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“Politiche alla deriva, ecco come l’immigrato non è mai cittadino”, di Dina Galano

Naufragherà nei navigli il simbolo della clandestinità: un gommone con sagome di migranti a bordo verrà calato nella darsena milanese e lasciato alla deriva affinché, hanno fatto sapere i coordinatori della protesta, siano «tutti consapevoli degli effetti drammatici di queste politiche, dimostrati dai dati degli istituti di ricerca e delle organizzazioni internazionali». L’azione si svolgerà nel capoluogo lombardo con l’obiettivo, promette l’Arci, di dare nuova linfa all’informazione in materia di immigrazione, proprio mentre all’Università cattolica è in corso il congresso organizzato dal ministero dell’Interno. La due giorni istituzionale beneficia del contributo di partecipanti autorevoli, alcuni dei quali provenienti dai Paesi nordafricani, e dell’Anci (l’Associazione nazionale dei Comuni italiani). Fuori dall’ateneo, invece, è già indetto l’appuntamento per contrastare «scelte politiche gravissime che il governo ha adottato in questa materia».

E con queste intenzioni cresce la mobilitazione in tutta Italia, con eventi di piazza che si accavallano fino alla manifestazione del prossimo 17 ottobre, nel segno dell’opposizione a qualsiasi forma di razzismo. A fine mese scade anche il termine utile per la regolarizzazione dei lavoratori immigrati. Finora le domande pervenute per la maxi sanatoria hanno toccato quota 160mila (contro le aspettative ministeriali di oltre 750mila richieste) e non mancano i casi in cui per l’agevolazione della pratica è stato pagato il “prezzo” di 7.000 euro. Così si stima che resteranno nell’illegalità oltre un milione di persone, impiegate in nero e prive di permesso.

La rete delle comunità straniere, capeggiata dal Comitato immigrati in Italia, ha deciso di rinnovare le richieste già avanzate in commissione Affari sociali: regolarizzazione estesa a tutti i settori lavorativi, proroga dei termini di scadenza e abolizione dei requisiti di reddito necessari. Gli extracomunitari rappresentano quasi il 10 per cento del totale degli occupati, una cifra consistente che dimostra «come la popolazione straniera tenda a scegliere l’Italia come Paese di adozione». Parola dell’ultimo disegno di legge presentato alla Camera da deputati del Pdl Granata e Sarubbi, che punta ad addolcire le attuali norme sulla concessione della cittadinanza italiana.

Nella presentazione del testo, che vuole rendere «certo, ricercato e formativo» il processo di inserimento, c’è tutta la consapevolezza della irreversibilità dei flussi migratori e del necessario contemperamento delle esigenze di sicurezza. Un’iniziativa che, a un mese e mezzo dall’entrata in vigore del pacchetto sicurezza, dimostra di muovere in un’altra direzione. E che ieri è stata avversata dal sottosegretario all’Interno Mantovano: «La cittadinanza è l’ultimo anello della catena, prima viene lo sforzo affinché l’immigrazione sia il più possibile regolare ». Immediata la difesa di Granata: «Sono consapevole che la riforma della cittadinanza non è inserita nel programma di governo, così come non lo è lo scudo fiscale». Con gli attuali equilibri politici pare davvero troppo presto per sperare in un cambio di rotta.

Lo scorso anno, fino al 30 settembre 2008, il call center del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione ha ricevuto 92.532 chiamate da parte di stranieri che volevano informarsi sulle procedure per il riconoscimento. Cifre ragguardevoli che, nelle intenzioni dei firmatari del ddl, devono costringere a «una svolta paradigmatica nella concezione del meccanismo di attribuzione della cittadinanza, passando a un’ottica attiva e qualitativa». Una svolta che apre al principio dello ius solii, cittadinanza acquisita alla nascita, ma che resta comunque “temperato” dai requisiti di stabilità del nucleo familiare, di conoscenza linguistica e di prestato giuramento alla Costituzione.

TerraNews, 25 settembre 2009