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La Corte dei diritti umani: “No al crocefisso in classe”

La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha emesso oggi una sentenza nella quale stabilisce che esporre il crocifisso nelle classi della scuola pubblica è contrario al diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le proprie concezioni religiose, e al diritto degli alunni alla libertà di religione.

Il caso riguarda un ricorso di una cittadina italiana, Soile Lautsi,residente ad Abano Terme, che aveva protestato durante l’anno scolastico 2001-2002, per la presenza del crocifisso nelle classi dei suoi figli, che considerava contraria al principio di laicità dello Stato.

Nel maggio 2002, la direzione della scuola aveva deciso di lasciare il crocifisso nelle classi, e in questo senso si era espressa più tardi una circolare del Ministero della Pubblica istruzione indirizzata a tutti i direttori delle scuole pubbliche.

«La presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastische – si legge nella sentenza dei giudici di Strasburgo – potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, che avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione». Tutto questo, proseguono, «potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose, o che sono atei».

Ancora, la Corte «non è in grado di comprendere come l’esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una ‘società democraticà così come è stata concepita dalla Convenzione (europea dei diritti umani, ndr), un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana».

«L’esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione in luoghi che sono utilizzati dalle autorità pubbliche, e specialmente in classe, limita il diritto dei genitori di educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni – concludono i giudici della Corte europea dei diritti umani – e il diritto dei bambini di credere o non credere. La Corte, all’unanimità, ha stabilito che c’è stata una violazione dell’articolo 2 del Protocollo 1 insieme all’articolo 9 della Convenzione».

Il ricorso a Strasburgo era stato presentato il 27 luglio del 2006 da Solie Lautsi, moglie finlandese di un cittadino italiano e madre di Dataico e Sami Albertin, rispettivamente 11 e 13 anni, che nel 2001-2002 frequentavano l’Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre. Secondo la donna, l’esposizione del crocifisso sul muro è contraria ai principi del secolarismo cui voleva fossero educati i suoi figli.

Dopo aver informato la scuola della sua posizione, la Lautsi, nel luglio del 2002, si è rivolta al Tar del Veneto, che nel gennaio del 2004 ha consentito che il ricorso presentato dalla donna venisse inviato alla Corte Costituzionale, i cui giudici hanno stabilito di non avere la giurisdizione sul caso. Il fascicolo è quindi tornato al Tribunale amministrativo regionale, che il 17 marzo del 2005 non ha accolto il ricorso della Lautsi, sostenendo che il crocifisso è il simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell’identità del Paese, ed è il simbolo dei principi di eguaglianza, libertà e tolleranza e del secolarismo dello Stato. Nel febbraio del 2006, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione. Di qui la decisione della donna di ricorrere alla Corte europea di Strasburgo.

I sette giudici autori della sentenza sono: Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).

Il Vaticano ha commentato la notizia solo a tarda sera. «Stupisce che una Corte europea intervenga pesantemente in una materia molto profondamente legata all’ identità storica, culturale, spirituale del popolo italiano». È quanto sottolineato dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, in merito alla sentenza della Corte di Strasburgo sul crocifisso. «Non è per questa via – ha aggiunto – che si viene attratti ad amare e condividere di più l’idea europea, che come cattolici italiani abbiamo fortemente sostenuto fin dalle sue origini».

La Cei La decisione della Corte di Strasburgo sul crocifisso «suscita amarezze e non poche perplessità»: così la Conferenza episcopale italiana. «Fatto salvo il necessario approfondimento delle motivazioni – afferma l’ufficio per le comunicazioni sociali della Cei in una nota – in base a una prima lettura, sembra possibile rilevare il sopravvento di una visione parziale e ideologica».

La Gelmini «La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al Cattolicesimo ma è un simbolo della nostra tradizione. La storia d’Italia passa anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi», sottolinea il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. Nel nostro Paese, sottolinea il ministro Gelmini, «nessuno vuole imporre la religione cattolica, e tantomeno la si vuole imporre attraverso la presenza del crocifisso. È altrettanto vero che nessuno, nemmeno qualche corte europea ideologizzata, riuscirà a cancellare la nostra identità”.

Buttiglione «Sentenza aberrante e da respingere con fermezza. L’Italia ha una sua cultura, una sua tradizione e una sua storia. Chi viene fra noi deve comprendere ed accettare questa cultura e questa storia». Così il presidente dell`Udc, Rocco Buttiglione, commenta il pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell`uomo sul crocifisso.

Calderoli “Calpestati i nostri diritti. Resterà al suo posto nelle scuole”, ha tuonato il senatore leghista Roberto Calderoli. E il suo collega di partito Zaia, replica: “Vergogna!”.

Bersani «Penso che su questioni delicate come questa qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto. Io penso che un’antica tradizione come il crocifisso non può essere offensiva per nessuno». Così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, arrivando nella sede della Commissione Europea per incontrare il commissario all’Economia > Joaquin Almunia, interviene sulla sentenza della Corte di Strasburgo che ha vietato l’uso dei crocifissi nelle scuole.

L’Italia Il governo italiano ricorrerà contro la sentenza della Corte europea dei ditti dell’uomo che ha bocciato il crocifisso nelle aule scolastiche come «violazione della coscienza e della libertà religiosa». «Non ci terremo questa sentenza e andiamo in Grande Chambre», ha detto il giudice Nicola Lettieri, rappresentante del governo italiano presso la Corte Europea.

«Quello che abbiamo sempre sostenuto è che il crocifisso è sì un simbolo religioso ma con una portata umanistica e legata all’etica e alla tradizione nazionale». «A imporlo per primo», nota Lettieri, «fu il Regno di Sardegna, quello della breccia di Porta Pia». Nella sentenza odierna, prosegue Lettieri, «la Corte riconosce questa polivalenza, ma è prevalso il dato religioso».

L’altro dato che Lettieri sottolinea e rafforza la necessità di ricorrere contro la sentenza di oggi e l’elemento concordatario che fa da base ai rapporti tra Stato italiano e Vaticano. «Lo Stato italiano», spiega Lettieri, «non è laico ma concordatario, si toglie alcune prerogative per darle a una religione dominante». Il ricorso di Roma contro la sentenza non è automatico: a decidere se arriverà alla Grande Chambre sarà una Chambre composta da sette giudici.
da www.unita.it