lavoro

“Il ragazzo che non aveva parole”, di Bruno Ugolini

E’ uno dei tanti provvedimenti del governo di centrodestra. Passano inosservati per molti. Non per le vittime predestinate. Sono in questo caso i disabili, persone affette da malattie che però non impediscono loro di prestare un’opera preziosa in diverse mansioni. Il decreto Tremonti cosiddetto anticrisi blocca ora, non le esose rendite finanziarie bensì la possibile assunzione dei disabili nelle pubbliche amministrazioni. Addosso ai deboli, insomma. Il caso lo denuncia in una e-mail Umberto Brancia. È il padre di Marco un ragazzo disabile che ha saputo combattere e rifarsi una vita. Con papà ha scritto un libro («Non avevo le parole», Città Aperta) e attivato un blog: http://nonavevoleparole.blogspot.com. Il decreto, annota, «comprometterebbe la possibilità di inserimento al lavoro di tanti giovani che hanno superato l’handicap in un difficile percorso di riabilitazione, nella prospettiva di una piena integrazione nella società». La Funzione pubblica Cgil è mobilitata. Un emendamento al comma 7 dell’articolo 17 del decreto anticrisi è stato presentato al Senato da quattro senatori del Pd Achille Passoni, Vidmer Mercatali, Giuliano Barbolini e Giorgio Roilo. La storia di uno di questi disabili di cui ci si vorrebbe disfare è esemplare. È quella di Marco, il figlio di Umberto Brancia. Ora ha trent’anni. Aveva un mese quando si è ammalato di broncopolmoniti virulente, durate per quattro anni. A sei anni ha cominciato ad uscire di casa. Ed ecco a scuola una diagnosi di morte psichica: “autismo gravissimo”. Padre e madre non si sono dati per sconfitti. Lo hanno aiutato con un lungo percorso terapeutico, fino a portarlo al diploma. Oggi hanno diagnosticato a Marco la sindrome di Asperger: «una forma più lieve dell’autismo». Marco, raccontano,ha svolto varie esperienze lavorative, tutte con tirocini gratuiti. Quello in corso, dopo otto anni, è al ministero dei Beni Culturali. Hanno dato vita, a Roma, ad un gruppo di dieci, quindici genitori con figli in tirocinio da dieci anni in altri enti. Sono diventati tutti volontari della comunità di Capodarco un’organizzazione non governativa di solidarietà. Sono persone, giovani che non possono, non devono essere condannati all’inerzia. Umberto Brancia ha scoperto quattro anni fa che il figlio scriveva brevi poesie ed è nato quel volume «Non avevo le parole». È un dialogo sulla malattia tra un padre e un figlio. Leggo una recensione: «Viveva nel silenzio di un mondo tutto suo, parallelo a quello che gli passava davanti, senza riuscire ad agganciarlo in maniera stabile e proficua per costruire il ponte che gli permettesse di esprimere la sua identità, definendola. E solo nella prima adolescenza ha scoperto finalmente il mezzo di fuga dallo stato di isolamento: le parole». Ora lo vogliono zittire come vogliono zittire tanti come lui.v

L’Unità, 29 settembre 2009

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Segnaliamo anche questo articolo dalla Stampa

“Non è vero che nessuno resta indietro”, di Roberto Giovannini

«Quasi un milione di domande di disoccupazione in 12 mesi è un numero che fa paura. Ma quel che è peggio è la tendenza, l’incremento impressionante in atto. C’è una vasta platea di lavoratori che non sono protetti, c’è una disoccupazione silenziosa che continua a crescere in un mercato del lavoro bloccato». Susanna Camusso, segretario confederale della Cgil, chiede al governo di non minimizzare la crisi occupazionale in atto, e sollecita modifiche normative e risorse concrete per aiutare chi ha perso o perderà il posto di lavoro.
Ma i ministri Sacconi e Tremonti continuano a rassicurare, a spiegare che ci sono sia le risorse che le leggi.
«Anche il premier ha ripetuto che “nessuno sarà lasciato indietro”. Peccato che non sia vero. Magnificano la cassa integrazione in deroga? Ma quella non spetta al disoccupato che magari ne usufruisce da gennaio per ragioni di età per soli sei mesi. Queste persone da luglio non ricevono neanche più un euro, non hanno nessun aiuto. Per cui, parafrasando il linguaggio del governo, stiamo man mano “lasciando indietro” sempre più persone».

Può essere. Ma ammette che nonostante qualche punta più drammatica la crisi sociale ancora non si avverte come incontrollabile.
«Se ci si riferisce alla leggera crescita di consumi che c’è stata in luglio e agosto, robe da zero virgola qualcosa, intanto ricordo che sono aumenti che seguono il crollo dei mesi precedenti. Non ci si dica che in Italia i consumi aumentano, per favore. Aspettiamo i dati di settembre e ottobre. E poi, ci si dimentica che per tirare avanti le famiglie hanno dovuto dare fondo al loro risparmio. Terzo, è vero che questa crisi è selettiva: una parte del paese ne subisce le conseguenze, perdendo il lavoro e finendo in Cig o in mobilità, un’altra parte non ha ripercussioni negative, e semmai gode della bassa inflazione. Ma la parte più debole è gigantesca, anche se non riesce a farsi vedere: per qualche decina di fabbriche che finiscono sui giornali o in tv per forme di protesta clamorose, noi abbiamo una lista (parziale e incompleta) che elenca 2.800 aziende con Cig straordinaria, procedure di mobilità, di liquidazione o di cessazione d’impresa».

E cosa chiedete al governo?
«Uno, chiediamo che eroghi sul serio le risorse per la cassa in deroga. In molte situazioni bisogna aspettare 3-6 mesi prima che i lavoratori vedano davvero i soldi. Il meccanismo non funziona. Due, dare certezza su queste risorse, perché tante volte facciamo accordi che poi sono disattesi per la scarsa chiarezza della procedura. Tre, bisogna fare qualcosa per quei lavoratori che hanno avuto come unico ammortizzatore la disoccupazione ordinaria, che adesso è finita. Non hanno più nulla».

Tremonti si era impegnato su questo alla vostra conferenza di Chianciano.
«Sì, ma poi non si è visto niente. Quattro, serve una sede – noi proponiamo una task force alla presidenza del Consiglio – per discutere delle crisi industriali, perché da soli non ce la facciamo».

A Cernobbio il disgelo Marcegaglia-Epifani. Poi il contratto unitario degli alimentaristi, quindi lo sciopero della Fiom. E’ l’ora del confronto o del conflitto?
«E’ sicuramente una fase articolata. Il contratto degli alimentaristi è un buon contratto, e dimostra che si può lavorare per fare accordi validi senza applicare l’accordo del 22 gennaio. Il ministro Brunetta annuncia che non intende applicare quel modello per i dipendenti pubblici, Federmeccanica chiude tutte le porte al confronto con la Fiom, che è il sindacato più rappresentativo. C’è grande confusione: l’unica certezza è che quel modello contrattuale dimostra di non funzionare. Ovviamente continueremo a lavorare in tutte le categorie presentando piattaforme e avviando confronti unitari».

La Stampa, 29 settembre 2009