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“Cosa deve fare una scuola laica”, di Stefano Rodotà

Già negli anni Ottanta Leopoldo Elia e Pietro Scoppola ritenevano che fossero maturi i tempi per la “storia delle religioni”. Non se ne fece nulla, perché la politica era troppo ansiosa di ricevere la legittimazione vaticana. I rischi di un insegnamento confessionale
Non è la prima volta che si propone di sostituire un insegnamento di storia delle religioni all´ora di religione cattolica. Negli anni ´80 Leopoldo Elia e Pietro Scoppola, cattolici, ritennero i tempi maturi per questo passaggio culturale, ma l´occasione non fu colta perché, una volta di più, la politica italiana si mostrò più ansiosa di una legittimazione vaticana, attraverso un nuovo Concordato, che sensibile alle attese presenti nella società. Cosi la situazione italiana rimane lontana da quella di altri paesi europei dove sono obbligatori solo insegnamenti di etica o educazione civica, mentre da noi la religione rimane come insegnamento confessionale, impartito da insegnanti scelti dall´autorità ecclesiastica, che può revocarli in ogni momento. Una situazione anomala, alla quale ha cercato di porre qualche rimedio il Tar del Lazio, che ha considerato illegittima una ordinanza ministeriale che riconosceva un credito formativo agli studenti che avevano scelto l´ora di religione. La ragione della violazione si trova proprio nel Concordato, dove si afferma che quella scelta «non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi». Per i giudici la discriminazione è evidente, perché non si assicura la possibilità di conseguire un credito formativo a chi professa altre religioni o non ne professa alcuna. Si riflette qui il principio secondo il quale l´entrata della religione nello spazio pubblico non può attribuire ad una confessione una posizione “dominante”.
Per sciogliere questo antico nodo è tornata la proposta di un insegnamento che elimini la ragione del conflitto, guardando al fenomeno religioso in una prospettiva storica e comparativa. Ma la ministra della Pubblica Istruzione, dopo aver ribadito la regola sui crediti formativi in un modo che non consente di superare la sentenza del Tar, ha giustificato il rifiuto di un insegnamento multiconfessionale anche con l´argomento che «questo non avviene nei paesi musulmani». Ma la democrazia non può ispirarsi alla legge del taglione, il riconoscimento di libertà e eguaglianza non può essere subordinato agli atteggiamenti assunti da totalitarismi o fondamentalismi.
La linea del Governo coincide con il rifiuto vaticano dell´insegnamento paritetico delle religioni, rafforzato dall´affermazione per cui «spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell´insegnamento della religione cattolica». Parole che rivelano la debolezza delle tesi di chi sostiene che quell´insegnamento non ha carattere confessionale e che gli insegnanti di religione hanno uno status identico a quello degli altri professori. Per essi, infatti, non vale la norma costituzionale sulla libertà dell´insegnamento, per l´imposizione dall´alto dei “contenuti autentici”. E non valgono le garanzie contro le discriminazioni, poiché una parola fuori posto o uno stile di vita non gradito possono far scattare la revoca del nulla osta ecclesiastico.
Così, nel cuore della scuola pubblica si apre una contraddizione grave. Mai come oggi quella scuola deve essere il luogo del riconoscimento reciproco, non di una separazione che fa vedere l´altro come diverso, preparando una società del conflitto. All´inizio del ´900 Gaetano Salvemini indicava la via per sfuggire a questi rischi. «La scuola laica non deve imporre agli alunni credenze religiose, filosofiche o politiche in nome di autorità sottratte al sindacato della ragione. Ma deve mettere gli alunni in condizione di potere con piena libertà e consapevolezza formarsi da sé le proprie convinzioni politiche, filosofiche, religiose»