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“Le donne sfatano il tabù del Nobel”, di Gabriele Beccaria

Jack Szostak deve farsene una ragione.
Da ieri è un Nobel, ma il suo viso simpatico resta oscurato da un evento storico: a vincere con lui il premio per la Medicina sono due donne, anche loro americane, Elizabeth Blackburn e l’ex allieva Carol Greider. Non era mai successa un’accoppiata simile e ora quelli con il dente avvelenato verso i giurati di Stoccolma, da sempre accusati di maschilismo scientifico, devono ricredersi.

E ieri il giorno della rivincita femminile è stato ancora più dolce per la professoressa Blackburn. Nel 2004 aveva firmato un editoriale al vetriolo sul «New England Journal of Medicine», in cui raccontava di essere stata licenziata dal comitato sulla bioetica e l’uso delle staminali, perché le sue idee contrastavano con la linea conservatrice dell’allora presidente George W. Bush. Ora l’assegno da 1 milione e 400 mila dollari del Nobel che dividerà con i colleghi è la prova che lei vedeva lontano e i politici avevano la vista corta. Al cuore delle ricerche di questo trio c’è il mondo delle staminali e molto di più: c’è una parola esotica – «telomeri» – e ci sono i meccanismi dell’invecchiamento, intrecciati alla promessa di prolungare la giovinezza e battere il cancro.

In termini più seriosi i tre hanno risolto un mistero che si annida nel software della vita, il Dna: hanno capito come i cromosomi vengono copiati durante la divisione cellulare e come sono protetti dalla degradazione di queste repliche. Si tratta, appunto, del processo inventato dall’evoluzione per sfidare il tempo e garantire agli organismi lunghe esistenze. A fare da freno all’invecchiamento sono proprio i telomeri: li si può immaginare come minuscoli cuscinetti protettivi, piazzati alle estremità dei cromosomi, vale a dire le strutture a forma di bastoncello che impacchettano la doppia elica del Dna. Così scongiurano disastri.

Ma nemmeno loro sono imbattibili. A ogni divisione delle cellule pagano un prezzo, diventando un po’ più corti ed ecco perché entra in azione l’enzima che deve rigenerarli. Battezzato telomerasi, produce nuovi «pezzi» di Dna e conduce la battaglia biologica che fa la differenza tra salute e sofferenza, tra vita e morte.

Quattro C e due A: all’inizio delle ricerche Blackburn (e qualche tempo dopo Greider) individuarono questa sequenza di Dna in un organismo unicellulare chiamato Tetrahymena. Si resero conto che i telomeri si ripetevano molte volte e nell’80 lo raccontarono in un «paper». Tra gli scienziati più colpiti, c’è Szostak, che propone un esperimento vertiginoso. Perché non isolare dal materiale genetico della cavia la sequenza delle C e delle A e non inserirla nelle cellule di lievito? Detto e fatto. La sorpresa è grande: il Dna dei telomeri di un organismo protegge i cromosomi di un altro, completamente diverso. Ecco portata alla luce una realtà mai vista prima.

Poi, il giorno di Natale dell’84, Greider scopre la telomerasi e porta alla luce la composizione dell’enzima: un mix di Rna e proteina capace di proteggere le cellule.

Questo «happy ending», celebrato ieri, apre un nuovo inizio: si potrà curare il cancro toccando l’interruttore dei telomeri?

La Stampa, 6 ottobre 2009

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