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“Angela e la nuova sfida della ‘piccola coalizione'”, di Bernardo Valli

La cristiano-democratica Angela Merkel ha vinto, resta cancelliera federale, ma non ha trionfato. Mentre i suoi ormai vecchi partner, i socialdemocratici, hanno subito la peggiore sconfitta nella storia del partito, dal dopoguerra. Dal 1949. Cosi è defunta ieri la “grande coalizione”, da quattro anni al governo in Germania. A quell’alleanza di ragione, tra cristiano-democratici e socialdemocratici, succede adesso una “piccola coalizione”, come nel linguaggio politico tedesco si chiama quella in cui una delle grandi formazioni è affiancata da uno o più partiti minori.

In questo caso il partito minore, quello liberale (FDP) di Guido Westerwelle, risulta il vero vincitore delle elezioni. E’ infatti il suo successo (15%, un quoziente storico per i liberali)) a determinare il passaggio da un governo di centro – sinistra a un governo di centro-destra.

Angela Merkel auspicava questa svolta ed è stata riconfermata alla testa dell’esecutivo, ma non lo è stata con lo slancio che ci si aspettava. La sua personale popolarità non si è riverberata sul suo partito, la Cdu, che stando ai dati ancora provvisori ha perduto due punti (ottenendo un mediocre 33,5, quoziente inferiore a quello ottenuto nel 2005, e tra i peggiori nella storia dei cristiano-democratici). Un’emorragia di voti in verità insignificante rispetto al crollo dei socialdemocratici, che Frank-Walter Steinmeier, candidato della Spd, annunciando il passaggio all’opposizione, ha definito subito «una disfatta di sapore amaro».

Per la socialdemocrazia tedesca, e per la sinistra europea (della quale la Spd è il più vecchio partito), il 23,5 per cento uscito dalle urne è un risultato più che amaro. Significa una frana di più di dieci punti rispetto alle ultime elezioni politiche. E’ il pesante prezzo pagato per quattro anni di governo con il grande partito di centro destra. Ed è anche una sentenza che può essere considerata ingiusta, poiché, se non ha governato in modo esaltante, la “grande coalizione” ha guidato non senza meriti il paese durante la crisi. E i socialdemocratici sono stati leali partner dei cristiano-democratici. Ma gli elettori tedeschi hanno deciso che la formula era provvisoria, e non poteva durare.

Se il successo, a destra, dei liberali consente ad Angela Merkel di formare l’auspicata “piccola coalizione”, la forte avanzata, a sinistra, di Die Linke, che ha ottenuto un eccezionale 13%, ha contribuito alla disfatta dei socialdemocratici. Die Linke (La Sinistra) raccoglie numerose correnti. Vi si ritrovano gli anziani o gli eredi del partito comunista della defunta Repubblica democratica tedesca; i militanti di varie formazioni dell’estrema sinistra della Germania occidentale; gli ex socialdemocratici usciti dalla Spd, insieme a Oskar Lafontaine.

Die Linke ha sottratto al partito socialdemocratico l’appoggio di non pochi sindacalisti, che alimentavano la sua base elettorale. Più che all’impopolarità della “grande coalizione”, la disfatta della Spd viene attribuita al programma di riforme (l’Agenda 2010) lanciato da Gerhard Schroeder, il predecessore socialdemocratico alla cancellieria di Angela Merkel.

Riforme tese a ridurre i costi del lavoro e a ridimensionare l’assistenza sociale per adeguarsi alla mondializzazione. I socialdemocratici le hanno spesso subite ma applicate, anche durante la coabitazione con Angela Merkel, che le ha continuate.

La sconfitta è destinata a provocare una forte agitazione nella Spd. Alcuni pronosticano un’inevitabile sostituzione dell’attuale gruppo dirigente, refrattario, ostile, ad ogni rapporto con Die Linke. La sinistra del partito potrebbe acquistare forza e chiedere un dialogo, e col tempo un’alleanza, con quella che viene considerata «la sinistra della sinistra».

La “piccola coalizione”, stando ai dati che si conoscono, potrà contare su una robusta maggioranza al Bundestag.

Dopo un’astinenza di undici anni i liberali ritornano al governo, guidati da Guido Westerwelle, al quale spetterà la carica di vice cancelliere e probabilmente quella di ministro degli esteri, finora ricoperte da Frank-Walter Steinmeier. Del quale ieri sera non si poteva non apprezzare lo stile, l’eleganza, con la quale ha annunciato la propria sconfitta.

Angela Merkel condivide con i liberali l’intenzione di ridurre la pressione fiscale. Ma non è d’accordo sulle proporzioni del ribasso. Trova eccessivi i 50 miliardi di euro suggeriti da Guido Westerwelle. L’intesa sull’energia nucleare sarà più facile. I liberali saranno più decisi dei cristiano-democratici nel chiedere riforme tese a ridurre i costi sociali.

Ma più aperti per quanto riguarda la sicurezza e le leggi sulla famiglia (diritti degli omosessuali compresi). Il ruolo di Angela Merkel non dovrebbe mutare. Resta tuttavia un enigma il modo come i tedeschi la considerano. Molti di loro hanno pensato che debba restare al suo posto. Ma dal mediocre risultato della Cdu sembra di capire che la vorrebbero cancelliera senza il suo partito.

Altro paradosso, si ha l’impressione che l’apprezzino per quel che è, e non tanto per quel che fa.

La Repubblica, 28 settembre 2009