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“Concorsi, aggirata la riforma”, di Flavia Amabile

L’ira dei ricercatori: ‘Ma quale meritocrazia? Dalla Gelmini solo promesse’

Però alla fine rettosauri e baroni la spuntano sempre. Da un anno il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini parla di merito, di lotta alle rendite di potere. Lo scorso dicembre è riuscita a modificare le norme per le selezioni, promettendo migliaia di posti da ricercatore in più e tanta meritocrazia. In realtà non ha ancora nemmeno avviato le procedure per formare le commissioni dei concorsi dal 2008 in poi. «Da due anni le selezioni sono bloccate», denuncia l’Apri, l’Associazione precari della ricerca italiani.

Le regole ignorate
Non del tutto. Alcune sono partite, l’Apri le ha esaminate e stilato una classifica per nulla lusinghiera: su 26 atenei dove stanno per avere il via i concorsi da ricercatore solo 12 sono promossi per aver rispettato le regole della riforma Gelmini. Gli altri hanno fatto di testa loro. Nella sua legge il ministro aveva previsto il sorteggio delle commissioni tra rose di eletti e eliminato le prove scritte ed orali, in passato usate spesso dai commissari per favorire alcuni candidati invece di altri. Al loro posto chiedeva che il giudizio avvenisse sulla base di criteri oggettivi come titoli e pubblicazioni.
Fatta la legge, trovato l’inganno. Il provvedimento della Gelmini non precisa nulla su eventuali limiti alle pubblicazioni da presentare. Quindi su questo punto, chi vuole, può far valere la norma voluta nel 1996 da Luigi Berlinguer allora ministro, che prevedeva un tetto per evitare che le procedure del concorso si allungassero troppo. Risultato: a Sassari la Facoltà di Scienze Matematiche l’11 agosto ha bandito un concorso per un posto da ricercatore decidendo un limite di 3 pubblicazioni. E chi ne avesse 25 al suo attivo? Verrebbe valutato allo stesso modo, alla faccia della meritocrazia. Qualcuno potrebbe obiettare che questo avviene in Sardegna o al Sud. Invece ecco uno splendido bando del Politecnico di Milano del 3 luglio scorso per 3 posti da ricercatore: anche in questo caso c’è un tetto di 3 pubblicazioni. La classifica stilata dall’Apri sugli ultimi otto mesi di concorsi banditi non lascia dubbi: il limite alle pubblicazioni esiste in tutte le selezioni dell’Università di Camerino, di Cassino, del Politecnico e della Cattolica di Milano, del Sant’Anna di Pisa, dell’Università Europea di Roma, della Telematica E-Campus, della Telematica Unisu, e di Venezia Iuav. Ma ne fanno largo uso anche Roma Tre (8 bandi su 10), il Piemonte Orientale (8,2 su 10), l’Insubria (7,5 su 10) e la Sissa di Trieste (5 su 10).

L’intervento del Tar
Il limite è già stato considerato irregolare da una sentenza del Tar che ha annullato un concorso alla Facoltà di Medicina a Palermo. Ma gli atenei vanno avanti e allora l’Apri ha chiesto all’Unione Europea di intervenire. «Il reclutamento in Italia non è basato su criteri meritocratici e quindi, vengono fissate delle soglie che, nella grandissima maggioranza dei casi, coincidono esattamente con i limiti del candidato che si vuole favorire», denuncia l’associazione.
Non è l’unica irregolarità. Il decreto Gelmini eliminava le prove scritte e orali? Fa nulla: le prove vengono usate lo stesso all’università di Foggia, di Palermo, del Sannio, alla Telematica E-Campus, la Telematica Unisu, all’Università della Tuscia. Elenco un po’ ridotto rispetto a due mesi fa quando anche il Politecnico di Milano aveva provato a inserire prova scritta e orale e anche una commissione senza sorteggio. La valanga di proteste ha indotto l’ateneo a modificare rapidamente il bando.
E poi c’è la questione dei professori che devono insegnare gratis, ancora una volta alla faccia della meritocrazia. Il prossimo anno accademico all’università di Pisa almeno 204 su 264 docenti non guadagneranno nemmeno un centesimo per i loro corsi. E’ un fenomeno presente in tutt’Italia, e esploso negli ultimi mesi grazie ai tagli decisi lo scorso novembre. In alcuni casi i bandi lo scrivono in modo esplicito, come fanno le Facoltà di Economia e Giurisprudenza di Bari. In altri casi, si usa una formula indiretta e si chiede soltanto al candidato la disponibilità a lavorare gratis e a firmare una dichiarazione scritta. Inutile sottolineare che è un’anomalia tutta italiana

La Stampa, 7 settembre 2009