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“Le menzogne del funambolo”, di Edmondo Berselli

Non è stata una conferenza stampa. È stato uno choc. Alla Maddalena, dopo l´incontro con il premier spagnolo Zapatero, Silvio Berlusconi ha realizzato uno dei suoi exploit più sfrontati, anzi, la sua prova suprema di improntitudine pubblica. Ma anche una dimostrazione di completo autismo, in cui ha alternato sorrisi e minacce, menzogne e autoesaltazione, in un crescendo al termine del quale, automaticamente, si era indotti a porsi due domande.
La prima: dov´è in questo momento Silvio Berlusconi, dov´è la sua psicologia politica, il suo codice di comportamento? E la seconda: dov´è adesso l´Italia, e almeno dov´è quella parte di paese ancora in grado di non farsi fagocitare dal cerchio stregato del consenso coatto, da quel «68,4 per cento di ammirazione» che il capo del governo si attribuisce?
È stato sufficiente l´intervento di un giornalista del País per spezzare l´incantesimo di un paese ipnotizzato dalle tv e dai media di regime. Prima, si erano sentite amenità da Tg1 minzoliniano, tipo «Presidente, quali sono le nuove regole per non ricadere nel vecchio sistema?». Il professionista del País, Miguel Mora, ha posto a Berlusconi sostanzialmente un doppio e in apparenza elementare quesito: non crede il premier italiano che il giro di prostituzione e di veline alle sue feste abbia danneggiato l´immagine internazionale dell´Italia? E sulla scia delle polemiche sorte da questo scandalo, non ha mai pensato di dimettersi?
Siamo disabituati alla semplicità essenziale di domande di questo genere. E probabilmente non siamo ancora abituati neppure all´atteggiamento spudorato con cui Berlusconi attua la sua strategia rispetto al caos che ha suscitato e in cui è precipitato. Ragion per cui non riesce facile descrivere dove sia in questo momento il Cavaliere. È nello stesso tempo fuori e dentro. Fuori da tutto, fuori della politica, anche intesa nel senso più populista e anti-istituzionale, fuori dagli stili di azione e comunicazione dei leader europei, fuori dalla dignità istituzionale dell´uomo di governo, fuori da ogni circuito di moralità civile; ed è dentro, dentro se stesso, calato integralmente in una sindrome di cui è la causa e la vittima, il gestore e il prigioniero.
Fuori, dentro, dentro, fuori. Nel giro di pochi minuti, Berlusconi ha praticato volteggi che si potrebbero definire funambolici se non fossero le acrobazie di un presunto uomo di Stato che parla di se stesso, all´Europa, negando di «avere mai pagato un euro per ottenere prestazioni sessuali». Le notizie, anzi la «disinformazione» sulla prostituzione di regime sono «calunnie», dovute all´«attacco di una persona che ha voluto artatamente creare uno scandalo» e che nelle profezie di Berlusconi rischia diciotto anni «di detenzione»; le cene nelle sue residenze sono pura articolazione quotidiana della politica, un naturale sistema di relazioni con i circoli del Pdl «intitolati “Meno male che Silvio c´è”»; gli harem di escort sono le corti di amiche di «un imprenditore di Bari, Tarantini, o Tarantino» (quest´ultima, praticamente una gag alla Emilio Fede).
Non si finirebbe mai di citare, fino a rischiare la saturazione se non fosse che queste espressioni sono state pronunciate nel clima di un appuntamento europeo; e nel contesto di una minacciosità verso la stampa non allineata che questa volta si è indirizzata anche verso una realtà editoriale prestigiosa in Spagna e all´estero come il País, ventilando sarcasticamente la sua probabile rovina economica come conseguenza di una «caduta di credibilità, copie, lettori e pubblicità: in questo caso si va al fallimento e credo che il País ne sappia qualcosa».
Silvio c´è, quindi, ma è fuori da ogni convenzione, norma, consuetudine. E contemporaneamente è asserragliato dentro il castello di bugie che ha usato come catastrofico sistema di giustificazioni a partire dalla festa per il diciottesimo compleanno di Noemi Letizia, e chiuso nell´atteggiamento di autoelogio, compulsivamente esercitato oltre il grottesco, che usa come schermo a propria difesa. Non c´è altro modo per definire il giudizio che si è attribuito come uomo di governo, dopo avere ricordato di avere appena battuto «i 2497 giorni di governo di De Gasperi», e quindi di essere un «recordman»: autoironie apparenti (con storielle in dialetto meneghino sulla zia che specchiandosi vantava da sola la propria bellezza), per poi tuttavia ribadire la convinzione di essere «di gran lunga» il migliore capo del governo che l´Italia unita abbia avuto in 150 anni di storia.
Scoraggiante? Non certo per un´opinione pubblica condotta passo passo, per condizionamento televisivo, a una specie di truce «consenso organizzato» di stampo brezneviano. Ma per trovare una risposta alla seconda domanda, su dove sia l´Italia non ottenebrata da un processo di omologazione totale e silenziosa, che ha coinvolto e travolto anche la quasi totalità del Pdl, occorreva cercarla nello sguardo di Zapatero. Nella sua espressione attonita, nello stupore muto di chi doveva assistere a uno spettacolo mai osservato, di chi sentiva l´interlocutore istituzionale impartire una lezione non richiesta sulla situazione politica in Spagna, «dove il governo è minoranza e deve trattare caso per caso», e infine dibattersi nelle sue difese e nei suoi attacchi. L´Italia che si sottrae ai sondaggi sull´«ammirazione» per il recordman Berlusconi è in quello sbalordimento che il 68,4 per cento vantato dal premier non avverte più, essendo mitridatizzato da mesi, e prima da anni, di veleni che sembravano dolci e alla lunga sono diventati letali.
Berlusconi ha parlato della disinformazione da lui attribuita alla carta stampata, nella «povera Italia» funestata dai giornali e dalle loro falsificazioni, come di «un brutto incubo». Per l´Italia che ancora sfugge al condizionamento pavloviano del consenso obbligatorio, la conferenza della Maddalena è la prova che a essere diventato un incubo è invece il «sogno» a cui molti cittadini hanno creduto e su cui il capo della destra ha costruito, dentro e fuori la politica, nell´antipolitica e oltre, le sue fortune.
La Repubblica 11.09.09