economia

“Contratti: Primo, decentrare”, di Pietro Garibaldi

La riunione di oggi a Palazzo Chigi tra le parti sociali e il governo, a pochi giorni dall’incontro informale tra i leader di Confindustria e Cgil, può davvero segnare l’inizio di un nuovo clima tra le parti sociali. Tra crisi aziendali, compartecipazione agli utili, rappresentanza dei lavoratori alla gestione di impresa, sgravi fiscali, nuovo modello contrattuale e decentramento della contrattazione il vero rischio della riunione di oggi è che si discuta in modo inconcludente di troppe cose.
Per rendere concreto e proficuo il nuovo clima, è fondamentale che le parti sociali individuino, tra la fitta agenda dei temi in discussione, delle chiare priorità. Oltre alla necessaria attenzione alla crisi occupazionale, gli sforzi di mediazione dovrebbero concentrarsi sul decentramento della contrattazione e il legame tra salari e produttività. Nella scorsa primavera, Confindustria ha firmato con Cisl e Uil un protocollo di intesa sul nuovo modello contrattuale. Nel nuovo protocollo, approvato senza la firma della Cgil, il contratto nazionale dovrebbe riguardare principalmente il recupero dell’inflazione attesa per il triennio successivo.
In modo da lasciare spazio alla contrattazione aziendale per legare salario e produttività. Il governo, presente alla firma e in qualche modo garante del nuovo protocollo, ha poi approvato un incentivo fiscale per la quota di salario determinata in azienda. La Cgil, che rimane il più rappresentativo sindacato italiano, non ha mai sottoscritto quel protocollo, perché considerato troppo rigido e poco garante delle tradizionali tutele offerte da un contratto nazionale omnicomprensivo. La situazione caotica in cui si sono trovate le relazioni industriali è diventata paradossale con la nuova tornata di rinnovi contrattuali, dove la Confindustria negozia con sindacati che applicano diversi protocolli.
Dopo le importanti aperture estive della Cgil sul decentramento contrattuale, manifestate anche dalle parole di Guglielmo Epifani su queste colonne, il governo nelle ultime settimane ha improvvisamente arricchito l’agenda dei lavori con l’idea della compartecipazione dei lavoratori agli utili aziendali. Il ministro Sacconi pare addirittura disposto a concedere sgravi fiscali a quelle imprese che raggiungeranno intese su schemi di compartecipazione.
Il tema della partecipazione dei lavoratori agli utili è affascinante e complesso, ma rischia di creare confusione. In Italia già oggi i top manager delle più importanti aziende (i cosiddetti dirigenti apicali) ricevono una retribuzione in parte legata agli utili aziendali. Estendere questo tipo di retribuzione a tutti i lavoratori non è appropriato. Un legame tra salario e utili è certamente opportuno per i grandi manager. Attraverso le loro scelte strategiche, i manager sono in grado di influenzare direttamente l’utile complessivo di una grande azienda, generando così indirettamente un beneficio per tutti gli azionisti. Lo stesso discorso non vale per i lavoratori di livelli inferiore. Per questi ultimi, un legame tra utili e salario rischia infatti di generare variazioni repentine nel livello della loro retribuzione, indipendentemente dal loro impegno sul posto di lavoro. Per questo motivo, la priorità dovrebbe essere quella di legare la determinazione del salario a misure concrete di produttività. I lavoratori di una linea di montaggio, attraverso un attento comportamento, saranno certamente in grado di influenzare il numero di pezzi difettosi prodotti da uno stabilimento. Questo tipo di relazione tra salario e produttività, la cui natura inevitabilmente varia tra impresa e impresa, può tuttavia essere realizzato soltanto attraverso una contrattazione decentrata. Quando Guglielmo Epifani dice che va bene il legame tra salario e produttività se riguarda tutte le imprese, comprese quelle più piccole dove i sindacati non ci sono, dice una cosa giusta. Trovare meccanismi opportuni non è impossibile e alcune proposte tecniche sono già state fatte in questi mesi.
In questo quadro resta da capire quale ruolo può giocare il governo. Promettere continuamente sgravi fiscali – dal decentramento della contrattazione agli schemi di partecipazione agli utili – non è necessariamente la strada maestra. Come ha detto nei giorni scorsi Emma Marcegaglia, sui temi di determinazione salariale il ruolo principe spetta alle parti sociali. Se il governo faciliterà l’unità sindacale, farà certamente un servizio al Paese. Viceversa, introdurre ogni giorno un nuovo tema sul tappeto con annesso beneficio fiscale, servirà certamente ad attirare l’attenzione sul governo, ma finirà per creare false aspettative e non garantirà il Buongoverno al Paese.

La Stampa, 10 settembre 2009