economia

“E il popolo dei risparmiatori non esiste più. Ecco cosa rischiamo”, di Ettore Livini

L’allarme, al momento, non è ancora rosso. Ma nell’Italia dove migliaia di piccole e medie imprese rischiano di chiudere bottega e dove in un anno si sono bruciati 577mila posti di lavoro, l’emergenza prossima ventura rischia di essere quella del debito personale degli italiani. Un anno fa – con i mercati a secco di liquidità – ci si preoccupava per l’impennata delle rate, con gli interessi schizzati oltre il 6%. Oggi i tassi sono ai minimi storici (0,73% l’Euribor a tre mesi), le banche sono tornate ad allargare i cordoni della borsa, le tranche di rimborso mensile sono calate. Eppure i problemi per pagarle, invece che diminuire, sono aumentati.

La percentuale di famiglie che non riesce a onorare i propri impegni sui 617 miliardi di mutui e prestiti contratti con gli istituti (10.400 euro per italiano) è salita negli ultimi mesi al 2,7%. “Livelli ancora bassi rispetto al resto d’Europa”, gettano acqua sul fuoco all’Associazione bancaria italiana (Abi).

Ma lo tsunani occupazionale previsto per quest’autunno, sommato alla «voglia di debiti» che ha contagiato le ex-formiche del Belpaese dal 2000 a oggi (con l’esposizione cresciuta dal 31% al 58% del reddito disponibile) rischiano di far esplodere la situazione. «La crisi sarà magari passata per la Borsa – dice Fabio Picciolini, segretario generale dell’Adiconsum – ma per chi ha rate da pagare i problemi veri arrivano ora, in coda alla recessione e in vista di una ripresa che non creerà molta occupazione stabile».

Non solo. A rendere più complessa la situazione c’è la radicale metamorfosi dei debiti tricolori. Fino a pochi anni fa – negli anni d’oro in cui risparmiavamo fino al 30% delle nostre entrate – si faceva un prestito solo per la casa e, al limite, l’auto. Oggi il mercato è cambiato.

Certo il mattone fa ancora la parte del leone. E la moratoria di 12 mesi concessa dall’Abi sui mutui immobiliari alle famiglie in difficoltà è una bella boccata d’ossigeno. Ma a rate, oggi, si compra di tutto: 43 auto su 100 (dati dell’osservatorio Findomestic), 20 elettrodomestici, il 15% di computer e il 12% dei mobili.

Le banche, nell’era dei tassi bassi e della liquidità a go go, hanno iniziato a finanziare i telefonini, gli abiti, l’abbonamento in palestra, i viaggi. Nei portafogli del Belpaese il contante è stato sostituito da tessere d’ogni tipo: carte di debito, di credito, revolving. Il 61% dei 60 miliardi di prestiti distribuiti nel 2008 dal credito al consumo era «non finalizzato». Denaro cioè non destinato all’acquisto di un bene specifico. E il rischio oggi è di pagare un conto salatissimo a questa plastificazione e spersonalizzazione dei pagamenti.

«Inutile che continuiamo a ripetere che l’Italia è il paese meno indebitato d’Europa – ammette sconsolato Picciolini – . Il guaio è che abbiamo drasticamente ridotto la differenza con il resto del Vecchio continente». Certo, i debiti sono il 58% del reddito (azioni, case, depositi e fondi) delle famiglie italiane contro il 91% della media Ue, il 134% degli americani e il 161% degli inglesi, abituati a vivere sopra i loro mezzi. «Ma negli ultimi anni sono state infilati nelle tasche dei risparmiatori, con battage da convention di promotori, strumenti di credito con tassi che arrivano fino al 20%», accusa Picciolini. Certo, casi limite. Ma al Fondo anti-usura e sovraindebitamento della Adiconsum «è in rapido aumento il numero di persone che si presentano con sulle spalle una decina di prestiti personali e 4 o 5 carte di debito differenti – dice – . Gente con 1.340 euro di stipendio al mese. Come fa a pagare?».

L’Assofin, l’associazione delle finanziarie del credito al consumo, minimizza. «Su centinaia di milioni di operazioni all’anno ce n’è per forza qualcuna critica – dice il segretario generale Umberto Filotto – . La contrazione dell’11,8% delle erogazioni tra gennaio ed agosto 2009 dimostra però che il mercato è in grado di autoregolarsi. ».
L’aumento netto dei prestiti non rimborsati (oggi siamo oltre il 3%) e l’impennata di due strumenti «d’ultima istanza» come la cessione del quinto dello stipendio (+6,1%) e delle carte revolving (+3,7%) sono però la spia delle difficoltà del paese, un quadro a macchia di leopardo dove la rischiosità sui prestiti familiari della Sicilia, secondo un complesso indice Adiconsum è 10 volte superiore alla Val d’Aosta e dove le regioni più in difficoltà sul rimborso delle rate sono anche Campania, Calabria, Lazio e Puglia. «Noi con il sito www. monitordata. it abbiamo messo a disposizione uno strumento anonimo, indipendente e semplice per calcolare da sé, in base alle proprie disponibilità e abitudini quanti debiti si possono fare», dice Filotto. La stessa Assofin, del resto, ha già aderito al piano di moratoria sui mutui casa dell’Abi e sta valutando se estenderlo anche sugli altri prestiti «anche se obiettivamente esistono complessità tecniche».
«Le Regioni e molti enti con cui lavoriamo a stretto contatto di gomito hanno già messo assieme interventi di sostegno per chi è in difficoltà», dicono all’Abi. Ma i soldi pubblici – 30 milioni, briciole rispetto alle necessità reali – del fondo contro il sovra-indebitamento sono stati dirottati all’emergenza Abruzzo. «Vista la situazione il governo farebbe un bel gesto a rifinanziarlo – chiede Picciolini – . In fondo questa cifra è pari solo allo 0,5% dei Tremonti bond che l’esecutivo era pronto a mettere a disposizione per salvare i conti delle banche».

Si tratta in ogni caso di misure tampone. Buone magari per togliere le castagne dal fuoco per qualche tempo alle situazioni di crisi reale, ma non ad affrontare il problema della qualità dei debiti delle famiglie italiane nel lungo termine. Certo, in questi giorni va di moda l’elogio del posto fisso. Ma la verità è che da inizio anno i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato sono stati solo il 26% del totale. E che quasi il 90% dei licenziamenti ha riguardato persone con un impiego temporaneo. «Non prestar soldi a chi è precario è socialmente miope, iniquo e poco intelligente dal punto di vista del business», dice Filotto. Il 9% del credito al consumo italiano, per dire, è già garantito agli immigrati, altra fascia di clienti che per il mondo del credito è a maggior rischio. «E’ innegabile che proprio queste siano le fasce più penalizzate dalla crisi» dice il segretario generale Assofin. Peccato che il mondo vada in questa direzione. Un modello di società dove la percentuale di lavoratori immigrati e di precari è in costante aumento. E il credito dovrà fare i conti con questo scenario.

Per ora, come ammette anche la Banca d’Italia, a tappare il buco ci penserà il cosiddetto welfare familiare. A onorare i debiti scaduti su motorini, telefonini e pc dalle nuove generazioni orfane di posto fisso saranno i soldi risparmiati da quelle che il lavoro l’hanno avuto garantito. I tecnici di Palazzo Koch, come spiega l’ultima relazione annuale dell’istituto centrale, hanno fatto una simulazione per verificare la vulnerabilità delle persone indebitate in caso di aumento della disoccupazione o di riduzione del reddito dei lavoratori autonomi. Concludendo che l’impatto sarebbe «abbastanza contenuto», grazie agli ammortizzatori sociali e all’assorbimento delle criticità «all’interno del nucleo familiare». Alla fine, insomma, nel paese dei bamboccioni ci pensa ancora «mammà». C’è solo da sperare che la Banca d’Italia abbia ragione anche questa volta.

La Repubblica, 26 ottobre 2009