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“La scuola dopo l’ennesima doccia scozzese”, di Chiara Saraceno

Da anni, la scuola italiana è sottoposta a una sorta di doccia scozzese. A sperimentazioni di varia qualità seguono interventi di riforma che non ne tengono affatto conto. L’ultimo esempio è la riorganizzazione degli indirizzi nella scuola superiore. Sembra avere come obiettivo la mera riduzione dei costi. Perché non è chiaro quali siano le logiche formative che portano a tagliare le ore di materie chiave in ogni tipo di indirizzo (e i documenti alla base di questa riorganizzazione sono noti solo agli addetti ai lavori). Continueremo così a formare cittadini ignoranti dei meccanismi fondamentali che regolano la società in cui vivono.

Da decenni ormai la nostra scuola in ogni ordine e grado è sottoposta a una sorta di doccia scozzese. Vengono promosse, o comunque consentite, sperimentazioni di varia qualità e consistenza, che comunque impegnano scuole, docenti, allievi e famiglie, creando aspettative e influenzando strategie e decisioni. Seguono interventi di riforma complessivi che non tengono affatto conto di quelle sperimentazioni, per lo più non valutate, ma propongono un altro modello, partorito autonomamente dagli esperti di turno. Successe quando, dopo anni di sperimentazione di tempo pieno alle elementari, la riforma introdusse invece il tempo lungo, mai sperimentato prima. Ed è successo di nuovo più di recente, quando la nuova riorganizzazioni delle elementari ha proposto il “tempo corto” come modello organizzativo normale. L’università è un costante cantiere aperto, ove ogni coorte di studente trova curriculum diversi e ogni studente di secondo o terzo anno scopre che il suo corso di laurea non esiste più o è stato ristrutturato. Sta succedendo anche nella tormentatissima scuola media superiore, ove dopo anni di gran parlare di biennio comune e di sperimentazioni varie, stanno per calare i nuovi ordinamenti: di nuovo, sembra, senza alcuna verifica dell’esistente, di ciò che funziona o di che cosa no, a parte la lodevole intenzione di mettere ordine in una situazione in cui il rischio è che ogni istituto scolastico configuri una sorta di cuius regio eius et religio. Per altro, va segnalato che sul sito del Ministero le varie bozze contenenti le proposte di riorganizzazione non si trovano, né si trova traccia della Commissione o esperti che le hanno formulate e neppure delle osservazioni dei diversi organismi che sono stati consultati. Per rintracciare i documenti – noti solo agli addetti ai lavori – occorre effettuare una non agevole ricerca su internet, che ha successo solo se uno conosce preliminarmente la esatta titolazione degli stessi (1). Studenti, genitori, cittadini in genere, sono così tenuti accuratamente all’oscuro dei meccanismi e dei criteri che presiedono a decisioni cruciali per il futuro delle nuove generazioni.

LA LOGICA DEI TAGLI

Dalla lettura delle proposte ministeriali così tortuosamente reperite, il criterio che guida la riorganizzazione degli indirizzi di studio parzialmente riaccorpati sembra essere più l’obiettivo di ridurre i costi tagliando le ore di insegnamento, come è avvenuto per la scuola elementare, che non una qualche chiara idea formativa.
Non è chiaro, ad esempio, quali siano le logiche formative che portano a ridurre le ore di insegnamento di materie come la matematica e la fisica al liceo scientifico, il diritto e l’economia negli istituti tecnici, inclusi quelli per ragionieri e geometri (mentre di fatto spariscono dai licei), e la lingua straniera, per lo più l’inglese, dappertutto.
A parte il caso paradossale della riduzione della lingua straniera in un contesto sempre più internazionalizzato, si sarebbe potuto ragionevolmente pensare che, a fronte della universalmente lamentata scarsa conoscenza della matematica, che a sua volta determina una scarsa propensione a iscriversi alle facoltà scientifiche, l’insegnamento di questa materia venisse rafforzato, non indebolito. Analogamente ci si sarebbe aspettati che, a fronte della crescente complessità della società in cui viviamo, della lamentata ignoranza dei più elementari fatti economici che non solo rende vulnerabili agli imbrogli, ma può anche suggerire strategie perdenti, fondate su valutazioni errate, e della altrettanto lamentata illegalità diffusa, l’insegnamento del diritto e dell’economia venisse, se non rafforzato ed esteso, almeno istituzionalmente radicato nei curricula di base. Diritto ed economia sono invece le materie che subiscono complessivamente il taglio più pesante (2).
In compenso, il ministero propone di introdurre un breve corso (tre settimane) di educazione finanziaria, non si sa bene tenuto da chi e soprattutto a che scopo: certo non per insegnare a capire la struttura della busta paga, a destreggiarsi tra le aliquote pensionistiche, a comprendere il nesso tra deficit pubblico, imposizione fiscale e le varie componenti della spesa pubblica, ad analizzare costi e benefici e così via. In altre parole, a capire un po’ meglio i meccanismi economici che sottostanno al nostro vivere associato e individuale.
Viene invece introdotta, dapprima in via sperimentale, una nuova materia – “cittadinanza e Costituzione” – a carico, non si capisce per quale ragione, del monte ore già ridotto degli insegnamenti di storia e geografia e dei rispettivi docenti. L’etichetta, tanto altisonante quanto puramente evocativa della nuova materia, così come l’individuazione di docenti senza specifica competenza e formazione né nel settore del diritto né in quello delle teorie e pratiche della cittadinanza, segnala che si tratta di una materia intesa con carattere pedagogico-prescrittivo, un po’ come la vecchia educazione civica mai veramente decollata.
È molto probabile che anche la nuova materia segua lo stesso destino, mentre continueremo a formare cittadini ignoranti dei meccanismi fondamentali che regolano la società in cui vivono, facili prede di furbi imbonitori di ogni genere.

(1) Cfr. Schema di regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto legge25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e Schema di regolamento recante “revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei Licei ai sensi dell’articolo 64, comma 4 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133
(2) Un taglio del 64% a fronte del 15% medio, secondo i calcoli di Paolo Iacci su Italia Oggi del 17 agosto)

20.10.09
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