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“Napolitano accusa: in Italia troppa violenza e omofobia”, di Marcella Ciarnelli

Nell’età dei diritti,come ebbe a definirla Norberto Bobbio, c’è chi stenta ancora ad averne. E ne paga, di questa assenza colpa di altri che sono più forti e garantiti, quotidianamente le conseguenze. Alle donne, agli immigrati, agli omosessuali, tutti protagonisti non colpevoli di «fatti raccapriccianti» che avvengono anche in un paese «ricco ed evoluto come l’Italia» il presidente della Repubblica, in apertura della Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, ha inviato un messaggio di speranza alle vittime togliendo il velo con le sue parole alla realtà e di critica a chi ancora non si fa carico, pur potendolo, di una drammatica realtà in tutti suoi aspetti. Sempre tragici. Sempre dolorosi. Sempre terribili.
«Qualunque parte del mondo e qualunque paese rappresentiamo in questa sala, dobbiamo sentirci egualmente responsabili dell’incompiutezza dei progressi faticosamente realizzati per l’affermazione della libertà, della dignità e della parità dei diritti delle donne» e tutti devono sentirsi «egualmente impegnati a perseguire conquiste più comprensive, garantite e generalizzate».
Il messaggio del presidente è andato a sottolineare con nettezza che «la lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l’omofobia, fa tutt’uno con la causa indivisibile del rifiuto dell’intolleranza e della violenza, in larga misura oggi alimentata dall’ignoranza, dalla perdita di valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dai principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza nazionale democratica». Eppure, ha spiegato Napolitano, anche «in paesi evoluti e ricchi come l’Italia, dotati di Costituzione e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti, continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani».
Nessuno può chiamarsi fuori da una questione che è della collettività nel suo insieme. «Il riconoscimento dei diritti umani è condizione di convivenza civile, libera e democratica».
L’appello alle autorità presenti, dal ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna che pure nell’intestazione del suo dicastero ha accettato a inizio mandato di togliere la dicitura “diritti” che era stato aggiunto nella precedente legislatura, la titolare dell’iniziativa ed il ministro degli Esteri, Franco Frattini, fatto con puntuale chiarezza dal Capo dello Stato, è stato quello di «mettere al bando ogni discriminazione, cui ci vincola la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europee, che indica tutti i possibili motivi di discriminazione: il sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le convinzioni personali, le convinzioni politiche, fino, così recita l’articolo 6 della Carta, alla disabilità e all’orientamento sessuale. Quest’ultima, innovativa nozione, va ricordata e sottolineata nel momento in cui l’intolleranza, la discriminazione, la violenza colpiscono persone omosessuali » ha ribadito il presidente riprendendo un tema che i due ministri hanno preferito non riprendere nei loro interventi successivi. Più semplice la strada delle dichiarazioni d’intenti. Carfagna: «Non siamo qui per lamentarci ma per lottare e vincere» promettendo un rinnovato impegno per tutte le altre leggi che il Parlamento dovrebbe arrivare a discutere in materia di violenza, contro chiunque sia fatta. Frattini che ha promesso un impegno dell’Italia contro le mutilazioni genitali femminili da presentare all’Assemblea generale dell’Onu.
C’è una «dimensione educativa» nel modo in cui affrontare la tragedia delle violenza sulle donne che il presidente Napolitano non ha mancato di sottolineare nel suo intervento, che ha raccolto un coro di apprezzamenti, intendendola «non solo nel senso di assicurare l’accesso delle bambine e delle donne all’educazione, ancora negata in tanta parte del mondo. Ma nel senso di educare l’insieme delle nostre società ai valori dell’eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, articolo 2 della Costituzione e ai valori della non discriminazione» come recita l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. «È questo un impegno -ha ricordato Napolitano- di indubbia attualità oggi in Italia perché stiamo sperimentandola complessità della presenza crescente di comunità immigrate e del conseguente processo di integrazione da portare avanti».

L’Unità, 10 settembre 2009

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Sullo stesso argomento proponiamo anche la lettura dei seguenti articoli

“Allarme violenza. Donne all’inferno”, di Umberto De Giovannangeli

Nel mondo 140 milioni di vittime. Da Occidente a Oriente stupri e molestie senza confini. La famiglia continua a essere luogo di orrori e umiliazioni: 50mila omicidi all’anno commessi da parenti stretti. L’Italia maglia nera: in sette milioni hanno subito abusi. I racconti drammatici delle afghane

Picchiate, terrorizzate, vendute, violentate, umiliate. Un mondo rosa segnato dai più terribili crimini. Spesso impuniti, se non giustificati da codici vergognosi e da società patriarcali che considerano la donna molto meno di un oggetto. Dati agghiaccianti, testimonianze sconvolgenti, denunce argomentate: sono il sale della Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne promossa dall’Italia come presidente di turno del G8 apertasi ieri alla Farnesina. I dati, innanzitutto: ripresi nel suo intervento dalla ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna. Centoquaranta milioni: sono le donne vittime nel mondo di abusi fisici, psicologici e sessuali. Una violenza diffusa, un terribile filo rosso-sangue che unisce Oriente a Occidente, democrazie «evolute» a regimi teocratici e sessuofobici. E non è certo l’istituzione-famiglia a far argine alla violenza contro le donne. È vero il contrario.
Non solo cifre. Violenza e orrori si consumano nella maggior parte dei casi tra le mura domestiche: 50mila donne sono uccise ogni anno da parenti stretti, molti dei quali riescono a farla franca perché coperti da codici retrivi, come quello sui «delitti d’onore» che vige ancora in decine di Paesi in Africa, Asia, Medio Oriente.
Dietro ognuna delle 140 milioni di donne vittime di abusi e violenze, di stupri domestici e di stupri di guerra, c’è un volto, una storia, spesso il tentativo eroico, pagato con la morte, di ribellarsi ai propri aguzzini. Il loro sacrificio ha generato ribellione, ha portato altre donne, in Africa, in Asia, nella civilizzata Europa, a essere protagoniste di straordinarie battaglie di libertà. Alcune di loro sono presenti a Roma. Presenti anche per quelle donne che sono divenute il simbolo di una battaglia di civiltà e che hanno pagato per questo un prezzo altissimo: con gli arresti domiciliari che si protraggono da anni, la premio Nobel birmana Aung San Suu Kyi, o ancor peggio con la morte, Neda Salehi Agha-Soltani, la studentessa iraniana uccisa dai miliziani, divenuta il simbolo dell’«Onda verde» di Teheran. Il loro vissuto, la loro determinazione sono una goccia di speranza. Una goccia in un mare putrido. Quello che l’Organizzazione Mondiale della Sanità sintetizza in questo dato: almeno una donna su cinque nel mondo è stata vittima di abusi fisici o sessuali; una su quattro è stata maltrattata da un partner o ex partner; quasi tutte le donne hanno subito una o più molestie di tipo sessuale: telefonate oscene, esibizionismi, molestie sul lavoro. Statistiche della Banca Mondiale segnalano che per le donne da i 15 ai 44 anni, il rischio di subire violenze domestiche o stupri è maggiore del rischio di cancro, incidenti o malaria.
La famiglia è un luogo a rischio per le violenze alle donne, ma il 93% degli abusi sessuali perpetrati dai partner (il 67%) non sono denunciati. Si tratta di un fenomeno in crescita, come in crescita è il numero delle spose bambine (8-14 anni): oggi sono oltre sessanta milioni. Un universo di dolore e di rivolta che ha il volto, le parole, le lacrime di Isoke Aikpitanyi, nigeriana, 30 anni. Alla platea della Conferenza di Roma, Isoke racconta la drammatica esperienza del terribile viaggio dalla Nigeria, del suo arrivo in Italia, delle violenze di cui è oggetto da parte di donne connazionali (maman) e di uomini che la impongono sulla strada. «La prima violenza che si subisce dice è proprio quella delle maman che trattano le altre donne come serve. In Africa fra le donne c’è solidarietà, in Europa diventano carnefici». Isoke parla delle violenze subite, della famiglia che «fa finta di niente e che ci chiede soldi. Spesso si scappa da un inferno che non è peggiore di quello che si trova. Ciò che pesa tanto è il giudizio pubblico, il fatto che vedendoci sulle strade, magari mezze nude, si pensi che tutto ciò sia voluto da noi». La storia di Isoke Aikpitanyi è a lieto fine. Nel 2003 incontra un cliente che poi l’aiuterà a trovare il coraggio di scappare dai suoi aguzzini e che diventerà suo marito. Ma per una storia a lieto fine ve ne sono mille altre dall’esito opposto.
L’Italia alla sbarra. Di questo universo di violenza sopraffazione, abusi contro le donne, l’Italia è parte integrante. Nel nostro Paese sette milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Di queste (dati Istat) 2 milioni e 938 mila hanno subito violenza dal partner o dall’ex. Il rapporto dell’Istat sottolinea come «nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate; il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 93% delle violenze da un partner, ed inoltre, è consistente anche la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite (33,9% per quelle subite dal partner)».
Storie personali s’intrecciano con la tragedia di un popolo. È il caso dell’Afghanistan: «Le donne sono le vere vittime della guerra che da decenni sconvolge il mio Paese e sono state discriminate sia sotto il governo dei talebani che, precedentemente, dei mujahiddin». Due movimenti estremisti, che «impedivano con la forza alle ragazze di frequentare le scuole», denuncia Nasima Rahmani, coordinatrice del programma ActionAid per i diritti delle donne in Afghani-
stan. «Io stessa racconta non ho potuto studiare fino all’età di nove anni e ho impiegato ben 13 anni per potermi laureare in legge perché i talebani ci obbligavano a rimanere in casa». Con la caduta del regime del mullah Omar, aggiunge Nasima, «l’accesso all’istruzione è diventato più facile, anche se ancora oggi meno di un terzo degli iscritti a scuola in Afghanistan è donna». La violenza contro le donne è anche questo: negar loro il diritto all’istruzione. A ricordarlo è anche la yemenita Shada Nasser, l’avvocata che ha difeso le «spose bambine» nelle cause di divorzio: il problema dello Yemen, dice, «è la povertà e l’analfabetismo. Rivendicazioni di libertà che cominciano a far breccia anche nelle realtà più chiuse. Samar Al Mogren, giornalista dell’Arabia Saudita, sottolinea che nonostante nel suo Paese il percorso per l’emancipazione sia partito tardi ora sta andando avanti in modo spedito. Lì le donne non possono ancora guidare l’auto e per recarsi all’estero hanno
bisogno del permesso scritto del marito (come è capitato a lei) ma, ad esempio, sul fronte dell’informazione, rileva, «si iniziano a vedere spiragli interessanti». «La violenza contro le donne è un fenomeno trasversale a tutti i Paesi e
a tutte le classi sociali» sostiene con decisione Mufuliat Fijabi, rappresentante dell’Ong nigeriana Baobab. «Ci sono violenze in presenza di tutte le religioni, in tutto il mondo – le fa eco Sayran Ates, avvocata turca che vive in Germania dove ricopre incarichi direttivi nella Conferenza islamica tedesca. Il problema viene dal fondamentalismo. L’Islam ha bisogno di una rivoluzione sessuale. Bisogna dare alle donne i propri diritti e parlare di sessualità, libera e non discriminata».

L’Unità, 10 settembre 2009

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“Da Youtube a Venezia al via i corti anti-abusi”

Anche il cinema si schiera contro la violenza sulle donne. Nella giornata della Conferenza internazionale contro la violenza sulle donne a Roma, il festival di Venezia risponde. E lo fa con «Action For Women»un concorso internazionale per filmaker che avrà come piattaforma Youtube. Il concorso è stato promosso dalla Camera dei deputati in compartecipazione con Youtube e in collaborazione con la delegazione parlamentare italiana al Consiglio d’Europa, Cinecittà Luce e Csc production.
Dal 15 settembre al 1° dicembre, i filmaker di 11 Paesi europei potranno realizzare un corto originale della durata massima di 5 minuti e caricarlo in rete. Qui sarà valutato da una giuria presieduta dal regista belga Jaco Van Dormael, presente al festival in concorso con Mr. Nobody, e formata da Francesca Comencini, Renata Litvinova, Giuseppe Tornatore, Roberta Torre.
Il corto vincitore sarà proiettato alla prossima Mostra del cinema. «Molte donne ancora oggi pensano che essere picchiate e violentate non sia un reato», dice Micelle Hunziker, madrina del progetto e presidente della Fondazione Doppia difesa, a sostegno delle donne vittime di violenza. «Molte altre, invece, – prosegue – non sporgono denuncia per paura delle ritorsioni sui loro figli ». Eppure il fenomeno è drammatico: una donna su tre è oggetto di violenze domestiche, un omicidio su tre è compiuto da un marito o ex partner ai danni della moglie o compagna, 7 milioni di donne in Italia hanno subito abusi. L’iniziativa è nata in occasione del sessantesimo anniversario del Consiglio d’Europa. Nel pomeriggio, infatti, nella sede della Biennale a Ca’ Giustinian è stato ospitato un convegno dal titolo programmatico: «Il ruolo e la responsabilità dei media nella lotta alla violenza contro le donne» a cui ha partecipato anche Lluis Maria de Puig, presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

L’Unità, 10 settembre 2009