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“Lodo Alfano privilegio illegittimo”. Alla Consulta parte la guerra legale, di Liana Milella

“Privilegio illegittimo” per una legge “criptopersonale”. Il lodo Alfano “incostituzionale” come il suo recente antenato, il lodo Schifani. La Consulta lo bocciò, era il 20 gennaio 2004, e adesso non può che mettere l’identico timbro sul suo figlioccio che lo riproduce in fotocopia. La procura di Milano e il suo avvocato, il presidente dei costituzionali italiani Alessandro Pace, versus il duo Niccolò Ghedini-Pietro Longo che sostengono le ragioni del Cavaliere. Guerra legale a colpi di memorie fresche di deposito nel palazzo che fronteggia il Quirinale e dove solo dalla prossima settimana si riprenderà a lavorare in un clima sospettoso e blindato.

Meno 21 giorni all’appuntamento giudiziario più importante dell’anno, l’udienza pubblica del 6 ottobre alla Consulta sul lodo Alfano, lo scudo che consente di sospendere i processi per le quattro più alte cariche dello Stato, ma che finora ha congelato “solo” tre processi di Berlusconi, Mills e diritti tv a Milano, compravendita dei senatori a Roma. Legge bocciata ad horas da oltre cento costituzionalisti che la etichettarono come incostituzionale e che altri 36 difesero. Giuristi progressisti contro conservatori.

Meno 21 giorni e lo scontro si svolgerà nell’aula delle udienze, tutta oro e stucchi, della Consulta. Poi sarà camera di consiglio super segreta. Il presidente Francesco Amirante vorrebbe una pronuncia rapida per via di un viaggio che due giorni dopo lo porterà a Lisbona, ma tutto dipenderà dalla discussione e dagli schieramenti. Le prime indiscrezioni danno un primo possibile esito: su 15, otto per la bocciatura, cinque contrari, due incerti. Da questi dipenderà il destino della legge che, se cassata, metterà in seria crisi il governo.

“Incostituzionale”. Non ha dubbi il professor Pace. Lo argomenta in due lunghe memorie (44 e 36 pagine) che fanno da contraltare a quelle più smilze di Ghedini-Longo (sette più sette). Se i due sostengono che il lodo “non è un’immunità”, anzi garantisce “il diritto alla difesa” di Berlusconi e soprattutto ha tenuto in buon conto la bocciatura della Consulta della vecchia legge, Pace la pensa all’opposto. Cita a mo’ d’esempio la famosa sentenza della Suprema Corte Usa del ’97 in cui, quando Clinton si difendeva dalle accuse di sexual harassment di Paula Jones e chiedeva una sospensione del processo per i suoi impegni di presidente, si beccò un secco niet perché quei reati non attenevano alla sua funzione pubblica.

E poi il governo “si è mosso illegalmente come aveva fatto cinque anni prima”, mettendo nel cestino la sentenza della Consulta che, bocciando la Schifani, aveva provocato la ripresa del processo Sme. Il vulnus più grave è proprio la mancata costituzionalità della legge che, per Pace, la Corte “implicitamente” aveva già sanzionato quando parlava della violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, uguaglianza e diritto alla difesa che “in quanto norme parametro si pongono a un livello gerarchico superiore”. Qui restano i punti critici, la parità di trattamento tra il premier e un cittadino comune violata, pur per reati comuni, l’automatismo di un lodo senza alcun filtro, l’irrazionalità di un premier che gode di un “privilegio” che i ministri non hanno (e neppure il presidente della Consulta e i governatori regionali), un processo che si allunga a dismisura contro la “ragionevole durata”.

Il Guardasigilli Alfano, con una mano, vuole contenerlo in sei anni, ma con l’altra, per Berlusconi, viola la regola che lui stesso ha posto. Paradosso di una legge “criptopersonale”.
La Repubblica 16.09.09