economia

“Nord, metamorfosi dell’industria”, di G. Turani

Bossi e Tremonti stanno facendo il giro delle valli del Nord per parlare al loro popolo (dirigenti, professionisti, artigiani) e per spiegare quello che stanno facendo (e spesso si sentono chiedere soprattutto un nuovo condono fiscale). Ma che fine ha fatto “l´altro popolo”, quello che una volta sembrava destinato a guidare tutta la società e che per decenni è stato il punto di riferimento della sinistra, insomma la classe operaia?
Non c´è rimasto quasi più niente. Un recente studio di Fulvio Coltorti (capo ufficio studi di Mediobanca), pubblicato su “Impresa e Società”, rivista della Camera di Commercio di Milano) esamina come sono andate le cose in Lombardia e i dati sono certamente impressionanti. L´elemento che più colpisce è quello relativo ai grandi stabilimenti lombardi. Se nel 1971 erano 304 gli impianti con più di 500 addetti presenti nella regione (e 105, poco meno di un terzo, avevano più di mille dipendenti) trent´anni dopo, nel 2001, i grandi impianti (con più di 500 dipendenti) sono ridotti a 98 e quelli con oltre mille addetti quasi si contano sulle dita di una mano: 27 in tutto.
Ma il 2001, data dell´ultimo censimento, è stato otto anni fra. Oggi è pensabile che il trend sia andato avanti e che quindi gli impianti con oltre mille addetti siano non più di una dozzina in tutta la Lombardia.
Nel giro di poco più di trent´anni, cioè, le grandi concentrazioni operaie sono scomparse, di fatto, dalla regione più industrializzata del paese. E infatti se gli addetti alle grandi imprese nel 1971 erano quasi 380 mila, nel 2001 si erano ridotti a poco più di 90 mila. Anche in questo caso il trend deve essere andato avanti e quindi tutti questi numeri vanno rivisti al ribasso.
Negli ultimi trent´anni, cioè, l´industria lombarda (ma quella italiana deve averla seguita) ha via via abbandonato le grandi dimensioni. Allora si contavano in Lombardia cinque grandissimi stabilimenti con oltre cinque milioni di metri quadri di superficie e quasi 60 mila addetti complessivi: oggi di quegli impianti non c´è quasi più niente, pallide ombre.
L´industria lombarda ha abbandonato le grandi dimensioni e ha scelto di diventare media: da qui quel fenomeno molto italiano che è stato alla fine chiamato Quarto Capitalismo, fatto di aziende medie e medio – grandi, ma molto organizzate, molto hi-tech e molto internazionalizzate. Però le grandi concentrazioni di tute blu non ci sono più.
E questo ha avuto i suoi riflessi anche sulla politica. Certa sinistra “di classe” e certo sindacalismo hanno fatto finta di non accorgersi di quello che è successo e usano ancora il linguaggio di prima, ma il mondo di prima non c´è più. E´ stato sepolto e non tornerà mai più (è vana la richiesta di rifare aziende di grandi dimensioni: quello è solo il passato). A questi capi «di classe» (come si diceva una volta) basta mettere insieme cinquanta operai per poter parlare di classe operaia, ma la verità è che alle spalle di quei cinquanta operai non c´è più il mondo di prima.
E anche la sinistra riformista non è uscita bene da questo imponente cambiamento: è un po´ come un bambino al quale abbiano portato via i giocattoli e che ancora non sa che fine abbiano fatto e, soprattutto, che cosa può fare lui adesso che non ha più i suoi giochi. Prima sapeva che, alla fine, avrebbe trovato al suo fianco le grandi concentrazioni operaie: oggi ha paura di non trovare nessuno, perché non c´è più nessuno.
Al posto della grande “Lombardia operaia” è emerso, si diceva, il Quarto Capitalismo e tutto intorno è fiorito un mondo di consulenti, professionisti, piccole aziende.
E questo è il mondo al quale oggi si riferiscono Berlusconi e la Lega. Un mondo non proprio votato al progresso e politicamente non di sinistra (forse nemmeno riformista), ma è quello che c´è e è quello con cui bisognerà imparare a fare i conti.
La Repubblica 11.10.09