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“Il mio regno per un lodo”, di Iv.Gia.

L’avvocatura di Stato presenta la sua memoria difensiva alla Consulta: “Senza lodo Alfano possibili dimissioni di Berlusconi”. Ceccanti: “Pongono la questione di fiducia anche alla Corte”.

Questa volta Silvio Berlusconi è in guai seri. No, non per le escort. No, neanche per il flop di ascolti al one-man show di Bruno Vespa. A togliere il sonno al premier è il famigerato Lodo Alfano, al vaglio della Corte Costituzionale da quasi un anno e ormai prossimo alla sentenza, prevista per il 6 ottobre. Per non correre rischi l’Avvocatura dello Stato ha presentato alla cancelleria della Consulta una memoria difensiva di 21 pagine sulle quali spicca una frase: “Senza il lodo il premier è a rischio dimissioni”.

Anche senza indagare se il Cavaliere sia a conoscenza o meno della brillante tesi difensiva dei suoi e senza cadere nella tentazione di facili ironie, si strabuzzano gli occhi davanti allo scenario apocalittico delineato dai togati. Si parla di “danni a funzioni elettive, che non potrebbero essere esercitate con l’impegno
dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. In ogni caso con danni in gran parte irreparabili”. Dimenticata totalmente la questione di diritto, i Perry Mason berlusconiani si avventurano in un’accorata analisi che vede lo scudo alle quattro maggiori cariche dello Stato come cosa “dovuta”. Ma questo è il meno: il testo si dilunga in una delirante e personale digressione sulla necessità di non creare falle nella credibilità e nell’immagine di Silvio Berlusconi, già minata dalla “realtà attuale”. E quale sarebbe la realtà attuale? Neanche a dirlo, l’Avvocatura di Stato apre le braccia alla teoria del complotto di giornalisti e magistrati ai danni del “capo” e chiede tutela, ironia della sorte, ad altri giudici, quelli della Corte.

La fantomatica “serenità nell’esercizio delle funzioni” viene riproposta in tutte le salse, fino al raggiungimento del paradosso puro: il presidente del Consiglio deve “essere sottratto ad ogni condizionamento, che possa pregiudicare la stessa continuità dell’esercizio”. In poche parole, non importa cosa Berlusconi dica o faccia, il codice penale e le sue disposizioni sono un problema non suo. Lui è al di sopra della legge. In quest’ottica ha un senso il ricatto (questione di punti di vista!) delle dimissioni: se non si possono usare le istituzioni per liberarsi di qualche piccolo fastidio personale, che senso ha restare?

Ma questa è l’analisi politica. Sotto un profilo squisitamente giuridico, due sono le conclusioni possibili per un osservatore di buon senso: o l’entourage difensivo non ha letto il testo del lodo oppure, preso da un amor di giustizia degno di Lisia o Cicerone ha deciso di sorvolare sulla manifesta contraddizione fra le tesi proposte e le disposizioni della legge in esame. Lo stesso lodo infatti prevede che l’immunità protegga le quattro più alte cariche solo durante il loro primo mandato; qualora ci fosse una seconda elezione (fa eccezione quella del presidente del Consiglio nel corso della stessa legislatura), lo scudo cesserebbe i suoi effetti, abbandonando chi avesse processi pendenti alla furia della tanto temuta magistratura. Allora di cosa si parla quando si chiama in causa la “serenità nell’esercizio delle funzioni”? L’avvocatura non ha tenuto presente che una necessità proclamata come irrinunciabile non può essere intermittente e disattivarsi dopo cinque anni. Bisogna fare un po’ di chiarezza: o ha ragione la difesa, vale a dire che bisogna proteggere chi governa sempre e comunque durante tutto il mandato, obiettivo non raggiunto dal Lodo, che andrebbe quindi ritirato e ripensato. Oppure ha ragione il Lodo e finora gli avvocati hanno argomentato intorno ad un principio inesistente. Peccato che i contendenti della questione stiano dalla stessa parte!

E persino in casa del centrodestra qualcuno punta il dito contro il vistoso strafalcione. È il caso del presidente emerito della corte costituzionale Antonio Baldassarre che inaspettatamente, in un intervista alla Stampa, accusa: “Non mi sembra proprio che quella sollevata dall’Avvocatura dello stato sia una questione pertinente. Altre sono le questioni all’esame dei giudici”. Già, ma l’affondo non finisce qui, il giurista ironizza sulla memoria difensiva, come si potrebbe fare con la bravata di un ragazzino: “Non prenderei troppo sul serio queste motivazioni. Da quel che sente si dipinge un perverso circuito, il cosiddetto circuito mediatico-giudiziario…ma se la situazione che si dipinge fosse vera, e non entro nel merito, allora dico che questa situazione vale per ogni cittadino, mica solo per chi ha rilevanti cariche pubbliche. Allora tutti avrebbero diritto ad un Lodo Alfano. Ma è possibile?”.

Contro la memoria anche il PD che apre con Donatella Ferranti, capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera: “La legittimità del lodo Alfano non può essere guardata solo con la lente dell’opportunità politica e della contingenza, altrimenti si avalla la teoria delle leggi ad personam. La Corte vaglierà esclusivamente la compatibilità del Lodo Alfano con i principi della nostra Carta costituzionale. In realtà la vera anomalia italiana è quella di un premier che con le sue leggi si sottrae a un processo per reati attribuitigli quando era un cittadino comune”.

Continua Stefano Ceccanti, costituzionalista e senatore del Pd: “Incredibile. Attraverso l’Avvocatura dello Stato, il governo, non contento delle ripetute questioni di fiducia poste davanti alle Camere, crea una nuova forzatura istituzionale, una sorta di questione di fiducia anche davanti alla Corte costituzionale. Sia pure infatti con un linguaggio che ha le deboli parvenze di generalità e astrattezza l’Avvocatura pretende di caricare sui giudici della Corte, che debbono giudicare solo secondo Costituzione, il peso di conseguenze politiche, peraltro niente affatto automatiche. Un comportamento del tutto alieno da qualsiasi criterio di correttezza costituzionale”.

Critico anche Pier Luigi Bersani che avverte. “Cerchiamo di rispettare almeno il ruolo della Corte costituzionale… cerchiamo di non immaginare o predeterminare eventi che prescindono dal giudizio della Consulta che si deve svolgere in piena serenità”.

da www.partitodemocratico.it