega ha radici cattoliche e ha lottato contro l’impostazione che era stata data in Europa dove nessuno voleva inserire tra i fondamenti le radici cristiane». E poi ha precisato: si è parlato di «legge sul biotestamento» e di «pillola Ru486».

Cota e Stefani hanno toccato i due punti centrali: sull’immigrazione le distanze non sono così incolmabili e sui temi etici – quelli non negoziabili, secondo la dizione più in voga – si viaggia d’amore e d’accordo. In Vaticano e nei vescovadi sanno che a proposito di composizione tradizionale della famiglia, matrimoni omosessuali, sistemi procreativi e fine vita, le posizioni leghiste sono le più intransigenti, compatte come non lo sono nemmeno in partiti con espliciti riferimenti confessionali (dove qua e là spuntano cattolici adulti o del dissenso). Magari, come segnala il politologo trevigiano Paolo Feltrin, docente all’Università di Trieste, «la Chiesa trova qualche difficoltà a dialogare con i leghisti perché la classe dirigente del Carroccio è interamente laica, o perlomeno non di formazione cattolica. Per intenderci, nella Lega non c’è un Maurizio Lupi, e nemmeno un convertito come Maurizio Sacconi, con i quali è facile tenere rapporti organici».

La cosa, a lungo andare, dice Feltrin, potrebbe creare problemi. Ma intanto, nel suo strano panteismo tradizionalista e conservativo, la Lega è un argine formidabile contro la «deriva relativista», come si dice fra porporati. Insomma, non è una convergenza di sentimenti, ma di interessi sì. «E semmai il rischio è questo: che al Nord si crei una specie di doppio magistero, quello politico della Lega e quello ecclesiastico», dice don Bruno Fasani, ex direttore di Verona Fedele e oggi portavoce della Curia. Resta un dato di fatto, e lo illustra il medesimo Fasani: «La Lega intercetta l’opinione del buon senso comune: la famiglia è costituita da un uomo e una donna che fanno figli, i bambini è bene che siano allevati da un padre e da una madre, la vita finisce quando si muore, non quando si fa morire». E dunque nella provincia settentrionale per i parroci è facile trovare buoni alleati anche soltanto per il piccolo proselitismo quotidiano.

Semmai i perentori botta e risposta fra Calderoli e monsignor Antonio Maria Vegliò a proposito di migranti segnala che lì le intese parrebbero precarie. Ma intanto – per quanto sia discutibile fare classifiche – alla Chiesa sembra stare più a cuore l’integrità della famiglia che non i migranti. Poi non si è notato che, giovedì sera, al cospetto di Bagnasco, Bossi ha rilanciato la vecchia idea – un po’ no global, come piace alla Lega – di una tassazione etica sulle transazioni internazionali da destinare ai poveri. E nemmeno si è sottolineata abbastanza la crescita nei cuori padani, a fianco di Alberto da Giussano, della figura di Marco D’Aviano, il frate cappuccino che si oppose all’invasione islamica di Vienna, e per il quale Bossi ha chiesto una fiction alla Rai.

Ma tutto questo passa in secondo piano davanti al ragionamento di Feltrin, che invita a guardare la prima pagina del sito del ministero dell’Interno, dove vengono forniti i dati provvisori (dopo un solo giorno e mezzo di lavoro) della sanatoria di colf e badanti: «Al terzo posto ci sono i marocchini. Ora, chi ha una colf o una badante marocchina, alzi la mano». Il ministero di Roberto Maroni prevede di sanare 750 mila posizioni. Potrebbero essere anche di più e in ogni caso, fra sanati e loro familiari, di colpo la popolazione italiana crescerà di circa un milione di abitanti, tutti extracomunitari. «E’ la vecchia teoria del predicare male e razzolare bene. Un classico della Lega. Ed eccone un esempio perfetto», dice Feltrin. Che insiste: «So di molti vescovi del Nord che si vedono a cena con sindaci e amministratori leghisti, stabiliscono strategie comuni, e dal giorno dopo tutti liberi di di fare la propaganda che preferiscono».

Daniele Belotti, consigliere regionale della Lombardia, e storico leghista bergamasco (oltre che nipote del vescovo ausiliare di Bergamo, monsignor Lino Belotti, ex responsabile Cei per i migranti), racconta che «fino a non molto tempo fa, tutti i parroci ci erano ostili. Adesso la maggior parte sta con noi. Alcuni ci incoraggiano segretamente, altri pubblicamente. Abbiamo problemi soltanto con i parroci dichiaratamente di sinistra, ma in fondo si collabora con chiunque». E, al di là delle sintesi puramente politiche, don Fasani ricorda che – secondo i rapporti Caritas – le città dove l’integrazione funziona meglio sono proprio Treviso e Verona, dove la medesima Caritas, insieme con altre associazioni cattoliche, le amministrazioni, le questure e le prefetture, compartecipa a organizzare la convivenza: «E, quando dicono messa, i preti sono solitamente così accorti da non entrare nel dettaglio politico, da non urtare sensibilità diffuse».

Ciò non toglie che il rapporto, comunque, presenti delle complicazioni. Feltrin ricordava la difficoltà per la Chiesa di avere referenti organici. E aggiunge che, «per la prima volta, la gerarchia ecclesiastica ha a che fare con un partito strano: non sono dei miei, ma il mio popolo li segue. E inoltre non scordiamo che, anche sul versante etico, il discorso della Chiesa ha tendenze universalistiche, quello della Lega ha tendenze localistiche. Come si vede, le ambiguità non sono poche». Ma con un po’ di Realpolitik si supera tutto.
da La Stampa