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“Ronchi-Gelmini-Formigoni e il decreto acchiappamosche”, di Pippo Frisone

Il 25 settembre veniva pubblicato sulla G.U. il decreto-legge n.134, meglio conosciuto come decreto Ronchi, contenente alcune norme cosiddette salva-precari.

Il Ministro Gelmini pubblicava in data 30.9.09 il decreto applicativo con i modelli di domanda per docenti e ata precari, rimasti privi di nomina per l’a.s. 09/10 per effetto dei tagli. Scadenze delle domande il 9 di ottobre. Non tutti i precari però che hanno lavorato lo scorso anno hanno diritto ai benefici introdotti dal decreto e cioè, integrazione salariale e riconoscimento del punteggio massimo.

I benefici vengono circoscritti solo ai supplenti annuali o fino al termine delle attività didattiche, appartenenti alle graduatorie provinciali ad esaurimento (docenti) e alle graduatorie a 24 mesi o elenchi provinciali ad esaurimento per il personale ATA.

Ora, nella provincia di Milano risultano già esaurite ben 31 graduatorie comprendenti anche le code e 8 graduatorie ad esaurimento, tanto per restare solo nella scuola secondaria .

Nella primaria la quasi totale restituzione dei tagli ha rioccupato tutti i precari dello scorso anno, aggiungendone qualcuno in più dalle code. Secondo stime ufficiose dell’USP a restare senza nomina quest’anno saranno non più di 300 supplenti nominati dalle graduatorie provinciali 08/09.

Il grosso dei posti annuali o fino al 30 giugno non ancora coperti dalle graduatorie provinciali e restituiti alle scuole riguarda soprattutto il sostegno.

Stiamo parlando di quasi un migliaio di posti nella primaria e infanzia e almeno 300 posti nella scuola media. Tutti questi posti sono stati restituiti alle scuole perché, come avvenuto lo scorso anno, gli elenchi provinciali dei docenti specializzati sono stati esauriti, comprese le code, fatta eccezione per la secondaria superiore, dove si stanno ancora intrecciando gli elenchi delle tre aree non ancora esaurite.

Sono anni che la copertura dei posti di sostegno è garantita, più o meno nelle stesse quantità, coi supplenti nominati dai Dirigenti Scolastici dalle graduatorie d’istituto, privi di specializzazione. Ora, ironia della sorte, per questo migliaio e passa di precari annuali, pagati dal Tesoro come tutti gli altri precari annuali, non rientrano nelle protezioni del decreto Ronchi. Stesso destino per il personale ATA. Lo scorso anno hanno trovato occupazione con supplenze annuali , almeno 7-800 precari ATA nominati dai presidi, perché le graduatorie e gli elenchi provinciali, come oramai si ripete puntualmente da almeno un decennio, risultavano esaurite. Questi precari annuali ATA, sommati ai precari docenti, nominati dalle graduatorie d’istituto assommano a quasi duemila unità.

Per quanti di loro non saranno più chiamati quest’anno non è previsto nessun riconoscimento né giuridico in termini di punteggio, né economico d’integrazione della disoccupazione.

Semplicemente nulla. E le mancate nomine colpiranno quest’anno soprattutto gli ATA, dove la perdita sugli organici è stata più secca -746, sopravanzando di gran lunga il numero dei pensionamenti.

Ecco perché i decreti Ronchi-Gelmini-Formigoni se non si fanno carico anche dei problemi di questa ampia platea di precari restano oltre che parziali anche iniqui.

Dopo il fallimento delle “code” volute dalla Gelmini, entra in scena con grande risalto mediatico l’ennesimo specchietto per allodole. I precari vengono divisi e discriminati in base alle graduatorie di nomina, lasciando fuori i più.

Un provvedimento pasticciato che prevede l’ennesima graduatoria d’istituto, e fanno quattro, che è prioritaria ma solo per le supplenze brevi , con disponibilità, a Milano, in cinque distretti, di sicuro foriero di un nutrito contenzioso .

Un decreto così concepito rischia di fare il paio con le “code”, svelando così la sua vera natura di decreto-acchiappamosche.

ScuolaOggi, 2 ottobre 2009

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Segnaliamo sull’argomento anche il seguente articolo

“Senza risorse, qualità e futuro. La scuola della Gelmini non ha domani”, di Rossella Anitori

Ridotta all’osso. La scuola che è appena iniziata è molto diversa da quella a cui eravamo ormai abituati. A fronte di un aumento degli iscritti i contenuti disciplinari sono stati ridotti e il corpo insegnante è stato ridimensionato. A farne le spese è la qualità dell’offerta didattica, gli studenti diversamente abili, la sicurezza degli edifici scolastici e un esercito di professionisti, messi alla porta. Quest’anno sono stati tagliati 52.271 posti di lavoro, ripartiti tra docenti (42.104) e personale Ata (15.167). E siamo solo all’inizio. La legge 133/08 ha, infatti, definito per la scuola statale un piano triennale di tagli di oltre 130mila posti. Un provvedimento che non ha precedenti nella storia della Repubblica e che allontana l’Italia dal resto dell’Europa. Negli altri Paesi, d’altronde, l’istruzione è considerata volano di sviluppo.

«Quella italiana è una scuola minima – non ha dubbi il segretario generale Flc Cgil Mimmo Pantaleo -, incapace di farsi carico della crescente complessità sociale e culturale della nostra società». Rispetto allo scorso anno il numero degli iscritti è aumentato: sono circa 8.000 gli studenti in più seduti dietro un banco. «La politica scolastica del governo è miope – dice Pantaleo -, taglia mentre il numero delle persone a cui va garantita un’istruzione cresce». Un atteggiamento indifferente dunque, anacronistico e poco lungimirante. A differenza degli altri Paesi l’Italia non vede nella formazione e nella ricerca un mezzo per uscire dalla crisi. «La precarietà produce precarietà», denuncia Pantaleo. Non si tratta solo di numeri, ma di persone e delle loro famiglie che non avranno più un lavoro né uno stipendio.

«I precari vanno impiegati in maniera produttiva – suggerisce il segretario generale della Flc Cgil -. Le mancanze del sistema scolastico sono tante: servono corsi di recupero, sostegno agli studenti diversamente abili, mediatori per i ragazzi stranieri e programmi per combattere la dispersione scolastica». I tagli vanno dunque messi in discussione, per mantenere un’offerta formativa di qualità e per non perdere il prezioso patrimonio di esperienze accumulato durante gli anni del precariato. Il giudizio della Flc Cgil, che ha contribuito a mettere a nudo le problematiche della scuola con un dossier, presentato ieri a Corso Italia, è negativo su tutta la linea. I provvedimenti annunciati e in via di adozione per una parte dei precari licenziati sono «confusi e del tutto insufficienti» ad affrontare e risolvere un fenomeno di dimensione epocale. Sono «iniqui» perché rivolti solo ad alcune tipologie di precari, «sulla base di criteri definiti a posteriori e di accordi con alcune regioni».

I bilanci delle scuole sono stati «privati» dei fondi per il funzionamento didattico e amministrativo e, ad oggi, non sono stati ancora ripristinati. «A distanza di due mesi – dice Pantaleo – le scuole non hanno ancora ricevuto neanche quelle poche migliaia di euro annunciate dal ministro Gelmini nell’incontro con i sindacati del 4 agosto». Sottrarre alle scuole questi fondi significa impedirne il funzionamento. Ci sono scuole che rischiano il pignoramento di beni, come computer, arredi e attrezzature di laboratorio, essenziali alle attività didattiche e altre che, a seguito della pesantissima riduzione del personale ausiliario, non possono proprio andare avanti. In Molise, Campania, Calabria e Toscana ci sono istituti che non riescono ad assicurare la puntuale apertura del mattino né la chiusura del pomeriggio, altre costrette a ridurre l’orario delle lezioni. I genitori comprano la carta igienica e la cancelleria. Non era mai successo. Oggi è il presente.

Terra, 2 ottobre 2009