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“Roma invasa da duecentomila per «il diritto ad esistere» “, di Giovanni Maria Bellu

Duecentomila. Sì, Roma ha visto manifestazioni anche molto più affollate. Ma se si misurasse il successo delle proteste di piazza dalla quantità di persone che vi aderiscono per la sola ragione di voler protestare (e non per essere iscritte a un sindacato, a un partito, non per il fatto di «far parte» di qualcosa) il coloratissimo corteo che ieri ha illuminato il centro di Roma sarebbe da classificare tra i più grandi della nostra storia recente. Sicuramente il più variopinto. Con le sole bandiere della Cgil e dell’Arci a dare una qualche continuità cromatica al nastro di folla che ancora non aveva finito di srotolarsi quando è apparso il Colosseo. La coda del corteo, in quel momento, aveva appena cominciato a muoversi da piazza della Repubblica, un paio di chilometri più su. Sicuramente il più rappresentativo. Se per rappresentatività di una protesta collettiva s’intende la quantità di storie e di esperienze che è capace di far incontrare. Il mondo,in questo caso. Coi suoi dolori e i suoi sogni confluiti in ormai più di vent’anni – tanto tempo è trascorso da quando l’eterna «emergenza immigrazione» cominciò – nelle nostre strade, nelle nostre aziende e nelle nostre case. Oltre che in altri luoghi – i centri di identificazione e di espulsione – dove si è dissennatamente pensato di poterlo recludere. Di certo una delle proteste più chiare quanto a «piattaforma programmatica ». L’uguaglianza e la giustizia e il loro modo di declinarsi nelle leggi di un paese. «No al razzismo, al reato di clandestinità e al pacchetto sicurezza», c’era scritto sullo striscione che, firmato dal «Comitato immigrati 17 ottobre», apriva il corteo. E in fondo era già tutto. Anche se poi veniva ripetuto in forme e anche lingue diverse: «I veri criminali non sono gli immigrati, ma sono i mafiosi a capo degli Stati», «Cristo è qui, quando ci sarà tutta la Chiesa?». Quando, nei giorni scorsi, gli organizzatori avevano annunciato l’adesione di circa 500 associazioni e circoli, era sembrata un’esagerazione. Era vero, invece. C’erano sì associazioni consolidate come Amnesty International, Libera, Emergency, Beati costruttori di pace, Pax Christi.Ma ciò che appariva evidente è la frammentazione del mondo dell’immigrazione in una miriade di aggregazioni spontanee, a volte anche piccolissime ed effimere, che trovano il loro fondamento ideale ora nel solidarismo, ora in ciò che resta della sinistra più radicale, ora nei gruppi cattolici di base. C’erano numerosi esponenti politici e sindacali di primo piano. Ma erano pochi quelli che,comeil segretario della Cgil Guglielmo Epifani, non testimoniavano solo il loro personale impegno ma quello di un’intera grande organizzazione di massa. C’era anche il segretario del Pd Dario Franceschini. «Quella per gli immigrati – ha detto – è una battaglia nostra da tanto tempo, per la cittadinanza, per il il permesso di soggiorno ». Ma il Partito democratico non ha aderito, e alcuni dei manifestanti gliel’hanno fatto notare. È un bel tema da mettere nell’agenda dei prossimi mesi del Pd. Sarà perché la fatica di apprendere una lingua straniera regala uno speciale timbro alle parole apprese. Ma nei discorsi pronunciati dal palco dai rappresentanti degli immigrati – scelti dopo giorni e giorni di estenuanti trattative tra le organizzazioni promotrici – certi termini logorati dagli abusi del linguaggio politico ritrovavano il loro significato originario. La parola «diritto», quando a pronunciarla è chi si vede negata la possibilità di esistere, non evoca le leggi e i codici, ma la vita stessa. E anche certi scandali dell’opulenza e dell’amoralità, sentiti raccontare da chi vive con noi ma non è riconosciuto come uno di noi, prendono una luce nuova. Più fredda e cruda. «Le nostre donne non fiscono nel lettone di Putin – ha gridato Abou Bakar Sehoumoro – ma lavorano nelle vostre case». Ecco, sono cose che fanno provare un altro sentimento che si va estinguendo: la vergogna. D’altra parte un tempo, nemmeno tanto lontano, lo si provava davanti alla sola possibilità di essere considerati razzisti. Adesso, invece, ha sottolineato Moni Ovadia, nella capitale d’Italia esistono gruppi razzisti «che si sentono addirittura legittimati dall’amministrazione comunale ».
L’unità 18.10.09

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Corteo anti-razzismo a Roma: siamo in 200 mila, di Alessandro Cappone
Fo: il Paese ha perduto il suo Dna. Uno striscione in piazza: boicottare Israele
ROMA — C’è un bambino di cinque anni, la pelle bianca e i capelli castani, che stringe la mano della mamma e con l’altra solleva un piccolo cartello: «Io non ho paura dei colori». Lui e altre «duecentomila persone», secondo gli organizzatori, sfilano a Roma «contro il razzismo e contro il pacchetto sicurezza», ma anche «contro l’omofobia e ogni forma di di­scriminazione ». C’è uno striscione che rac­conta questa manifestazione: «Tutti uguali, tutti diversi, tutti insieme». Dicono che «nes­sun uomo è illegale», che «i rifiuti tossici non hanno confini, gli esseri umani sono clande­stini ». Citano il Vangelo, alcuni stendardi: «Ero straniero e mi avete accolto».

Per le strade del centro — il cielo cupo, il clima invernale — ci sono ragazze in gonna larga e bandiera della pace stretta in vita, me­talmeccanici neri col vessillo rosso della Fiom, famiglie, tre cinesi su un furgoncino bianco, tanti italiani coi palloncini dell’Arci, operai della Cgil, senegalesi con le mani nei guanti che sventolano piccoli canotti con la scritta «Maroni sui gommoni», le bandiere del «Veneto libero dal razzismo e dalla pau­ra ». Uno striscione: «Cristo è qui, quando ci sarà tutta la Chiesa?». Arrivano da Pordenone e da Lampedusa, dal Friuli e dalla Campania, dall’Umbria e dalla Toscana. A guardarli, non è difficile capire che molti arrivano da più lon­tano.

C’è anche spazio per la polemica politica, perché il governatore pugliese Nichi Vendola (Sinistra e Libertà) si sofferma sui molti epi­sodi di intolleranza accaduti nella Capitale e accusa: «Il capo della destra in questa città, Gianni Alemanno, esprime solidarietà alle vit­time dell’intolleranza ma i fantasmi del razzi­smo e dell’omofobia si sono liberati. Non ba­sta la solidarietà». La replica, affidata alle agenzie, è di Francesco Storace, La Destra: «Cosa vuole Vendola da Alemanno? Non gli bastano i danni fatti in Puglia dalla sua giun­ta? ». E il sindaco fa sapere che presto non sa­rà così semplice sfilare in corteo: «Ho avoca­to a me tutte le autorizzazioni per il centro storico dopo le ultime manifestazioni. Stia­mo rivedendo il protocollo per garantire che le piazze principali vengano utilizzate sola­mente per le occasioni più importanti». Il se­gretario pd Dario Franceschini torna sugli epi­sodi di violenza: «Sono segnali molto preoc­cupanti. La destra dopo essersi riempita la bocca di tante parole blocca la legge sull’omo­fobia ». Sulla manifestazione: «È una bella pro­va di solidarietà e mobilitazione, segno che c’è una coscienza civile in questo Paese che reagisce contro ogni forma di razzismo». Il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli: «Il go­verno ha costruito il proprio consenso ali­mentando paure contro gli immigrati». L’eu­rodeputato Rita Borsellino: «Sono passati vent’anni dalla prima manifestazione antiraz­zista e a distanza di così tanto tempo, oggi as­sistiamo a un’escalation di intolleranza. A fa­vorire questi rigurgiti d’odio, purtroppo, con­tribuiscono anche alcune politiche del gover­no Berlusconi». La manifestazione, alle sette della sera, passa sotto il Campidoglio, e lì ac­canto uno striscione chiede di «boicottare Israele». Non lo guarda il poeta e scrittore Mo­ni Ovadia: «A Roma molti gruppi di estrema destra, per il fatto che la destra governi, si sentono legittimati in comportamenti che al­tri governi della città non avrebbero consenti­to. Con questo non dico che l’amministrazio­ne solleciti la violenza. Da Alemanno è arriva­ta solidarietà per i recenti episodi di violenza, ma lui è in una formazione politica che ha componenti intolleranti e xenofobe. Uno dei pochi che prende le distanze è Fini». Di certo, dice il Nobel per la letteratura Dario Fo, «l’Ita­lia ha perduto qualcosa di straordinario, il suo Dna, cioè saper aiutare chi ha bisogno».
Il Corriere della Sera 18.10.09

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