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“Napolitano non aveva alternative”, di Carlo Federico Grosso

Lo scudo fiscale approvato dal Parlamento, politicamente, è molto criticabile: un regalo inaccettabile a chi ha evaso le tasse trafugando illegalmente denari all’estero e che, ora, potrà farli rientrare puliti in Italia versando pochi spiccioli.

E’ tuttavia, altresì, grave che un politico di prima fila si sia permesso di attaccare con accuse inaccettabili il Presidente della Repubblica che, promulgando la legge, non ha fatto altro che esercitare, legittimamente, il suo potere. Di fronte allo sconcerto della gente che ha assistito all’incredibile polemica, credo sia opportuno cercare di fare, sommessamente, chiarezza in punto di diritto.
Partiamo dal dato di fatto. Il Presidente, ricevuto il testo della legge, lo ha promulgato. Una decisione, a mio parere, giuridicamente corretta. La Costituzione prevede che le leggi siano promulgate dal Presidente della Repubblica (art. 73) e soggiunge che egli, prima di promulgarle, può con messaggio motivato chiedere una nuova deliberazione, ma una volta soltanto. Se le Camere approvano nuovamente la legge, essa dev’essere comunque promulgata (art. 74). È pacifico che questa disciplina non attribuisce al Presidente nessun potere di veto all’entrata in vigore di una legge.
Nella prassi costituzionale per qualche tempo si è ritenuto che i Presidenti potessero motivare anche soltanto politicamente le loro eventuali richieste di una nuova lettura parlamentare. A partire dalla Presidenza Ciampi si è cominciato a ritenere che le richieste presidenziali di una nuova deliberazione dovessero invece essere ancorate a profili ritenuti di manifesta, clamorosa illegittimità costituzionale.

Il vaglio di costituzionalità
Profili «manifesti», «clamorosi», poiché nel nostro sistema giuridico il vaglio di costituzionalità delle leggi non compete al Capo dello Stato ma alla Corte Costituzionale.
Nel caso di specie, al di là delle possibili critiche politiche, si deve comunque escludere l’esistenza di un «vistoso» profilo di illegittimità costituzionale. Vi sarebbe palese illegittimità se la prevista esclusione della responsabilità penale per determinati reati dovesse essere considerata, nella sostanza, una amnistia (le leggi di amnistia devono essere infatti approvate dai due terzi dei componenti delle Camere, cosa che nel caso di specie non è avvenuto). Ma ciò deve essere escluso. Meccanismi analoghi di condono penale collegato al rientro di capitali dall’estero sono già stati utilizzati in passato dal nostro Paese, senza che la Corte Costituzionale sia mai intervenuta per dichiarare la loro illegittimità (essa, anzi, ha più di una volta escluso che in tali casi si potesse parlare di amnistia). La non punibilità dei reati, nella legge sullo scudo fiscale, è stata circoscritta ai casi in cui non sia già iniziato un processo penale; l’amnistia, invece, ha sempre coinvolto anche reati per i quali era già in corso un processo o vi era già stata, addirittura, una condanna.

La valutazione del Capo dello Stato
Passiamo ora a valutare il contenuto della legge. Un giudizio politico negativo non può condizionare, di per sé, la valutazione di un Capo dello Stato in sede di promulgazione. Perché possa essere ragionevolmente prospettata una ipotesi di messaggio motivato alle Camere devono essere riscontrati profili che rendano il contenuto della legge del tutto irragionevole.
La legge sullo scudo fiscale prevede una «copertura» penale ampia. Se si segue il suo iter legislativo, si scopre che il suo impianto originario è stato comunque modificato. Originariamente era stato previsto che la documentazione relativa al rimpatrio del denaro non potesse essere utilizzata quale prova a carico in nessun processo penale pendente o futuro. Il che avrebbe di fatto impedito l’accertamento di reati di ogni specie, anche gravissimi, come il riciclaggio, il traffico di droga, l’associazione a delinquere, l’omicidio e via dicendo. Una vera assurdità.
L’inutilizzabilità dei documenti è stata tuttavia successivamente, anche per l’intervento del Capo dello Stato, circoscritta ai processi amministrativi, civili e tributari non ancora aperti, mentre il loro impiego come prova di reato è stato consentito in tutti i processi penali pendenti o futuri. Nello stesso tempo si è mantenuto l’obbligo degli intermediari finanziari di segnalare le operazioni sospette, neutralizzando i ripetuti tentativi del governo di eliminarlo a tutela degli evasori. L’ambito della copertura penale è stato circoscritto ai settori, sia pure estesi, dei reati tributari e di quelli strumentali all’evasione fiscale, come i falsi materiali e i falsi in bilancio. I profili più evidenti di illegittimità costituzionale sono stati, peraltro, eliminati.
Su questa base bloccare la legge in sede di promulgazione non era né semplice né, probabilmente, consentito. Piuttosto, se fra le pieghe della legge dovessero emergere, in futuro, profili di illegittimità, a pronunciarsi dovrà essere la Corte Costituzionale, come prevede la Costituzione.

La Stampa, 5 ottobre 2009