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“E Ghedini ha già scritto la legge che cancella i tre processi milanesi”, di Liana Milella

L´offensiva di Berlusconi per liberarsi definitivamente dei suoi tre processi milanesi (Mills, Mediaset e Mediatrade) è pronta. Sarà messa a segno a giorni al Senato ed è già stato scelto il senatore che ne porterà il nome, l´ex forzista Lucio Malan. L´avvocato del premier Niccolò Ghedini ha già definito il testo. Non lo conoscono ancora, e sono in grande allarme, né i finiani né la Lega. E per questo Giulia Bongiorno a metà pomeriggio s´incontra, nella sua stanza di presidente della commissione Giustizia della Camera, con Roberto Calderoli. Ed entrambi concordano sui timori per le centinaia di processi che rischiano di finire al macero con un impatto gravissimo sulla sicurezza. Tutto per cassare i tre del Cavaliere.
Il meccanismo ideato da Ghedini è semplice: una prescrizione del processo, anziché del reato, che in futuro sarà scandito in tre termini di fase ciascuna di due anni. Due legislature fa, con ben altro intento, l´avevano ipotizzata i diessini Elvio Fassone e Guido Calvi, ma senza alcun successo e con più di una critica nel partito. Ma ora è giusto quello che serve per i casi giudiziari di Berlusconi perché, fatti i calcoli, gli inquirenti milanesi si sono subito resi conto che, se la legge dovesse passare, le tre indagini salterebbero d´un colpo. Berlusconi sarebbe libero. Al Quirinale l´apprensione è alle stelle, non solo per la maxi amnistia in vista (ma senza la necessaria maggioranza dei due terzi) che di sicuro scatenerà l´ira di Csm e Anm, ma per l´inevitabile scontro che già si profila proprio come ai tempi della norma blocca processi. Per questo il Guardasigilli Angelino Alfano, che stavolta non si è voluto prendere la responsabilità del provvedimento, sta correndo almeno ai ripari sul piano dei numeri: i suoi uffici, che pure non lavorano alla legge, stanno però già calcolando che impatto potrebbe avere il futuro lodo Malan.
E non basta ancora. Perché nell´ansia di favorire in ogni modo le aziende del premier, la Mondadori nel caso di specie e il suo debito di 200 milioni di euro con l´Agenzia delle entrate, rispunta al Senato, con la Finanziaria in aula, la possibilità di chiudere con una transazione del 5% i processi tributari che si sono chiusi in primo e in secondo grado con una pronuncia favorevole all´imputato. Stoppata in commissione dal relatore finiano Maurizio Saia, che si è rifiutato di sottoscriverlo, ora l´articolo ricompare in aula e i tecnici del Tesoro stanno studiando pure come allargare la sanatoria con la scusa di renderla più appetibile per le casse dello Stato e quindi meno iniqua per l´implicito colpo di spugna. Basti pensare che la sezione tributaria della Cassazione maneggia qualcosa come 30mila processi e che la transazione ipotizzata rischia di fare a pugni con il diritto comunitario.
C´è dunque, per finiani e leghisti, di che essere preoccupati. Tutte le promesse di preventiva trasparenza, di norme concordate e decise assieme, sono andate in fumo. Al vertice decisivo di stasera tra Berlusconi, Fini e Bossi sulle regionali, in cui il premier vuole chiudere anche la sua partita personale sulla giustizia dopo la débacle del lodo Alfano, si va ad occhi bendati. Questo è l´interrogativo corso tra la Bongiorno e Calderoli, un colloquio di 45 minuti cui era presente anche il sottosegretario Aldo Brancher, da sempre trait d´union tra il premier e la Lega. Nessun ha ancora visionato l´articolato di Ghedini, nessuno ha potuto capire fino a che punto il futuro “processo breve” influisca sull´attuale situazione giudiziaria italiana. Per certo si tratta di una norma che, per le sue caratteristiche giuridiche, si applica per forza ai processi in corso che non possono essere esclusi da una legge più favorevole. La Bongiorno, che ha ostacolato la blocca processi prima e le intercettazioni poi proprio per il devastante impatto sui processi esistenti, si ritrova davanti un´identica situazione. Che del pari mette in agitazione la Lega.
La Repubblica 04.11.09

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Il trucco dei 6 anni e la falce ad personam, di Bruno Tinti
Ogni giorno, con “La stecca di Indro”, Il Fatto Quotidiano ci regala una profetica citazione di Montanelli. Io me ne ricordo una a proposito di Berlusconi: il grande Indro disse che gli italiani avrebbero dovuto toccare il fondo; un po’ come con una malattia cui, se sopravvivi, poi sei vaccinato per il resto della vita. La domanda è: quanto siamo lontani dal fondo? A giudicare da quello che bolle in pentola, direi poco.
Le teste giuridiche al servizio di Berlusconi, chiamate agli straordinari per via delle imminenti condanne che il loro padrone, ora che il Lodo Alfano è defunto, ha tutte le ragioni di aspettarsi, stanno facendo gli straordinari. Il 29 ottobre, ci ha informato il Corriere della Sera, hanno pensato a una riforma della prescrizione così congegnata: “Taglio di un quarto dei termini di prescrizione per i procedimenti pendenti relativi a reati di non grave entità commessi prima del 2 maggio 2006 e con pena massima fino a 10 anni”; che, ma guarda che combinazione, è proprio il caso del processo Mills-Berlusconi.
Poi qualcuno ha fatto sicuramente notare che:
– I quattro quinti dei reati previsti dal codice e dalle altre leggi penali italiane sono puniti con una pena massima inferiore a 10 anni: amnistia di massa. – Definire reati di non grave entità quelli puniti con una pena massima di 10 anni di reclusione fa un po’ ridere: tra questi reati ci sono, tanto per avere un’idea, il peculato, la corruzione, la falsa testimonianza, l’associazione a delinquere (anche quella di stampo mafioso), l’omicidio colposo, il furto, la rapina e l’estorsione. Va bene che il nostro ordinamento già conosce la straordinaria categoria del falso in bilancio lecito (sarebbe quello inferiore all’1 % del patrimonio netto della società; per dire, Fininvest, patrimonio netto – al 31 dicembre 2008 – 5 miliardi e mezzo di euro, falso in bilancio lecito 55 milioni di euro… ). Ma anche alla schizofrenia c’è un limite.
– E se qualche giudice comunista si rifiuta di considerare “di non grave entità” una corruzione in atti giudiziari che ha prodotto danni per 750 milioni di euro?
Allora ci hanno ripensato e, il 3 novembre, sempre il Corriere della Sera ci ha informato che era allo studio una nuova soluzione: la “prescrizione breve”. I processi debbono essere celebrati tassativamente entro 6 anni: 3 per il Tribunale, 2 per l’Appello, 1 per la Cassazione. Se no tutto prescritto!
Sono sicuro che Ghedini & C. si stanno stropicciando le mani per la soddisfazione: perché questa soluzione ha 2 meriti: – Appare ragionevole a prima vista: 6 anni per fare un processo; e quanti ne volete! Così, quando i reati si prescriveranno, la colpa sarà dei magistrati: 6 anni avevano, sono dei fannulloni, ha ragione Brunetta! E far perdere ai cittadini la fiducia nei magistrati è un risultato che Berlusconi e soci considerano quasi sullo stesso piano dell’impunità garantita per le loro malefatte.
– È un sistema sicuro: nessun processo per i “loro” reati può esser fatto in 6 anni.
Naturalmente c’è un rovescio della medaglia: siccome i quattro quinti dei processi italiani non si fanno in 6 anni, nessun delinquente finirà in prigione. Questo non è pessimismo da comunista; questo lo ha detto il ministro Alfano nella sua relazione al Parlamento sullo stato della giustizia in Italia: “La durata media dei processi penali è di 7 anni e mezzo”. Sicché, con la prescrizione a 6 anni …. Certo, non tutti i processi durano più di 6 anni; ma quelli per i reati che interessano Berlusconi e i suoi associati, quelli sì, come le 6 “assoluzioni” per prescrizione collezionate dal nostro “incensurato” Presidente del Consiglio stanno lì a dimostrare.
Così uno si chiede: ma perché questo genere di processi (per intenderci, falso in bilancio, frode fiscale, corruzione, peculato, insider trading etc.) dura tanto? La prima risposta è che non è vero, non durano così tanto: 5 o al massimo 6 anni per fare indagini, processo in Tribunale, in Corte d’Appello, in Cassazione, quasi sempre sono sufficienti; certo, tranne che l’imputato sia Berlusconi, nel qual caso il solo processo in Tribunale può durare anche 4 o 5 anni. Il problema però è che la prescrizione comincia a correre da quando il reato è commesso; e non da quando cominciano le indagini.
Con un esempio ci si spiega meglio. Se vi rubano una macchina, andate subito dai Carabinieri e fate denuncia; loro fanno un posto di blocco e magari arrestano il ladro; poi lo denunciano alla Procura. Abbiamo 6 anni, a partire dal momento del furto, per fare il processo. Ma quando un ricco imprenditore fa un falso in bilancio, sul momento non se ne accorge nessuno. Un paio d’anni dopo, forse, la Guardia di Finanza farà una verifica: se sono bravi (in genere lo sono) e se nessuno li corrompe (qualche volta capita, c’è una sentenza che dice che Mediaset ha corrotto la GdF) magari lo scoprono. La verifica dura un anno; alla fine la GdF fa un rapporto alla Procura che a questo punto comincia le indagini. Sono passati 3 anni dal bilancio falso. Ne restano altri 3 per fare indagini, 1° grado, 2° grado e Cassazione; troppo pochi. Anche perché, indagare su un falso in bilancio non è come indagare su furti, rapine, droga etc. In questo genere di reati il problema è seguire i soldi: dove sono andati? in quale banca? in quale Paese? chi ce li ha mandati? e cosa ne ha fatto? Tutto questo si fa con le rogatorie (non a caso, un’altra cosa che gli esperti di Berlusconi hanno cercato di smontare). E una rogatoria di questo tipo (sequestri, in banche e società, interrogatori di funzionari pubblici e professionisti, traduzioni etc.) un paio d’anni li prende. Ricordo una mia rogatoria nel processo Telekom Serbia: era a Londra e ci misi quasi 4 anni. Insomma, per i reati di Berlusconi e soci 6 anni sono niente. E quindi si prescrivono.
Adesso il problema, per quanto strano possa sembrare, non è nemmeno più che Berlusconi la faccia franca ancora una volta: un grande giornalista, Ricciardetto (al secolo Augusto Guerriero, tanti anni fa scriveva su Epoca) diceva di De Gaulle (che lui odiava perché antieuropeista): il n’y a que la providence…. E in effetti, dopo la morte di De Gaulle, l’Unione Europea ha fatto passi da gigante. Il problema è che questa “prescrizione breve” si applicherà a tutti i processi, quelli che Alfano ha spiegato che durano in media 7 anni e mezzo. E qualcuno dovrà spiegare a una mamma che ha avuto il bambino falciato da un automobilista ubriaco; o a un pensionato che ha investito tutti i suoi risparmi in qualche bond truffaldino che i colpevoli di questi reati resteranno impuniti perché c’è la “prescrizione breve”. Forse non tutti ci crederanno che è colpa dei magistrati fannulloni.
E poi, qualche speranza c’è. La CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’uomo) ha detto in molte sentenze che “non è vietato al potere legislativo prevedere nuove leggi ad effetto retroattivo. Ma il principio della preminenza del diritto e la nozione dell’equo processo, consacrati dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, impediscono, salvi imperiosi motivi d’interesse generale, l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia con lo scopo d’influenzare la risoluzione giudiziaria della lite”. Insomma, niente leggi ad personam, non si può.
Ecco, forse Berlusconi e i suoi consiglieri non lo sanno, ma le leggi italiane debbono rispettare anche i principi di diritto della Comunità Europea: se non li rispettano, sono incostituzionali. E se la lezione del Lodo Alfano fosse servita? Magari studiano e ci ripensano.
Il fatto quotidiano 04.11.09