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“Tian An Men: memorie di sangue a vent’anni dal massacro”, di Francesca Ortalli

Ma Jian apre il suo computer. È seduto a tavola e sta ancora facendo colazione in albergo, sono le dieci del mattino. «Ecco – dice- questo è quello che è successo a Tian An Men». L’impatto è fortissimo, sullo schermo scorrono immagini agghiaccianti. Bisogna staccare lo sguardo, prendere fiato e poi riavvicinarsi poco per volta, mentre lui racconta la lunga sequenza di morte. «Questa l’ho scattata io – spiega, mostrando la folla che riempie lo spazio enorme di Tien An Men – Era l’inizio dell’occupazione della piazza, verso metà maggio. Non eravamo ancora martiri ma solo studenti che volevano cambiare il mondo».

Ma Jian è a Cagliari, ospite del festival di letteratura «Tutte storie». La forza della memoria, la sua e quella di tanti altri, diventa un’arma per ricordare una storia che non può essere cambiata, nonostante le cortine fumogene ora spazzate via dalla crudezza delle immagini. Sono state mostrate per la prima volta ieri. Vent’anni dopo sono ancora lì, a ricordare quei giovani studenti che sorridevano prima di diventare cadaveri straziati dalle pallottole e dalle ruote dei carri armati. Ancora oggi nessuno sa il numero ufficiale delle vittime: duecento secondo il governo cinese, dalle settemila alle dodicimila, compresi quelli in seguito giustiziati, secondo altre fonti, duemilaseicento secondo la Croce Rossa.

Ma Jian racconta di quei giorni e di queste immagini strappate al silenzio di vent’anni, perché dice «il tempo ha fatto crescere il coraggio. Solo a marzo di quest’anno sono entrato in possesso di una parte delle foto. Alcune sono state scattate da me. Fino al 28 maggio di quel 1989, infatti, ho partecipato prima alle riunioni segrete del movimento studentesco e poi all’occupazione della piazza. Alcune, invece, le ho avute da un mio amico. Era un soldato e aveva ricevuto l’ordine di travestirsi da studente per infiltrarsi. Le armi le aveva nascoste per non essere scoperto. Nel caso avesse avuto problemi con i militari era stato stabilito un gesto di riconoscimento, le due dita della mano alzate in segno di vittoria. Tra i suoi compiti c’era anche quello di documentare per un archivio interno delle forze armate quello che succedeva. Due rullini li ha tenuti per sé. Altre sono testimonianze dirette che sono state messe sul sito www.64mem.com. Si possono vedere solo fuori dalla Cina. Ancora oggi se là si digita su un motore di ricerca la data «4 giugno ’89», o qualsiasi riferimento ai fatti di Tian An Men si trova il nulla».

Il desiderio della verità di Ma Jian non si ferma neanche davanti ai suoi colleghi scrittori, anche famosi, che hanno subito, come migliaia di altri, quello che lui chiama «il lavaggio del cervello». «In quei giorni molti di loro sfilavano insieme a noi studenti. Nelle foto si vedono i loro volti, e quando sarò a Francoforte per la Fiera del libro li chiamerò per nome e domanderò dove sono finiti i loro slogan per la libertà». Poi riprende il racconto di quel terribile 1989. «La strage si è consumata in tre giorni, dal 3 al 5 giugno. Pechino diventò una città blindata, più di mille carri armati invasero la piazza chiudendo ogni via di fuga. Tutte le strade d’accesso erano occupate».

I carri armati iniziarono ad avanzare, non si andava a caccia del singolo ma l’obiettivo era seminare il panico. Molti corpi furono schiacciati dai carri. Alcuni cigolati erano aperti e da sopra i soldati sparavano o saltavano giù per inseguire chi scappava. In questo modo si facevano largo tra la folla, Poi dietro c’era l’esercito che finiva il lavoro. I cadaveri erano dappertutto, in ogni angolo. Molti sono stati raccolti dagli amici o dai parenti. Chi si poteva salvare veniva portato all’ospedale, gli altri invece venivano ammassati nelle università. Per molto tempo, uno studente Zhang Han, è rimasto sepolto nei pressi della piazza, in un punto dove c’era terra e si poteva scavare. Poi la terra si è ritirata e sua madre Zhang Xian Ling, ha trovato lì per caso, il corpo di suo figlio.

A Tian An Men – continua Ma Jian – sono stati sepolti non solo i sogni degli studenti cinesi, ma anche il credo politico di un’intera nazione. Gli ideali sono stati sostituiti dai soldi, unico valore di oggi. Per questo non è più possibile essere un paese civile. I giovani non sanno che cosa è successo vent’anni fa perché c’è stata una rimozione totale dei fatti. E i genitori non parlano perché rischiano troppo. Per questo la memoria oggi è ancora di più necessaria: non solo ci permette di evitare gli errori del passato, ma anche di salvare la nostra intelligenza. Altrimenti siamo solo burattini stupidi con una vita più agiata. Si affannano a voler cancellare la memoria dei vivi, inutilmente: la storia non si può cambiare, la verità trova sempre la sua strada. E il loro silenzio dopo vent’anni è diventato un urlo assordante»

L’Unità, 12 ottobre 2009