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“Lavorano e spendono di più. Il mondo in crisi salvato dalle donne”, di Maria Silvia Sacchi

Gli economisti: «Sono il mercato emergente. In cinque anni il reddito globale fem­minile crescerà del 50%».
Se per un’impresa trovare un mer­cato promettente è importante in tempi normali, riuscire ad azzeccarlo in momenti di tempesta co­me l’attuale è questione di sopravvivenza. Que­sto mercato, però, è sotto gli occhi di tutti: sono le donne. È in loro che gli economisti sperano per uscire dalla crisi. Nelle donne che orientano i consumi delle famiglie (e queste le conoscevamo già, considerata l’influenza sulla scelta delle va­canze, dei mobili di casa, dei cibi, ma anche sul­l’educazione dei figli). E nelle donne che fanno acquisti per sé perché lavorano sempre di più, guadagnano di più, spendono di più.

Sono, dunque, le donne il vero mercato emer­gente mondiale. Più di Cina e India messe insie­me. Addirittura quasi il doppio di queste due po­tenze economiche, secondo uno studio del Bo­ston Consulting Group al quale ieri il settimanale americano Newsweek ha dedicato la copertina.

I ricercatori hanno stimato che in cinque anni il reddito globale fem­minile crescerà del 50%, per un totale di ol­tre 5mila miliardi di dol­lari in più, contro una crescita del reddito ma­schile di poco più del 30%. La differenza tra i due universi resta alta, visto che il totale dei redditi degli uomini è più del doppio di quel­lo delle donne (23mila miliardi di dollari con­tro 10mila), ma il diva­rio va attenuandosi.

La crisi sta rimesco­lando la carte. Negli Stati Uniti la percentuale di donne occupate sfiora oggi il 50%, avendo i licen­ziamenti colpito soprattutto gli uomini. E anche in Italia sono stati persi più posti maschili che femminili. «La recessione — dice Maurizio Ferre­ra, docente di Scienza politica a Milano e autore del saggio Fattore D — ha avuto un effetto di ri­composizione della forza lavoro perché ha colpi­to settori dove si concentrava l’occupazione ma­schile e perché le donne occupano posti più fles­sibili che le imprese, quando hanno potuto, han­no risparmiato. Ma — aggiunge — ci sono due effetti inerziali che vedremo nei prossimi anni. Il primo è che iniziano ad avere effetto in Europa le politiche per le pari opportunità, per cui mi aspet­to nei prossimi cinque anni dati diversi nell’occu­pazione e nella distribuzione dei redditi. Il secon­do è l’entrata nel mondo del lavoro di donne più istruite anche in settori a monopolio maschile».

Se si resta all’oggi, però, le differenze si vedo­no e fanno riflettere anche in Paesi molto avanza­ti. Basta guardare l’analisi pubblicata dal quoti­diano inglese The Guardian , secondo la quale le donne meglio pagate tra quelle al vertice delle prime 100 società quotate alla Borsa di Londra hanno guadagnato un decimo degli uomini me­glio pagati. Solo in 9 hanno avuto un compenso superiore al milione di sterline contro 269 uomi­ni. E solo cinque hanno superato la media ma­schile.

In Italia, sempre agli ultimi posti di tutte le classifiche fatte sul tema, le analisi di Livia Aliber­ti Amidani di Aliberti Governance Advisors dico­no che il progresso c’è, ma lentissimo: 6,3% le donne nei consigli di amministrazione delle so­cietà quotate italiane a fine luglio, contro il 5,8% di fine 2008 e il 4,7% di fine 2006. Ma la parte più consistente (quasi il 9%) è data da consigliere non esecutive e non indipendenti, cioè parti del­la famiglia proprietaria, mentre le indipendenti sono sotto il 4%.

Il punto è che prima di pensare alle differenze di reddito e ai consigli di amministrazione, in Ita­lia le donne devono trovare un posto: «Abbiamo un tasso di occupazione femminile fermo al 47%, in Europa siamo seguiti solo da Malta», dice Pao­la Profeta, docente all’università Bocconi. Per questo la sua collega Daniela Montemerlo sostie­ne che «sono necessarie politiche che spingano le aziende, non basta la buona volontà di una sin­gola realtà». «Questo tema è uscito dall’agenda politica — dice Ferrera — E c’è anche una bassa pressione delle donne. È chiaro che bisogna mo­bilitarsi per contrastare il velinismo, ma non bi­sogna dimenticare il fronte della conquista di po­sizioni di potere dentro la struttura sociale ed economica». «Non è vero che le donne hanno gettato la spugna — ribatte Anna Puccio, consi­gliere indipendente di società quotate — Sono circondata da donne che parlano solo di questo argomento. Ma nessuno le ascolta».
Il Corriere della Sera 16.09.09