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“Riforme, Bersani ci prova con lo spacchettamento”, di Mario Lavia

Ricordate la bozza Violante? Era un corpus di riforme istituzionali sul quale si era determinata a suo tempo una convergenza fra maggioranza e opposizione: ebbene, la bozza Violante rinasce sotto forma di “carciofo”. A spicchi. Foglia dopo foglia. È un altro metodo: non più l’idea della “riformona” ma quella dello spacchettamento dei vari capitoli. Con la novità non da poco della legge elettorale. Questo è il metodo-Bersani. Col beneplacito di Gianfranco Fini.
Non solo cortesia Si va dalla seconda e dalla terza carica dello stato (Napolitano l’aveva visto martedì) per rispetto del galateo istituzionale, certamente, e però la visita di Bersani a Fini non è circoscrivibile a questo. In realtà, dopo un quarto d’ora di convenevoli e reciproche cortesie, i due uomini politici hanno affrontato una questione politica di prima grandezza come il funzionamento del parlamento (in questo caso della camera: e per puro caso un’ora dopo, nella conferenza dei capigruppo, Fini ha dato una bella strigliata al governo – c’era Elio Vito – accusandolo di essere indirettamente la causa del poco lavoro, stante la mancanza di copertura finanziaria dei vari provvedimenti).
Di qui all’entrare nel cuore delle riforme istituzionali il passo è stato breve: «È inutile riprovare con il complesso delle riforme tutte insieme – hanno sostanzialmente convenuto Fini e Bersani – proviamo un’altra strada, altrimenti rischiamo di fallire un’altra volta magari per un dissenso su un punto secondario».

Le tre riforme
Dunque, si tratta di rimettere sui binari parlamentari ciò che ragionevolmente può evitare il deragliamentto. Riforme come il superamento del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, il federalismo fiscale sono tre grandi questioni sulle quali un’intesa è possibile. Un passo alla volta, almeno ci si può provare.

Spunta la legge elettorale
La novità di ieri è che ritorna in sede parlamentare anche la legge elettorale. È una questione su cui Bersani – ne parleremo più avanti – tiene moltissimo, anzi probabilmente è “la” questione sulla quale il suo Pd intende ripartire. Fini non ha nulla da eccepire. È evidente che manca qualcosa e qualcosa di fondamentale: il sì di Silvio Berlusconi. Il quale al convoglio delle riforme vuole attaccare il vagone della giustizia anche se ancora non si capisce se questa è una conditio sine qua non: è quello che il Pd vuole vedere. Con un punto fermo: si discute in parlamento, e solo in parlamento, non è tempo di tavoli o accordi extraistituzionali.

Le consultazioni
È proseguito con Nichi Vendola il giro di consultazioni che Bersani sta effettuando con tutti i possibili alleati del Pd nella chiave di ricostruzione di un quadro di alleanze. Oggi il leader del Pd vedrà «la delegazione unitaria» della sinistra (Ferrero- Diliberto-Salvi), una realtà con la quale i rapporti da tempo si erano sostanzialmente interrotti.
Nella nuova stagione bersaniana sono colloqui di una certa importanza, proprio al fine di verificare se attorno ad alcune ipotesi di lavoro sia possibile costruire qualcosa di più concreto: e in questo senso l’ipotesi di una riforma della legge elettorale sul modello tedesco (dunque un ritorno, magari parziale, al sistema proporzionale) può essere un terreno sul quale lavorare insieme, da Ferrero a Casini, con il quale il faccia a faccia ci sarà probabilmente giovedì prossimo.

D’Alema a Rutelli: senti Bersani
A quattr’occhi, lontano dalle sedi di partito e Fondazioni, in una casa privata, un colloquio definito dagli staff «franco» (aggettivo che di solito non lascia intendere nulla di buono). D’Alema e Rutelli faccia a faccia per un’oretta, con il primo impegnato a trattenere il secondo, ormai sulla soglia di casa con la valigia in mano.
Un tentativo, quello di D’Alema, rivolto – dicono i suoi – «a non indebolire il partito in questa fase delicata in cui c’è bisogno di tutti».
«Francesco, se il problema è la tua interlocuzione con Casini e Tabacci guarda che la puoi avere anche stando dentro il Pd», è stato il discorso dell’ex ministro degli esteri. Ma Rutelli non si è smosso dalle sue posizioni, ribadendo che il Pd così come è venuto fuori non costituisce più uno strumento utile per parlare a quel pezzo dell’Italia moderata ma riformista che vuole chiudere con Berlusconi. Il suo percorso, pertanto, diverge da quello del Nazareno. Non ci sono margini per un rientro: il presidente del Copasir ormai ha la testa altrove, per lui il Pd è un’esperienza alle spalle.
D’Alema ha insistito, ha voluto capire bene cosa Rutelli immagini per il “dopo”.
Per lui la cosa non è ancora chiara. C’è bisogno di un supplemento, di un “di più” di riflessione: ecco perché ha proposto a Rutelli di parlarne con Bersani, cosa che Rutelli ha accettato. Si tratta di evitare traumi, in queste giorni che precedono l’assemblea nazionale del 7, la prima del nuovo segretario. Ecco, la novità del colloquio di ieri è nell’immaginare un’uscita un po’ più soft, insomma, meno «traumatica », senza piatti rotti e porte sbattute.
Di fare in modo che almeno la forma sia salvata.

Europa 30.10.09